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La Grande Guerra avvelena ancora le acque e i ghiacciai dell’Adamello

Ferro, piombo, rame, zinco, arsenico e nichel. Il MUSE di Trento e l’Università dell’Ohio hanno scoperto nei torrenti dell’Adamello metalli provenienti da proiettili e bombe del 1915-‘18

Migliaia di proiettili di cannone e mortaio, centinaia di chilometri di filo spinato, un numero incalcolabile di colpi sparati da pistole, mitragliatrici e fucili. La Grande Guerra, che gli eserciti dell’Italia e dell’Austria-Ungheria hanno combattuto sulla Presanella e sull’Adamello tra il 1915 e il 1918, ha causato migliaia di morti, feriti e congelati, ha sconvolto le vette, le alte valli e i ghiacciai, ha creato danni enormi alle popolazioni locali. Le battaglie per il possesso del Corno di Cavento e di altre cime sono tra le più alte della storia europea.

Oggi, più di un secolo dopo quella immane tragedia, i segni lasciati dal conflitto ad alta quota compongono un gigantesco memoriale. I turisti che non si allontanano dalle strade e dagli impianti di risalita possono visitare i musei di Forte Strino, di Vermiglio e di Temù, escursionisti e alpinisti possono raggiungere il cannone italiano della Lobbia Alta e quello austro-ungarico ai piedi del Carè Alto, i tunnel del Corno di Cavento e lo spettacolare Sentiero dei Fiori del Presena.

La memoria della Grande Guerra sull’Adamello, però, non è fatta solo di ricordi e paesaggi. Uno studio recentemente condotto sui tre ghiacciai di Lares, del Presena e d’Amola dai ricercatori del Museo delle Scienze di Trento (MUSE) e dell’Università americana dell’Ohio, con il sostegno della Fondazione Cogeme ETS di Rovato (Brescia) permette di osservare l’eredità della Prima Guerra Mondiale sulle Alpi italiane da un punto di vista diverso: l’impatto sulla fauna glaciale.

I metalli (rame, ferro, piombo, nichel, stagno, arsenico, antimonio, zinco), utilizzati per produrre fucili, mitragliatrici e, cannoni e soprattutto i proiettili, oggi “liberati” dal ritiro dei ghiacciai, lasciano tracce evidenti nelle acque di fusione. Aiuta a studiare la loro presenza l’assorbimento da parte delle larve dei chironomidi, i moscerini che vivono nei gelidi torrenti glaciali.

Ricercatori e ricercatrici statunitensi e italiani, utilizzando la spettrometria di massa, hanno identificato 31 elementi legati ai combattimenti di oltre un secolo fa nell’acqua degli emissari dei tre ghiacciai e nelle larve del moscerino Diamesa zernyi.

Nell’acqua sono stati osservati arricchimenti per antimonio e uranio nel torrente Presena e per argento, arsenico, bismuto, cadmio, litio, molibdeno, piombo, antimonio e uranio nel torrente Lares. Le larve hanno accumulato gli inquinanti in concentrazioni fino a 90.000 volte superiori rispetto a quelle dell’acqua.

In particolare, le larve raccolte nel torrente Lares hanno accumulato la maggior quantità di metalli e metalloidi, compresi quelli più utilizzati nella produzione di proiettili di artiglieria, come arsenico, rame, nichel, piombo e antimonio. Va detto che rame, nichel e zinco sono elementi essenziali per la vita, ma le concentrazioni riscontrate nei siti più contaminati superano di gran lunga quelle considerate normali.

La ricerca è stata pubblicata da pochi giorni dalla autorevole rivista scientifica “Chemosphere”, con il titolo “Metal enrichment in ice-melt water and uptake by chironomids as possible legacy of World War One in the Italian Alps”.

I moscerini che abbiamo studiato”, spiega Valeria Lencioni, coordinatrice dell’Ambito Clima ed Ecologia del MUSE, “sono gli unici insetti che riescono a colonizzare le gelide acque dei torrenti glaciali, dove le condizioni ambientali sono estreme. Il cibo è scarso e le larve hanno l’intestino pieno di limo glaciale che fissa sulla propria superficie i metalli e li può veicolare nel corpo dell’animale”.

Si nutrono probabilmente dei batteri che crescono sulla roccia, essendo scarsi o assenti alghe e detrito organico. Le specie del genere Diamesa sono considerate indicatrici di glacialità e sono minacciate di estinzione dai cambiamenti climatici che alterano l’unico ambiente in cui sono adattate a vivere”.

Nei dati raccolti”, conclude Lencioni, “preoccupa soprattutto il nichel, accumulato in una concentrazione vicina a quella considerata critica per la sopravvivenza di altri insetti”. Sono ancora da verificare gli effetti dell’accumulo di metalli e metalloidi nell’organismo di animali che vivono più lontano dai ghiacciai.

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