AlpinismoStoria dell'alpinismo

“Arti magiche con chiodi, catene e artigli di ferro”: la seconda spedizione all’Everest

Il 26 marzo del 1922, cento anni fa, una comitiva di esploratori britannici lascia le comodità di Darjeeling per dirigersi verso l’Everest. Dieci mesi e mezzo prima, il 18 maggio del 1921, dalla città sulle alture del Bengala era partita la prima spedizione esplorativa, salutata da cene e altri eventi sociali, che si era avviata verso le foreste del Sikkim sotto alla pioggia battente del monsone. Ora invece il tempo è bello, e il Kangchenjunga domina un paesaggio incantato. I partecipanti, però, sanno che in Tibet è ancora inverno, e che le settimane necessarie per traversare l’altopiano verso Tingri e la valle di Rongbuk saranno un’esperienza durissima. Il 6 aprile a Phari Dzong, dove la strada che conduce all’Everest si stacca dalla carovaniera per Lhasa, Howard Somervell, uno degli alpinisti, scriverà nel suo diario di “un freddo diabolico”. 

Ma non ci sono alternative. La spedizione del 1921, partita da Darjeeling il 18 maggio, ha operato sui ghiacciai e sui pendii dell’Everest nel periodo in cui il monsone arriva sull’Himalaya dall’India, portando un clima un po’ più mite ma anche copiose nevicate ad alta quota. Il punto più alto raggiunto, quasi 7000 metri, è stato il Colle Nord, una sella glaciale ai piedi della cresta Nord-est dell’Everest. Una delle informazioni che il capospedizione Charles Howard-Bury, George Mallory e gli altri hanno riportato in patria riguarda il calendario. Per tentare con qualche speranza di successo gli 8848 metri della vetta occorre arrivare prima del monsone. 

La partenza anticipata non è la sola differenza tra le spedizioni del 1921 e del 1922. Il Mount Everest Committee, in cui collaborano l’Alpine Club e la Royal Geographical Society, ha lavorato a preparare la nuova impresa mentre la prima squadra era ancora nel cuore dell’Asia. Mallory e gli altri tornano a Londra alla fine di novembre, quando al nuovo imbarco alla volta di Bombay mancano esattamente tre mesi. Per George Mallory quei novanta giorni sono un periodo durissimo. Tiene molte conferenze, e questo complica i rapporti con la moglie Ruth e con i figli. Esita, poi decide di andare, e questo cambia per sempre la sua vita. Charles Howard-Bury, già prima di tornare in patria sa che verrà sostituito dal generale Charles Bruce, e non la prende bene. 

Nella squadra selezionata per l’Everest, stavolta, gli alpinisti sono molto più numerosi di un anno prima. George Mallory è il solo a partecipare alle due imprese. Accanto a lui, il personaggio più noto è Tom Longstaff, che ha all’attivo esplorazioni e ascensioni in Garwhal, nel Karakorum e alle Spitzbergen. Nel 1907, sui 7120 metri del Trisul, ha raggiunto la vetta più alta mai salita dall’uomo. Howard Somervell, un medico di Kendal, alle porte del Lake District, ha alle spalle centinaia di ascensioni sulle Alpi e dipinge splendidi acquerelli. E’ medico e viene dalla stessa cittadina Arthur Wakefield, un pioniere della corsa in montagna. Edward Norton, un aristocratico che ha scoperto l’alpinismo tra il Monte Bianco e il Vallese, entra nel gruppo senza referenze particolari, ma si adatterà molto bene all’alta quota. Il tenente colonnello Edward Strutt diventerà negli anni Trenta presidente dell’Alpine Club. Fanno parte del team Colin Crawford e i due responsabili dei trasporti, John Morris e Geoffrey Bruce, cugino del capospedizione. 

