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La montagna sicura è un raggiro

L’affollamento estivo riporta al centro del dibattito il tema del rispetto della montagna e della sicurezza. A chi mi chiede consiglio rispondo di provare a sovvertire completamente abitudini e prassi consolidate.

Con l’arrivo dell’estate, la montagna s’offre ai sempre più numerosi appassionati d’alpinismo, arrampicata, escursionismo e vita all’aria aperta. E l’estate affollata riporta ciclicamente al centro del dibattito il tema del rispetto della montagna e della sicurezza.

A chi mi chiede consiglio rispondo di provare a sovvertire completamente abitudini e prassi consolidate. “Cosa mettere nello zainova declassato all’ultima cosa da fare, così come la ricerca ossessiva di informazioni cartacee e digitali della salita da affrontare.

Qual è piuttosto il nostro reale punto di attenzione? Il naturale spazio più o meno verticale dove collocarci, senza alcun condizionamento o forzatura, dove possiamo muoverci anche al limite delle nostre capacità, ma in grado di cogliere quel che accade in ogni momento?

La montagna è piena di pericoli che non si possono eliminare, così come non si possono eliminare i dubbi e le difficoltà che incontriamo mentre la attraversiamo. Per questo non si può e non si deve parlare di sicurezza in montagna, che è saldamente insicura, dai sentieri alle grandi pareti.

Pericolo, incertezza e dotazioni ridotte al minimo, sono l’essenza stessa dell’alpinismo, quello smarrimento che ci fa apprezzare il valore della vita, quella condizione che ci fa mettere a fuoco quello che conta. Con queste poche cose affrontiamo la parete che si fa salire, non come un gioco, ma nemmeno con troppa serietà, in una scoperta continua, tra passi incerti e scoperte inattese.

Le migliori energie vanno convogliate per scegliere obiettivi alla propria portata, dove ci si può muovere in reale consonanza con quel che ci circonda e percepire quel che accade in ogni istante. Questa situazione è l’unica in grado di metterci in condizione di prefigurare gli scenari di un’ascensione e muoverci d’anticipo rispetto alle mille potenziali trappole in agguato, cui tutti, bravi e meno bravi, siamo facili prede.

Per questo, oltre alla consolidata prassi di  ricerca di attrezzi all’ultimo grido, informazioni, ripasso di tecniche di salvataggio e autosoccorso, collezione di pietre o ghiaccio da salire, diamo ascolto a quel che siamo, alle nostre paure, come percepiamo l’intorno mentre arrampichiamo e a come ci sentiamo mentre lo facciamo.

Proviamo ad affrontare salite considerate semplici, ma con meno materiale. Scendiamo di grado, ma proviamo ad arrampicare decontratti, senza fermarci a ogni chiodo. Sperimentiamo la ricerca completa e autonoma della via alla nostra portata, piuttosto che insistere su percorsi oltre misura dove ci troviamo persi, senza una traccia nella neve, o una cordata da inseguire.

Questo non è da intendersi come una regressione, ma un invito a testare al meglio la scoperta di sé e dell’ambiente, trovando il proprio equilibrio; puntare a questi obiettivi ci dà l’opportunità di vivere pienamente l’esperienza, tollerare e comprendere i rischi insiti nell’attività e imparare a scalare con migliore efficacia e meno fatica.

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2 Commenti

  1. Ottimo spunto e complimenti per il messaggio da far leggere a molteplici persone, che purtroppo al giorno d’oggi molti vivono solo con il social e per il social ed hanno il bisogno di dover dimostrare, senza più ascoltare se stessi ma il proprio ego!

  2. Fermo restando che condivido le conclusioni dell’articolo, le premesse (“non è importante cosa si mette nello zaino”, “inutile informarsi troppo”) mi sembrano contrapposte più a fini polemici che di merito. Bisogna invece fare tutte e due le cose: seguire le proprie capacità, conoscere sé stessi; e preparare lo zaino giusto in base alle informazioni raccolte. le due cose non sono in contraddizione, insomma. E il bravo alpinista è quello che torna a casa a fine giornata, non dimentichiamolo.

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