Ambiente

Vaia: dobbiamo ripensare al nostro rapporto con il bosco

Un bosco che cos’è? Lo sanno tutti. Cosa è che rende bello il bosco? Nessuno sa dirlo davvero” (Robert Walser). Se quando pensiamo agli organismi viventi tendiamo a dimenticarci molto spesso degli alberi, gli eventi recenti hanno reso le foreste qualcosa di più di un semplice “sfondo”. A quattro anni da Vaia, che ha spostato l’attenzione di moltissime persone sui boschi, proviamo a capire quale sia la situazione attuale e quali soluzioni siano state adottate nei territori più colpiti.

Quello che la tempesta ha sicuramente lasciato è che stiamo vivendo modificazioni climatiche che ci pongono di fronte a eventi straordinari, sui quali dobbiamo riflettere, ripensando gli attuali modelli di sviluppo, anche e soprattutto riguardo alla montagna. Sarebbe estremamente importante riuscire ad agire in maniera coordinata tra province e regioni, considerando l’ambiente alpino come unico e senza confini. Dopo catastrofi naturali come Vaia, poi, le persone che vivono in quei luoghi hanno bisogno di elaborare una specie di lutto: l’ambiente, il paesaggio, vengono vissuti quasi come una parte di sé, e quando cambiano bruscamente ci sono effetti molto simili a quelli della perdita di una persona cara.

Per tutte le regioni e province interessate dalla tempesta la priorità è stata quella di ripristinare le infrastrutture e la sicurezza delle persone che vivono in quelle zone; in seguito si sono organizzati i lavori di esbosco. In molti casi la sistemazione della viabilità forestale si è rivelata una scelta vincente, dal momento che ha dato la possibilità alle imprese di arrivare dove serviva. Non bisogna dimenticare, però, che se la foresta è sì un bene comune, dall’altro lato i proprietari forestali giocano un ruolo di primo piano, occupandosi della gestione attiva. Proprio per questo, in un simile evento calamitoso, è stato fondamentale il sostegno della società per gli esboschi, per venire in aiuto ai proprietari in crisi.

Complessivamente nella Provincia autonoma di Trento la superficie colpita da Vaia è stata di 19.800 ettari, per un volume di oltre 4 milioni di metri cubi. I danni da bostrico sono stati stimati in 8.000 ettari e quasi un milione e mezzo di metri cubi. In Veneto sono andati distrutti 20.000 ettari di bosco con 3 milioni di metri cubi di legname a terra, per la maggior parte nella provincia di Belluno (67%), in parte in quella di Vicenza (32%) e solo minimamente in quella di Treviso (1%). Qui il bostrico ha colpito circa 3000 ettari, per un milione di metri cubi di legno. Nella Provincia autonoma di Bolzano la superficie schiantata è stata di 6.000 ettari, tranne che in piccole aree non raggiungibili tutto il legname è stato elaborato, per più di 1,6 milioni di metri cubi esboscati. Negli inverni successivi, però, ci sono stati schianti da neve per 2 milioni di metri cubi, molto più diffusi e difficili da recuperare, che hanno fornito un ottimo substrato per il bostrico. Quest’ultimo, però, ha colpito moltissimi boschi di protezione, per i quali bisogna valutare cosa bisogna fare e cosa bisogna nonfare.

Nelle Valli di Fiemme e Fassa, Vaia ha atterrato quasi un milione e mezzo di metri cubi di legname e forse un altro milione verrà perso per il bostrico. Purtroppo è stato necessario agire con urgenza anche a causa della durata “legale” dell’emergenza entro cui era possibile ricevere aiuti finanziari per gli interventi, ma diverse valutazioni – e purtroppo spesso ce ne si rende conto a posteriori – avrebbero avuto bisogno di più tempo. Dove i boschi non avevano funzione protettiva nei confronti di zone abitate o strade la rimozione degli alberi caduti è stata economicamente utile, ma in altri casi forse è stato avventato compiere la stessa scelta. Erroneamente si pensa che un bosco in cui le piante cadono sparisca”, eppure non è così: semplicemente entra in una fase nuova, che presenta caratteristiche diverse sia di tipo morfologico che funzionale. Grazie alla copertura di tronchi caduti, che proteggono il terreno, molti arbusti stanno infatti crescendo, ricomponendo il paesaggio e preparando la “strada” per gli alberi. Rispetto alla superficie spoglia lasciata dall’esbosco (che spesso crea un effetto “desertificante” che richiede in molti casi il rimboschimento artificiale), poi, è sicuramente più efficace contro la caduta di sassi e la formazione di valanghe.

Una zona colpita, quindi, può trasformarsi anche in un’area per svolgere ricerca e divulgazione sulle dinamiche di ricostituzione naturale del bosco: nei dintorni del Passo Lavazè 20 ettari di terreno sono stati lasciati alla natura affinché si ripari autonomamente, con la sola costruzione di una strada forestale e di due sentieri per monitorare l’evoluzione di tutti i processi. Invece di esboscare, distruggendo così la vegetazione sottostante e rallentando di decenni la ripresa, si è scelto di utilizzare la funzione protettiva dalle valanghe del bosco atterrato. Questa decisione è stata – oltre che dal punto di vista ecologico e paesaggistico – anche economicamente conveniente: se dall’utilizzo del legno si sarebbero potuti infatti ricavare 60-80.000, l’acquisto e il posizionamento di opere fermaneve avrebbe superato 1.500.000.

In alcuni territori molto colpiti, come la pineta di Bedolpian sull’altopiano di Piné, non sarà più possibile tagliare alberi per almeno 30-40 anni – anche perché quelli rimasti sono davvero pochi -, ma se una parte del bosco sta già cercando di ricrescere, con le sue tempistiche, un’altra è invece stata fresata e seminata per diventare sia una zona turistica, adatta a picnic e passeggiate, sia un pascolo per il bestiame delle vicine aziende agricole. Il legno, vero “protagonista” del post Vaia, ha visto in molti casi nella certificazione e nella filiera solidale un modo per rinascere a nuova vita: dal lato edilizia, il mondo della finanza è sempre più attento alla questione della sostenibilità, molti investitori hanno apprezzato lacquisto a un prezzo equo” e l’utilizzo di legname proveniente dagli schianti causati da Vaia in sostituzione del legno di importazione.

Se il bostrico, da un lato, è stato l’acceleratore di un processo che deve portare a diversificare le foreste, dall’altro la “polverizzazione” fondiaria rallenta o impedisce in molti casi una gestione attiva ottimale. E, purtroppo, il patrimonio naturalistico non è riproducibile: se perdiamo specie, diversità, habitat, non è facile compensare. Le aggressioni che compiamo nei confronti della natura e la depredazione delle risorse ambientali le paghiamo con incendi, alluvioni, catastrofi naturali” a cui abbiamo contribuito però pesantemente. Il bosco è l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, il pavimento su cui camminiamo, i libri nelle nostre biblioteche, la nostra cultura – da Pinocchio, il burattino di legno, alla selva oscura di Dante. Bisogna cercare di fare il più possibile per capirlo, conoscerlo, proteggerlo.

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close