La Grande Guerra ha lasciato dei segni terribili sull’anima di molti di questi uomini. Norton, come Mallory, è sopravvissuto alle trincee della Somme, di Passchendaele e di Ypres. Wakefield e Somervell, entrambi ufficiali medici, hanno prestato servizio sul Fronte Occidentale, amputando e operando centinaia di ragazzi fatti a pezzi da mitragliatrici e cannoni. Dopo la spedizione del 1922, Somervell resterà in Asia, e dedicherà la sua vita a curare i malati poveri del Kerala, nel Sud dell’India. La guerra è stata terribile anche per Morris, che ha combattuto come ufficiale dei Gurkha contro le tribù ribelli dell’Afghanistan. Dopo una scaramuccia è tornato indietro per recuperare i suoi uomini feriti, e li ha trovati “trucidati, nudi e con i genitali nella bocca”. 

A segnare il progresso rispetto alla spedizione del 1921 sono altri due personaggi. Il capitano John Noel, protagonista nove anni prima di un tentativo clandestino di avvicinarsi all’Everest, è il cineoperatore e fotografo del team. Le sue immagini (il film The Epic of Everest uscirà nel 1924) saranno fondamentali per la popolarità dell’impresa, e quindi per la raccolta di fondi. Ha un ruolo importante anche George Finch, un fisico australiano che ha studiato in Germania, in Svizzera e a Parigi. E’ un forte alpinista, la sua mancanza di peli sulla lingua lo ha fatto escludere dal team dell’anno prima. I benpensanti dell’Alpine Club e della Royal Geographic Society lo definiscono “radioattivo”. Ma Finch è anche un inventore fantasioso. Mentre gli altri indossano maglioni e giacche di lana, si fa confezionare il primo giaccone imbottito di piumino d’oca della storia. E’ lui a mettere a punto il primo respiratore a ossigeno, uno zaino con fissate quattro bombole d’acciaio. Pesa quattordici chili, e il generale Bruce lo giudica “ridicolo”. Ma gli alpinisti, mentre navigano verso Bombay sul piroscafo Caledonia, iniziano a provarlo.

Come quella dell’anno precedente, per ridurre i problemi logistici, la carovana del 1922 lascia Darjeeling divisa in scaglioni. Quando uomini e animali si riuniscono a Phari Dzong, la dimensione è quella di un piccolo esercito, con 300 yak, 50 muli e un centinaio di portatori nepalesi e tibetani. Tra loro, una cinquantina sono Sherpa. Il sirdar, come nel 1921, è Gyalzen, affiancato dall’interprete Karma Paul. A garantire l’ordine pensano quattro sottufficiali dei Gurkha, nepalesi arruolati nell’esercito di Sua Maestà Britannica. Tutto funziona come un orologio. Il 2 maggio iniziano gli andirivieni di alpinisti e portatori sul ghiacciaio di Rongbuk, dieci giorni dopo viene raggiunto il Colle Nord. Nei due tentativi alla cima, a fine maggio, la quota massima raggiunta è di 8320 metri. Il terzo tentativo, il 7 giugno, s’interrompe sul ripido pendio del Colle Nord, dove una valanga che si stacca dopo le prime nevicate del monsone uccide sei portatori d’alta quota. 

Ma dei tentativi di Mallory, Finch e compagni (tra loro è il Gurkha Tejbiur Bura, che meriterebbe di essere più conosciuto) scriveremo nelle prossime settimane. Per concludere la prima parte di questa storia sono utili le parole di Ngawang Tenzing Rimpoche, il lama del monastero di Rongbuk, dove la spedizione arriva il 30 aprile. Il religioso buddhista si fa spiegare il perché dell’ascensione, osserva con curiosità il materiale che verrà usato sui pendii del Chomolungma, l’Everest degli stranieri. Ma non dà un giudizio positivo. Usano arti magiche con chiodi, catene e artigli di ferro” scriverà qualche anno dopo. “Ho provato grande compassione per loro, che soffrono per un lavoro così inutile”.

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