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“Bike to 1,5°C”. Omar Di Felice in bici alla COP26

In bici per duemila chilometri, da Milano a Glasgow, per otto tappe. L’obiettivo? Raggiungere la sede della conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021 (COP26) per lanciare un messaggio importante verso la mobilità sostenibile. Questa la nuova realizzazione di Omar Di Felice, l’ultraciclista amante del freddo che ha deciso di mettersi in sella per sensibilizzare sul tema della crisi climatica.

Coniato il nome di “Bike to 1,5°C” è partito alla volta della cittadina scozzese trasformando, grazie alla collaborazione con Italian Climate Network, una prestazione sportiva in un viaggio divulgativo utile a sensibilizzare su un tema che riguarda tutti noi senza distinzioni. Ogni sera infatti, al termine della tappa, Omar si collegava in diretta social con ricercatori ed esperti di clima e ambiente, da Serena Giacomin a Luca Parmitano, per dialogare attorno al tema. Il risultato è stato un viaggio molto più grande dei chilometri percorsi, una pedalata di gruppo che ha valicato le Alpi per lanciarsi in discesa e attraversare le grandi pianure, poi lo Stetto della Manica e infine risalire verso nord fino a “parcheggiare” la sua bicicletta “all’interno della COP veicolando un messaggio importante nel lungo cammino verso l’abbattimento delle emissioni e la ricerca di contenere l’innalzamento della temperatura media della Terra entro 1.5°C.

Omar, come nasce l’idea di questo viaggio?

“Dopo 10 anni di avventure in giro per il mondo ho avuto occasione di osservare con i miei occhi gli effetti del cambiamento climatico e questo mi ha portato a prendere consapevolezza sul tema, a volermi informare. Da qui è poi nata l’ambizione di fare qualcosa che avesse a che fare con l’ambiente, che fosse di aiuto nella divulgazione di questi temi.”

Cosa vuole raccontate “Bike to 1,5°C”?

“Che si può ancora fare qualcosa per contenere l’innalzamento della temperatura media terrestre entro 1,5°C. Questo grazie alla voce di esperti del settore, di ricercatori e studiosi capaci di portare dati e concretezza scientifica. La bici e il viaggio diventano così mezzo per diffondere e divulgare questi temi.”

Rispetto alle tue altre esperienze è stato un viaggio facile?

“Un viaggio tranquillo, con tappe tra i 200 e i 300 chilometri. Qui l’aspetto sportivo è stato messo in secondo piano, la vera sfida è stata quella comunicativa. Perché non basta raccontare, ma bisogna farlo nel modo corretto. Devo ammettere che mi è piaciuto realizzare una sfida di questo tipo, per questo sto immaginando nuovi progetti che abbiamo alla base la tematica ambientale. Mi piacerebbe muovermi in alcune aree delicate del Pianeta trattando temi specifici.”

Una volta raggiunta Glasgow il tuo progetto non è terminato, perché sei entrato alla COP 26 con la bici al seguito. È stato difficile?

“Forse è stato più difficile questo momento che tutto il viaggio. Arrivato mi sono trovato a dover affrontare numerosi problemi burocratici, restrizioni, difficoltà legate a ragioni di sicurezza, reticenza culturale. Quando poi è finalmente arrivato l’ok all’ingresso con la bici ho capito che ce l’avevo fatto, lì si concludeva la grande avventura.”

Cos’ha simboleggiato?

“Fare quei 50 metri superando la sicurezza ha avuto un grande valore simbolico e politico. Vuol dire: parliamo di sostenibilità, di abbattimento delle emissioni. Portare la bici all’interno ha significato aprire un nuovo tipo di dialogo. Ovviamente non ho la presunzione di cambiare qualcosa, ma è un granello di sabbia che si aggiunge. La bici è entrata in un luogo simbolo, si è creato un precedente che in futuro, spero, vedrà altre iniziative simili.”

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Un commento

  1. Ma basta con queste bagianate.
    Adesso è di moda attribuire tutto al cambiamento climatico, e pur di apparire in siti e giornali, questi “alteti” inventano di tutto.
    Complimenti

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