Alpinismo

Conclusa la spedizione di Favresse e Villanueva in Groenlandia

I due forti alpinisti hanno rinunciato all’apertura della via sul Mirror Wall, dopo aver scalato 700 metri di parete

Game over sul Muro degli Specchi, in Groenlandia orientale, per il team composto da Sean Villanueva, Nico Favresse, Franco Cookson e Ben Ditton. Salpata in barca a vela dal porto di Oban, in Scozia, all’inizio di luglio, la squadra (di cui facevano parte anche Sean Beecher, Bob Shepton e il capitano Mike Brooks) aveva raggiunto la Groenlandia dopo 40 giorni di navigazione, e stava tentando di aprire una via estrema nella parte centrale del Mirror Wall.

Le cose iniziano però col piede sbagliato. Durante l’avvicinamento, Favresse si procura un profondo taglio alla gamba inciampando in una roccia. “A casa un incidente del genere sarebbe stato sistemato con un paio di punti. Ma in un luogo così remoto, senza nessuno che sapesse ricucirmi e con la voglia di arrampicare, è tutto più complicato”, ha riferito lo scalatore belga.

L’apertura della via

Dopo questa prima difficoltà, risolta grazie alle doti improvvisate di primo soccorso del capitano Brooks, gli scalatori cominciano il lavoro in parete, che si rivela molto più duro del previsto. “La linea più ambiziosa che abbiamo mai tentato”, confessa Favresse. Quest’ultimo, nonostante la ferita, comincia ad aprire il primo tiro. Dopo soli 10 metri, tuttavia, si vede costretto a piantare uno spit e a cedere il passo al compagno Sean Villanueva. Questi impiega 8 ore per salire il tiro, di 30 metri, lasciando in parete 4 spit. Quella notte la ferita di Favresse si infetta, e Villanueva è obbligato a scalare da primo tutti i tiri per i successivi 8 giorni in parete, con un misto di arrampicata libera e artificiale, e con runout fino a 15 m.
Tuttavia, dopo 700 metri di parete, a 30 metri di distanza da una sezione più facile, Villanueva si trova ad un punto critico. Dopo varie cadute su un diedro di roccia marcia, capisce che restano solo due opzioni: piantare una serie di protezioni con il trapano per proseguire, oppure ritirarsi. La prima opzione avrebbe significato infrangere le ferree regole con cui la squadra aveva deciso di condurre la scalata, dunque è stato scelto di abbandonare l’impresa.
In questo genere di avventure, la rinuncia fa parte del gioco: “In un certo senso, quello che dà valore alla scalata è il fatto che non si è capaci di scalare tutte le pareti, che alcune rimarranno un sogno e si manterranno considerate impossibili”.

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