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Buon compleanno Nuvolau

Il più antico rifugio delle Dolomiti compie 140 anni. E rimane fedele a sé stesso anche sotto la guida di una giovanissima ampezzana. Un libro appena uscito ne racconta la storia

C’è una cima guardando verso ovest dalla conca d’Ampezzo il cui profilo si distingue tra la carrellata di vette minori comprese tra la Croda da Lago e la Tofana di Rozes. È quella del monte Nuvolau. Tutti la riconoscono, se non altro perché da lontano pare che su quella cima si apposti un minuscolo “corpo estraneo” che interrompe la  continuità della linea che delimita il confine tra rocce e cielo. E quando in tutto il fondovalle è calata l’oscurità, il chiarore rossastro di un sole ormai tramontato in controluce ne esalta la percezione.

Quel piccolo “difetto” che ha mosso la penna del disegnatore di quella linea suggestiva è il Rifugio Nuvolau, il primo rifugio eretto nelle Dolomiti d’Ampezzo, giusto 140 anni fa. Sorge a 2.576 m sulla vetta rocciosa del monte omonimo. Poca cosa, si direbbe, se ci si ferma all’altitudine. Ma immensamente grande se si considera l’infinito giro d’orizzonte di cui si può godere da lassù, ovunque ci si volga, dall’Antelao, al Pelmo, al Civetta, alla Marmolada, al Sella, alla Tofana, al Cristallo, alle Tre Cime di Lavaredo. Una postazione apicale che nulla ha da invidiare a molte altre cime più blasonate.

Un barone tedesco ne finanziò la costruzione in segno di ringraziamento

Era l’11 agosto 1883, quando venne inaugurato il rifugio, giusto un anno dopo la fondazione della sezione ampezzana del Deutsche und Österreichische Alpenverein (al tempo Ampezzo apparteneva all’impero austro-ungarico). Gli attribuirono il nome di Sachsendankhütte, ovvero “Capanna del ringraziamento Sassone”, visto che a finanziarne la costruzione fu un barone di Dresda, Richard von Meerheimb, guarito da una grave malattia proprio durante la sua permanenza nella conca ampezzana.

Era una piccola capanna, pressappoco di quattro metri per quattro, che subito si fece apprezzare nel mondo alpinistico diventando meta ambiziosa per le escursioni di romantici e danarosi viaggiatori, per lo più austriaci, tedeschi e inglesi, che venivano accompagnati lassù dalle guide alpine. Il nome attuale venne attribuito nel 1923, dopo il passaggio di Ampezzo al Regno d’Italia, ma, dopo la parentesi della Grande Guerra, per la sua riapertura si dovette attendere il 1930 quando venne ricostruito e ingrandito. Durante il conflitto, infatti, fu adibito a osservatorio italiano e, sebbene non fosse mai stato pesantemente bombardato, ne uscì praticamente distrutto a causa dei prelievi di legno effettuati dai soldati che se ne servirono per altri scopi.

Nonostante gli ampliamenti e gli ammodernamenti che si sono succeduti nel tempo (in verità mai troppo drastici e invasivi, anzi molto attenti a conservarne le peculiarità), il Nuvolau resta uno degli ultimi rifugi che conserva le antiche atmosfere dei nidi d’alta quota. Certo, la relativa facilità  con cui lo si raggiunge (solo a piedi) lungo sentieri abbastanza facili e ben tracciati, incoraggia un grande afflusso di escursionisti. Ma lassù camere e camerate (in totale 24 posti letto) sono rustiche, come un tempo, con il bagno in comune e senza doccia. L’acqua e l’elettricità sono risorse preziose e vanno utilizzate con moderazione. Pare quasi un miracolo che il Nuvolau – per quanto sia circondato dai rifugi high-tech, vetro e acciaio, wi-fi, sauna  e menù gourmet – abbia conservato questo suo carattere.

Un libro celebra i primi 140 anni del rifugio Nuvolau

Molto lo si deve all’amore con cui, dalle sue origini fino a oggi, lo hanno gestito generazioni di famiglie ampezzane. Lo ha ribadito il presidente del Cai di Cortina, Luigi Alverà, in occasione della presentazione di un prezioso e documentato volumetto pubblicato dal sodalizio dal titolo “Sachsendank 1883 – Nuvolau 2023, 140 anni di storia e memoria”, scritto dagli ampezzani Ernesto Majoni e Roberto Vecellio: “Questo libro ci aiuta a capire cosa vuol dire costruire, gestire e mantenere un rifugio”, ha detto Alverà. “Il Nuvolau interpreta il significato principale di questo termine: un rifugio è un riparo che garantisce sicurezza e ospitalità. Lo hanno gestito sempre famiglie ampezzane: prima i de Zanna, poi Mansueto Siorpaes e sua moglie Giovanna per 47 anni, oggi Emma Menardi con le sorelle, gli zii, i genitori. Tutti mostrando passione, dedizione, sacrificio e tanta capacità di adattamento”.

Solo da dieci anni al rifugio sono arrivate con difficoltà le tubature dell’acqua, che corrono su una cengia, captata dalla sottostante sorgente di Forcella Nuvolau. Quando era gestore Giusto de Zanna saliva e scendeva più volte al giorno fino a quella sorgente con sulla schiena 20 litri d’acqua alla volta. A fine stagione pesava 45 chili, raccontano. Quando tre anni fa il Cai di Cortina emise un bando per cercare un nuovo gestore (Mansueto e Giovanna erano andati meritatamente in pensione) alla sezione ampezzana pervennero ben 250 domande da tutto il mondo. Tra queste tante di persone che inseguivano una svolta avventurosa della loro vita, inconsapevoli di cosa significasse gestire un rifugio come il Nuvolau. La scelta ricadde su Emma Menardi, una giovane brillante ventisettenne ampezzana con già un bagaglio di esperienze specifiche maturate in ambito internazionale. Il Nuvolau resta in buone mani.  “I rifugi sono muri” dice Ernesto Majoni, “ma sono animati dagli uomini e quella del Nuvolau è una storia di uomini”. E, naturalmente, di donne.

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