News

Investire nello sci di pista è accanimento terapeutico. Intervista alla presidente di Legambiente

La stagione sciistica 2022/2023 era stata annunciata in pompa magna con l’introduzione, da quest’anno, del Matterhorn Cervino Speed Opening. La prima e più alta discesa libera transnazionale di Coppa del Mondo, con partenza dai quasi 4000 metri di quota della Gobba di Rollin nel territorio della svizzera Zermatt e arrivo ai 2800 metri dei Laghi di Cime Bianche nel comprensorio di Cervinia, si sarebbe dovuta tenere il 29 e 30 ottobre per gli uomini e il 5 e 6 novembre per le donne. Ma le temperature elevate di ottobre, unite all’insolita siccità, hanno impedito agli organizzatori di innevare artificialmente l’ultimo tratto di pista alla base del ghiacciaio. Risultato: gare annullate e appuntamento rimandato. Il flop della partenza in Coppa del Mondo è il segno, simbolico ma molto evidente, delle difficoltà con cui prende avvio la stagione sciistica dopo le chiusure per Covid, un inverno 2021/2022 estremamente secco e gli annunciati rincari energetici. D’altronde la crisi di un comparto come lo sci alpino precede abbondantemente la pandemia e l’anno in corso che probabilmente si rivelerà il più caldo della storia.

Il tema è molto complesso ma si può riassumere in estrema sintesi raccontando di un settore economico che da oltre 20 anni ha visto un aumento vertiginoso delle spese di gestione, anche direttamente provocate dal riscaldamento climatico per la produzione di neve artificiale, a fronte di un generalizzato calo di presenze. Nel contesto italiano e degli altri paesi alpini, gli enti pubblici sono stati costretti a intervenire economicamente per sostenere il comparto turistico e l’indotto che genera. Nel nostro paese abbiamo le Regioni a statuto autonomo che possiedono a tutti gli effetti i pacchetti di maggioranza delle stazioni sciistiche e quelle a statuto ordinario che le sostengono tramite finanziamenti per l’innevamento artificiale, per il rinnovo degli impianti di risalita e altri meccanismi più o meno diretti per evitare le norme europee contro gli aiuti pubblici alle società private. Insomma, una sorta di circolo virtuoso per chi pratica o vive di sci alpino ma al contempo vizioso per tutti gli altri le cui tasse servono per sostenere un sistema economico dalle prospettive non certo rosee.

Per approfondire concretamente la tematica abbiamo coinvolto Vanda Bonardo, presidente di Legambiente, che da tempo denuncia la problematica pubblicando ogni anno il dossier “Neve diversa” per mettere in rilievo criticità e raccontare le buone pratiche del turismo invernale in montagna.

Come si preannuncia la stagione invernale 2022/2023 per la montagna invernale e per il comparto neve, in particolare?

Direi che si sta prefigurando la tempesta perfetta. Purtroppo non dal punto di vista meteorologico, visto che permangono condizioni di temperature elevate e clima secco, ma dal punto di vista economico perché dopo due inverni di sostanziale chiusura provocata dalla pandemia, dopo la scorsa stagione poverissima di neve, quest’anno non ci saranno più ragionevolmente restrizioni per il Covid, ma all’incertezza climatica si aggiungerà il problema dei costi energetici. Non solo gli impianti di risalita e di innevamento artificiale sono molto energivori, ma anche l’indotto fatto di alberghi di lusso con spa e piscine riscaldate, per esempio.

Nel dossier “Neve diversa 2022”, pubblicato lo scorso marzo, avete rilevato un incremento di stazioni chiuse a causa dei postumi della pandemia e della scarsità di neve. È una situazione che si aggraverà nel prossimo inverno?

Premetto che inizieremo a lavorare al nuovo dossier nelle prossime settimane, quindi non abbiamo ancora un quadro chiaro della situazione. Di certo, però, sappiamo che diverse regioni stanno utilizzando i fondi del PNRR per riattivare stazioni chiuse oppure tenere in vita quelle più in difficoltà. Si tratta quasi sempre di impianti di risalita posti a quote troppo basse che, con i tassi attuali di riscaldamento climatico, saranno comunque costretti a chiudere nel giro di pochi anni a meno che qualcuno non si inventi una neve che scioglie a 10°. La definiamo una situazione da accanimento terapeutico in cui, non mi pare sinceramente il caso di investire finanziamenti destinati allo sviluppo verde del nostro paese. E non mi sembrano nemmeno esempi di resilienza.

Eppure, sempre dalle vostre analisi, emergono esempi virtuosi di realtà montane che vivono e creano ricchezza anche senza lo sci. Rappresentano realmente un modello alternativo?

È ciò che stiamo tentando di dimostrare. Nel dossier 2022 abbiamo pubblicato un testo di Federico Nogara che afferma come in molti comuni alpini privi di impianti di risalita, l’aumento dei redditi e della ricchezza, dei livelli di occupazione e dei flussi turistici è pari se non superiore a molti comuni con stazioni sciistiche. E si tratta spesso di territori che non ricevono investimenti pubblici nelle infrastrutture, nei servizi e nella promozione turistica paragonabili a quelli dove si scia. Parlo di esempi che, dalla Val Maira in poi, sono nati grazie alla buona volontà dei singoli e hanno dimostrato l’efficacia della diversificazione. Ma allora ci chiediamo: dove sono gli enti pubblici? E perché i decisori politici continuano a sostenere in maniera vergognosa un mondo che non ha speranza invece di sostenere realtà e modelli che si stanno dimostrando più funzionali anche da un punto di vista strettamente economico? Il Re è nudo, ma facciamo finta di non vederlo!

Tags

Articoli correlati

5 Commenti

  1. Lo sci alpino è stato e viene presentato come unica fonte di sopravvivenza per molti paesi montani. Ad oggi si insiste con investimenti che non capisco su quali basi possano essere considerati vantaggiosi. Con l’aumento delle tariffe elettriche e la carenza di acqua i costi sia per produrre neve artificiale che per far funzionare gli impianti di risalita saranno altissimi. Ribaltati sul costo dello skipass renderanno lo sci una pratica riservata a pochissimi.
    Le stazioni sciistiche piccole sono già sull’orlo del fallimento per il restringimento della platea dei praticanti.
    Il futuro è nero. Converrebbe usare il denaro pubblico in investimenti diversi, almeno finchè siamo a tempo.

  2. Rispondo all’ultima domanda del servizio: perchè la politica deve mangiare e il pane deve arrivare da qualche parte

  3. concordo pienamente con Mario. Troppi politici “magnano” su questi finanziamenti e’ un dato di fatto. Le cronache sono piene di malefatte perpretate da amministratori pubblici, solo chi NON vuole vedere dice che non e’ cosi’!!

  4. è accanimento e basta!!! di terapeutico non c’è nulla.. siamo ancora in una situazione di siccità e ci si preoccupa di sparare la neve sulle piste. l’essere umano è in una spirale involutiva senza fine…

  5. Aiuto….
    Ma lo sveglio che avete intervistato e anche voi che fate l’intervista, ma vi rendete conto che in italia ci sono decine di migliaia di persone che vivono e danno da mangiare alle loro famiglie grazie agli impianti da sci???
    Scusatemi, ma veramente fate pena.
    Non siete per nulla obbiettivi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close