Alpinismo

Ricerca dell’ignoto, l’alpinismo secondo Francesco Ratti

Da poco rientrato dal Nepal, dove insieme a François Cazzanelli, Emrik Favre, Jerome Perruquet e Leonardo Gheza è riuscito a mettere a segno un’incredibile esperienza esplorativa su Kondge Ri e Tengkangpoche, Francesco Ratti è già tornato al suo quotidiano. Un quotidiano fatto di montagna e della professione di guida alpina che già lo vede in fase di preparazione per la stagione invernale, ormai alle porte. “Giornate tutto sommato tranquille” commenta l’atleta del team Millet che tra un allenamento e l’altro ha tempo per tirare le somme su quanto realizzato e riflettere attorno alla spedizione appena terminata. “Negli anni ho vissuto diverse esperienze, alcune più esplorative, altre meno. Tra il 2016 e il 2017 sono andato in Cina con l’obiettivo di aprire vie nuove su montagna di seimila metri, nel 2019 mi sono dedicato a Denali e Manaslu, su tracciati noti e battuti. Poi ci sarebbero stati K2 e Broad Peak, ma la pandemia ha sconvolto tutti i nostri piani”.

Francesco, come mai la scelta di ripartire con una meta esplorativa anziché puntare a un Ottomila, come già sarebbe dovuto essere?

“Tutto il nostro percorso pre-covid, realizzato nel corso del 2019 insieme a François e agli altri ragazzi, era in previsione della spedizione a K2 e Broad Peak che si sarebbe dovuta svolgere nell’estate 2020. Abbiamo salito prima il Denali, nella primavera 2019, e in autunno siamo andati al Manaslu. Sei mesi dopo sarebbe dovuta arrivare la seconda montagna della Terra, ma così non è stato.”

Quindi?

“Dopo due anni fermi l’idea di ripartire con un Ottomila, magari tra quelli più noti e frequentati, non mi attraeva molto. Raggiungi il campo base, affollato di persone, sali itinerari noti e in parte già attrezzati. Non è l’alpinismo che amo ricercare. Da qui l’idea, condivisa con gli altri, di cercare una via diversa. Montagne più basse e meno note, dove impegnarci tecnicamente, dove andare in esplorazione. Solo noi e la montagna, nonostante il facile accesso e la vicinanza a Namche Bazar.”

Qual è il valore di questo tipo di alpinismo?

“Un tempo Lionel Terray scriveva di ‘conquista dell’inutile’, e aveva ragione. Per me ha senso, per me ha un valore particolare. Per altre persone l’alpinismo può avere un diverso significato, una diversa connotazione. Io nell’esplorazione ritrovo qualcosa che mi fa stare bene, che mi soddisfa e mi realizza. C’è l’ignoto, che si incontra lungo il percorso. Da casa guardi le foto, immagini la fattibilità di una linea, ma solo quando sei sulla montagna comprendi le reali possibilità, valuti le condizioni e di conseguenza il rischio da assumerti. Questo è l’alpinismo. Quel che puoi fare su montagne sicuramente più alte, ma su itinerari già in parte attrezzati e stra conosciuti è diverso, direi più simile a una prestazione fisica, sportiva. Dall’altra parte è avventura pura.”

In che senso prestazione sportiva?

“Quando di una via di salita conosci già tutto sai come muoverti. Sai dove devi salire, dove il rischio e minore, vai a colpo sicuro. Se invece ti muovi in una zona incognita scopri l’avventura. Magari Sali per un tiro duro e sei costretto a tornare sui tuoi passi, immagini una linea che poi viene stravolta dalle condizioni incontrate. È tutto più labile e delicato. Ovviamente non voglio sminuire nessun tipo di salita. Ognuno si deve approcciare alla montagna nel modo che più lo appaga, senza costrizioni e forzature. Per me è la ricerca di qualcosa di nuovo.”

Cosa ti attrae dell’incognito?

“Penso sia una questione legata alla propria filosofia di vita, in termini generali. Ci sono soggetti che sono attratti dall’ignoto e dai rischi che questa condizione comporta. Altre persone preferiscono muoversi su un terreno con meno incognite e si concentrano su altri aspetti. Ci sono anche quelli che fanno entrambe le cose, come François Cazzanelli che trova appagamento sia con l’apertura di una nuova linea che nella ricerca della prestazione fisica. Io sono meno attratto dalla seconda.”

Parli di prendersi dei rischi… domanda stupida: ha senso e quanto sei disposto a rischiare?

“Per me è stimolante, agli occhi di molti altri puoi apparire come un folle o uno stupido. In realtà non c’è giusto o sbagliato. A me piace così. Come chi sale gli Ottomila con l’ossigeno e viene criticato da chi sostiene che quel modo di vivere la montagna sia scorretto.

Fin dove sono disposto a spingermi? Anche questo è soggettivo. Io preferisco evitare situazioni dove i rischi oggettivi sono importanti, situazioni che non potrei gestire direttamente. Preferisco salite dove i rischi sono dovuti alla tecnicità dell’itinerario.”

Non c’è giusto o sbagliato, ma esistono regole universali valide per tutti i frequentatori della montagna?

“Devi farlo per stare bene con te stesso, come persona. Se vai in montagna, godi dei paesaggi, dell’ambiente o arrivi in cima a qualcosa e stai bene lo stai facendo nel modo giusto. Se lo fai con l’ossessione di poter mostrare agli altri quanto hai fatto, forse c’è qualcosa da rivedere.

Ovviamente poi, qualunque sia il tuo stile devi farlo con rispetto per l’ambiente e per la montagna. Puoi salire con l’ossigeno e le corde fisse, puoi farlo in stile alpino, puoi farlo in tanti modi. Alla base di ogni salita ci deve essere la consapevolezza che quel territorio è di tutti e che tutti devono poter godere della sua bellezza intatta, quindi la montagna va lasciata pulita, anche meglio di come la si è trovata.”

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Un commento

  1. Mi piace l’equilibrio che racconta, ma è un professionista, non mette questa condizione nel suo equilibrio.
    Però io non capisco chi si identifichi in un qualsiasi professionismo, mi sembra si crei sempre troppi obblighi.
    Magari fra un poco spiegherà anche questo aspetto.

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