Inaugurato il MUVAR: il cacciatore che 14.000 anni fa viveva sulle Dolomiti ha finalmente una casa.
Il Museo dell’Uomo della Val Rosna si trova a Sovramonte, nel Bellunese, poco distante dal luogo del ritrovamento. In nove sale racconta la storia di un periodo lontanissimo. E rivela il primo caso documentato di cura odontoiatrica della storia
La data esatta del decesso non si conosce, 14mila anni fa non si tenevano certi registri. Di sicuro il cacciatore del Paleolitico ritrovato nel 1987 nella Val Schenèr, che collega Fonzaso al Primiero nel Bellunese, è l’essere umano più vecchio mai ritrovato sulle Alpi: i “cugini” Ötzi e Valmo (l’uomo del Mondeval) risalgono a periodi molto più recenti. E’ lui, dunque, che testimonia il primo popolamento umano delle Alpi.
Il suo corpo fu scoperto da Aldo Villabruna, appassionato e studioso di preistoria, che durante i lavori di rettifica del tracciato stradale notò un accumulo di materiali detritici a forma di cono. Lo scavo archeologico della sepoltura cominciò nel 1988 e i lavori furono diretti dal professor Alberto Broglio dell’Università di Ferrara, con la collaborazione degli “Amici del Museo” di Belluno. L’Uomo della Val Rosna, incompleto da metà dei femori in giù, fu deposto disteso e supino in una fossa profonda col corpo reclinato a sinistra, verso la parete del riparo. Sul suo avambraccio sinistro furono posti un sacchetto contenente una punta in osso decorata da tacche, un coltello a dorso, una lama e un nucleo in selce, un ciottolo di siltite, usato come ritoccatore, e un grumo di sostanza resinosa, forse mastice. La fossa venne interrata e coperta da pietre, raccolte nei torrenti circostanti, alcune delle quali dipinte con ocra rossa.
Un altro elemento di unicità è dato dalla copertura di pietre dipinte, che rappresenta un eccezionale esempio di arte funeraria. Le quattro pietre dipinte che ricoprivano la sepoltura sono costituite da ciottoli con la parte decorata rivolta verso l’inumato e presentano rispettivamente le figure di un uomo danzante, alcune bande lineari e due palchi di cervo. Un’altra pietra piatta, con la parte dipinta rivolata verso l’alto, mostra in modo stilizzato una figura iperantropica, ovvero un uomo dalle molte braccia, a simboleggiare probabilmente la forza. La pittura, visibile a chi entrava, era una vera e propria lapide, che indicava la presenza della sepoltura. Stesso scopo sembra avessero le sei bande in ocra, ancora visibili sulle pareti del riparo in corrispondenza della tomba. Infine, la dentatura dell’Uomo della Val Rosna rivela il primo caso di cura odontoiatrica della storia umana: è stata trovata traccia del trattamento di una carie su un dente del giudizio, tolta con punte di selce affilatissime e disinfettata e sigillata con propoli e cera d’api. La scoperta ha fatto il giro del mondo ed è stata pubblicata sulle principali riviste scientifiche internazionali.
Il Museo: ricostruzioni multimediali filologicamente accuratissime in ben nove sale
I resti del cacciatore sono conservati all’Università di Ferrara, a disposizione degli studiosi, mentre il corredo funerario si trova al Museo Archeologico dei Musei Civici di Belluno. Ieri, 19 settembre, è stato finalmente inaugurato a Sovramonte (BL) un museo a lui dedicato: il Muvar – Museo dell’Uomo della Val Rosna, che propone un itinerario didattico–divulgativo che si avvale delle ultime tecniche di ricostruzione multimediale.
Le nove sale che costituiscono il centro scientifico approfondiscono gli aspetti legati alla sepoltura dell’Uomo della Val Rosna: dalla rappresentazione dei luoghi del ritrovamento, alle modalità di vita dell’uomo preistorico, fino alla particolare sepoltura. La “passeggiata didattica” consente di conoscere da vicino l’antichissimo antenato e le sue abitudini: grazie a ricostruzioni e video è possibile sapere come si vestiva per affrontare il freddo, come consumava i pasti, con quali medicamenti curava ferite e malattie, compresi i denti cariati, quali fossero i momenti della vita del cacciatore e dei suoi contemporanei, come avvenisse la sepoltura. L’accompagnamento delle ricostruzioni con video rivolti ad un pubblico eterogeneo, a cura del regista Stefano Zampini (che già ha realizzato i contenuti video per alcuni musei tra il Veneto e l’Alto Adige), consente di immergersi completamente nella vita e negli usi del Paleolitico Superiore, senza tralasciare le pratiche più crude, come ad esempio la macellazione con la selce.
La soddisfazione degli studiosi
Curatore del centro scientifico è Marco Peresani, archeologo, antropologo e docente dell’Università di Ferrara, tra i massimi esperti del Paleolitico ed allievo del professor Alberto Broglio, il direttore degli scavi archeologici ai Ripari Villabruna: “Non potevano meritare di meglio, il cacciatore inumato al Riparo Villabruna, ma anche il professor Alberto Broglio, lo scopritore e lo studioso di questo straordinario contesto funerario”, spiega, “la cui unicità viene riconosciuta internazionalmente. Il percorso museale, corredato da un infopoint situato nel sito archeologico, rappresenta un tassello fondamentale per restituire alla comunità il valore di questo ritrovamento, foriero di un bagaglio di saperi che traccia l’eredità ricevuta dal passato in funzione del nostro presente e delle nostre responsabilità verso il nostro patrimonio”.
Soddisfazione espressa anche dagli archeologi Diego Battiston e Simone Pedron dell’Associazione Tramedistoria, che proporrà visite guidate, attività didattiche ed escursioni sul territori: “Pur non ospitando al momento reperti originali, il MUVAR riesce a raccontare in modo coinvolgente e accurato il contesto, grazie a nove sale in cui sono esposte ricostruzioni e copie fedeli degli oggetti rinvenuti e dove è possibile guardare video che ricreano filologicamente e in modo suggestivo le atmosfere ed i gesti di 14.000 anni fa. Altri filmati danno la parola ai protagonisti della scoperta, degli scavi e delle indagini, che raccontano in prima persona le fasi della ricerca archeologica”.