Meridiani Montagne

Dal Kilimanjaro alle Dolomiti, quando il satellite uccide l’avventura

“Il Kilimanjaro è un monte coperto di neve alto 5895 metri, e si dice che sia la più alta montagna africana. La sua vetta occidentale è chiamata, dai Masai, Ngàje Ngài, la Casa di Dio. Vicino alla vetta occidentale c’è la carcassa rinsecchita e congelata di un leopardo. Nessuno ha saputo spiegare cosa cercasse il leopardo a quell’altitudine”.

Se Harry Walden avesse avuto campo, avrebbe chiamato per tempo i soccorsi e non sarebbe morto per la gangrena alla gamba, controllato a vista da un gruppo di famelici avvoltoi. Ma così non avremmo avuto nemmeno lo splendido racconto di Hemingway (Le nevi del Kilimanjaro, ne abbiamo appena letto l’incipit), in cui il protagonista, lo scrittore fallito Walden, all’ombra del più alto vulcano d’Africa, ripercorre nel delirio della febbre la sua vita sperperata.

Viviamo un’epoca tecnologica. Oggi sulle nostre teste volteggiano non più gli avvoltoi, ma i satelliti, meno inquietanti e ben più pervasivi. Sono ben pochi i luoghi sul pianeta in cui “non c’è campo” per l’appunto, e dai quali non possiamo chiamare i soccorsi o telefonare alla mamma. Oppure postare una foto di vetta e certificare, a favore di amici e sponsor, l’avvenuta ascensione. Il primo messaggio su Twitter dall’Everest, ad esempio, fu quello dell’americano Eric Larsen il 15 ottobre 2010. Un secolo fa.

Una di queste isole felici “senza cinguettii” era proprio il Kilimanjaro. Qui, finora, si era soli con se stessi e con il leopardo congelato, niente WhatsApp, niente Instagram a rovinare le mitologiche atmosfere di Hemingway. Ma ora il governo della Tanzania ha annunciato l’attivazione dei servizi internet nella zona delle Horombo Huts, che a 3720 metri rappresentano la più importante base d’appoggio per la salita al massiccio. Un’iniziativa storica, come l’ha definita il ministro della Comunicazione Nape Nnauye, che si completerà entro ottobre con la copertura internet di tutta la montagna, vetta compresa, a favore dei 50mila visitatori che vi giungono ogni anno. Non tutti scalatori, naturalmente, ma molti di questi aspiranti summiter. Stando alle più recenti statistiche, da cinque a dieci di essi (nel numero sono compresi anche i portatori locali) perdono la vita sulla montagna. Vedremo se, avendo campo, i decessi caleranno.

Riportando il problema delle coperture, sia telefoniche sia internet, sulle nostre Alpi, sarebbe interessante vedere come si è evoluto il sistema del soccorso alpino da quando ogni scalatore porta nello zaino, confuso tra corde e ramponi, anche il proprio cellulare. Non mi risulta ci siano ricerche statistiche specifiche, ma la sensazione è che grazie al satellite siano aumentate sia la sicurezza, sia il numero di richieste di interventi, anche superflui. Ogni stazione di soccorso è ricca di racconti di alpinisti che chiamano l’elicottero come se fosse un taxi. Una slogatura, la nebbia, la stanchezza: basta comporre il 118 e si è (si crede di essere) in salvo.

Di sicurezza e soccorsi ho appena parlato con Enrico Demetz, gestore del rifugio Toni Demetz alla Forcella del Sassolungo, “un rifugio nato appositamente per il soccorso” racconta lui. “Spesso le cordate scendono dalla normale con il buio e allora sono in difficoltà. Mi capita di ricevere delle telefonate: ‘Non troviamo il punto di calata!’, dicono. Allora esco dal rifugio e guardo la parete. Vedo la luce delle frontali e capisco dove sono: ‘Ce l’avete proprio sotto i piedi’, gli rispondo. E quando finalmente arrivano in rifugio, un piatto di minestra gliela do comunque, a qualsiasi ora”.

La domanda dunque è la seguente: senza telefono, come finirebbero quelle cordate? Quanti più incidenti ci sarebbero? Oppure: le stesse cordate, senza avere la sicurezza dei soccorsi, si metterebbero comunque in cammino? Dal Kilimanjaro alle Dolomiti, la tecnologia satellitare ha cambiato le nostre percezioni e i nostri comportamenti. Spesso ci ha salvato la vita. Ma, come diceva Messner (riferito ad altro), ha ucciso l’avventura.

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2 Commenti

  1. Lavoro nel campo aerospaziale, per la precisione dei lanciatori di satelliti nello spazio.
    Presto avremo costellazioni di satelliti che permetteranno chiamate cellulari da qualsiasi punto del globo, mare e montagna, compresa la geolocalizzazione, per avere una richiesta di aiuto circoscritta senza perdere tempo a spiegare la posizione.
    Ammiro e rimpiango quanto ha saputo fare R. Messner; oggi tutti fanno record di velocità e salita dei 14 ottomila, ma non valgono nulla davanti al suo primato.
    Tutto un altro gusto, solitudine allo stato puro, coraggio e abilità indiscussa.
    Purtroppo (e per fortuna) il progresso e le scoperte dell’uomo, da millenni, hanno risolto e agevolato le attività di coloro che hanno vissuto successivamente ai pionieri.
    Neanche Messner sarebbe riuscito ad organizzare le sue 14 spedizioni sugli 8000 se non si fosse aiutato con i rapporti delle spedizioni precedenti fatte talvolta dai cartografi militari di nazioni che hanno investito ingenti risorse umane finanziarie.
    Non sarebbe riuscito a scalare l’Everest in solitaria sul versante cinese, se non fosse esistito un aeroplanetto turboelica che lo ha portato in lento sorvolo a 9000 mt per fotografare e filmare la via di cresta, e testare come reagiva a quelle quote levandosi la maschera dell’ossigeno sull’aereo.
    Insomma, la tecnologia e il riscaldamento del pianeta sanno facendo perdere tutta la poesia dell’alpinismo.

  2. La “Selezione Naturale” fa sempre più fatica a eliminare le singole “mele bacate” fra di noi esseri umani.
    Però mi sembra che da qualche anno si sia riorganizzata e abbia rispolverato vecchi sistemi di selezione di massa.
    Fra un po’ vedremo gli effetti consolidati.
    Auguri !

    Ps: al Kilimanjaro si può andare senza sapere niente di scalate, assistiti molto bene e con visite nei parchi, spendendo meno di 5.000 euro e stando in giro meno di 15 giorni….. un decimo circa che andare su un 8000 basso 🙂

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