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I ghiacciai si sciolgono e affiorano reperti bellici. Tornano i recuperanti

Mille ordigni recuperati dall’Esercito sull’Adamello. Ma poi ci sono i collezionisti. Ne abbiamo parlato con Walter Belotti, presidente del Museo della Guerra Bianca di Temù

I ghiacciai lombardi potrebbero estinguersi entro la fine del secolo. L’inesorabile processo di scioglimento, accentuato dalle elevate temperature estive causate dai cambiamenti climatici, non solo modifica il paesaggio d’alta quota ma ha come effetto collaterale anche quello di restituirci frammenti del passato. È il caso dell’Adamello, dove intorno a quota 3.000 continuano a riaffiorare proiettili della Prima Guerra Mondiale. L’operazione “Adamello 2023”, sul versante trentino, ha visto impegnati quest’estate i militari del 2° Reggimento genio guastatori della Brigata Alpina “Julia”, in particolare artificieri, a disinnescare e a trasportare a valle oltre mille ordigni di medio e grosso calibro.

Da oltre cent’anni, la montagna d’alta quota è lo scenario di una caccia al tesoro. I primi furono i recuperanti, che alla fine del conflitto raggiungevano gli accampamenti e le trincee in quota per portare via legno e ferro da rivendere. «Spesso si ingegnavano come artiglieri senza esserlo», commenta Walter Belotti, scrittore e presidente del Museo della Guerra Bianca di Temù, di cui è anche uno dei fondatori. «Cercavano di recuperare gli esplosivi, che venivano poi usati nelle cave o per altri scopi, consentendo loro di guadagnare bene. Ma tanti morivano. Venivano staccate anche le corone di rame dei proiettili per recuperare il metallo».

La legge non consente di portarsi a casa i reperti bellici. Eppure…

Complice il clima, i recuperanti sono tornati. Oltre ai militari, in prima linea nelle operazioni di bonifica per consentire agli alpinisti di salire in quota senza rischi, ci sono i collezionisti. Gente che impazzisce per un elmetto, una sciabola, un’ogiva. Ma è lecito raccogliere questi reperti storici? Walter Belotti, che da cinquant’anni partecipa alle ricerche con passione e con l’obiettivo di portare ogni oggetto trovato al museo, è chiaro: «Esistono due normative, la legge nazionale n.78 del 2001 e la n.28 del 2008 della Regione Lombardia, che lo vietano esplicitamente. Solo il Museo della Guerra Bianca è autorizzato a prendere i materiali rinvenuti relativi al primo conflitto mondiale. Chi porta via qualcosa, commette furto ai danni dello Stato».

Certo, questi “ladri” di reperti storici andrebbero presi in flagrante per essere denunciati. Ma i recuperanti del XXI secolo hanno spesso vita facile, perché non c’è la polizia ad attenderli in fondo al ghiacciaio. Così gli oggetti rinvenuti, se non finiscono in una collezione privata, sono venduti nei mercatini. Nel tempo, i materiali più importanti sono stati già ritrovati e assicurati al museo. Ma anche qualcosa di apparentemente insignificante può avere valore per gli studiosi. «Ci sono le storie dei soldati dietro agli oggetti», commenta Belotti. «Asportando un materiale dal luogo in cui si trova, si impedisce di coglierne il contesto e la sua rilevanza. Vorrei fare un esempio. Abbiamo trovato una fotografia, appartenente a un soldato austriaco, che mostrava una messa celebrata da un cappellano per ringraziare della vittoria sugli italiani del 9 giugno 1915 e per onorare i caduti. Quattro anni fa, proprio grazie a quella foto, sono riuscito a trovare il masso altare dove si era officiata quella messa, al Passo Paradiso».

In questi tempi di riaffioramenti inattesi, come comportarsi quindi se si trova qualcosa? Il presidente del Museo della Guerra Bianca invita alla prudenza in caso di ordigni bellici. Potrebbero essere inesplosi, è preferibile non toccarli. Meglio scattare una foto con il cellulare e comunicare la posizione esatta ai carabinieri. Se invece si tratta di altri oggetti trovati in territorio lombardo, la segnalazione va fatta al museo (https://www.museoguerrabianca.it/).

I reperti della Grotta del Monte Scorluzzo in mostra a Temù

Ogni testimonianza è preziosa e aiuta a capire meglio questa guerra d’alta quota. Fiore all’occhiello del 2023 è la mostra “Dal ghiaccio dello Scorluzzo il vero volto della guerra: fame, freddo, privazioni”. Dal 2017 al 2020, sul monte Scorluzzo (3094 m) che sovrasta il passo dello Stelvio gli esperti del museo hanno lavorato nei mesi di luglio e agosto per due settimane con l’obiettivo riportare alla luce 313 reperti recuperati in una grotta sigillata dal ghiaccio, utilizzando idropulitrici a getto di acqua calda. «È un autentico spaccato di vita dei militari austriaci, che presidiavano lo Stelvio dominando la strada che va Bormio, ma facevano la fame», racconta Belotti. «Abbiamo trovato pantaloni rattoppati e noccioli di frutti spaccati per estrarre l’armellina al loro interno e consumarla». È importante che questa grotta sia stata trovata intatta: ogni oggetto è stato fotografato e documentato, prima di essere restaurato e poi trasferito a Temù. Qui è stata allestita una mostra temporanea, in attesa che la baracca e il suo contenuto siano conferiti a un nuovo museo che verrà creato a Bormio, in una caserma degli alpini. Che fine hanno fatto i soldati della grotta? «Il 3 novembre 1918 gli austriaci hanno abbandonato la postazione sullo Scorluzzo. Gli italiani che hanno occupato la cima li hanno visti fuggire. L’inverno alle porte ha provveduto a bloccare ogni accesso con uno strato di ghiaccio».

Il Museo della Guerra Bianca vanta molti tesori. Come un pezzo d’artiglieria da 70 mm da montagna che veniva trainato su pattini per essere mobile sul ghiacciaio. «A ogni vampata della bocca di fuoco, il nemico mirava per distruggerlo, ma non ci riusciva perché veniva velocemente spostato», dice Belotti. Tutto il patrimonio storico custodito a Temù è frutto del lavoro pluridecennale di volontari, dalla ricerca alla catalogazione, dallo studio al restauro. Merita una visita: da settembre, è aperto tutti i weekend.

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