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Maori in Antartide: primi a scoprirla o primi a inquinarla?

La scoperta dell’Antartide è un evento relativamente recente. La prima spedizione storicamente documentata, finalizzata alla ricerca della leggendaria Terra Australis fu guidata dal capitano britannico James Cook nella seconda metà del Settecento. Il continente appariva su mappe antiche ma mai occhio umano lo aveva visto prima di allora. L’idea di fondo è che fosse necessaria la presenza di una terra laggiù, nell’estremo emisfero australe, per controbilanciare le masse dei continenti del boreale. Cook, che oltre che navigatore era un abile cartografo, circumnavigò la Nuova Zelanda per mapparne nel dettaglio le coste, si spinse poi con il suo equipaggio verso Sud, nel circolo polare antartico, ma spaventato dagli iceberg decise di fare dietrofront, asserendo nel gennaio 1773 che nessun essere umano potesse andare oltre il limite da lui raggiunto. Non concluse dunque che la Terra Australis non esistesse, ma che fosse inaccessibile. Di quel fantomatico continente nessuno parlò più, o perlomeno nessuno si cimentò in viaggi estremi alla sua ricerca, fino a inizio Ottocento.

Il primo avvistamento, meglio dire i primi avvistamenti del “continente bianco”, sono infatti datati 1820. A distanza di pochi giorni nel gennaio di quell’anno furono due le spedizioni ad avvicinarsi abbastanza all’Antartide da vederne i ghiacci con i propri occhi. Il 27 gennaio il primo presunto avvistamento fu realizzato da una spedizione russa, guidata da Fabian Gottlieb Thaddeus von Bellinghausen e Michail Petrovič Lazarev. Tre giorni più tardi fu la volta di una spedizione britannica, che sotto la guida dell’ufficiale navale Edward Bransfield, raggiunse la penisola di Trinity, la propaggine più settentrionale dell’Antartide. Nathaniel Palmer, un cacciatore di foche statunitense, pare abbia a sua volta avvistato la penisola nel novembre 1820.

Il primo essere umano a mettere però piede sul continente antartico arrivò un anno più tardi. Si trattava del navigatore americano, nativo inglese, John Davis, sbarcato presso la baia di Hughes. Quella che vi abbiamo appena raccontato è la storia della scoperta del continente antartico riconosciuta come valida da storici e scienziati, fino a pochi mesi fa, quando uno studio ha potenzialmente cambiato le carte in tavola.

E se i Maori fossero arrivati per primi?

Un team di ricercatori neozelandesi ha raccolto testimonianze della tradizione orale e artistica dei Maori che porterebbe a ritenere plausibile l’ipotesi di un loro arrivo in Antartide secoli e secoli prima di Europei e Americani. I primi viaggi antartici condotti dai Maori risalirebbero infatti al settimo secolo. I risultati della interessante ricerca sono stati pubblicati in un paper dal titolo “A short scan of Māori journeys to Antarctica” sulla rivista scientifica Journal of the Royal Society of New Zealand.

“I racconti polinesiani di antichi viaggi tra le isole includono anche viaggi nelle acque dell’Antartide condotti da Hui Te Rangiora (anche noto come Ūi Te Rangiora) e i suoi uomini, a bordo del vascello Te Ivi o Atea, attorno al settimo secolo”, si legge sul paper.

Hui Te Rangiora era un abile navigatore che condusse numerosi viaggi nel Pacifico. Secondo la tradizione orale, e secondo quanto raccontato in intagli presenti sulle prue delle navi polinesiane, si spinse sempre più a Sud, fino ad arrivare a toccare le acque antartiche e forse a vedere coi suoi occhi il continente.

Come ben sappiamo, sebbene la tradizione di ciascun popolo rappresenti uno scrigno prezioso di memorie, servono controprove scientifiche a supporto di una simile teoria.

Il primato dei Maori è incerto ma…

Se la storia di Hui Te Rangiora e del suo avvistamento antartico è avvolta dalla leggenda, vi è un fatto certo che lega Maori e Antartide in tempi lontani: nel 1300, periodo in cui il popolo polinesiano approdò in Nuova Zelanda, i il fuoco appiccato nelle foreste neozelandesi comportò l’arrivo di fumi inquinanti sul continente antartico. In sintesi, i Maori furono i primi responsabili di una forma di inquinamento antropico dell’Antartide.

Una affermazione dura, che ha anche scatenato reazioni avverse con accuse di razzismo e vedremo a breve perché, che emerge da un articolo scientifico di recente pubblicazione su Nature dal titolo “Hemispheric black carbon increase after the 13th-century Māori arrival in New Zealand”, a cura di un team internazionale di ricercatori tra cui non compare alcun neozelandese. Ecco spiegato perché la Nuova Zelanda sia insorta contro gli scienziati.

Un inquinamento antropico preindustriale

Tralasciando i diverbi, cerchiamo di capire cosa abbiano scoperto nel dettaglio i ricercatori per arrivare a una simile dichiarazione.

“La Nuova Zelanda è stata una delle ultime terre abitabili del Pianeta ad essere colonizzata dagli umani. Residui di carbone indicano che gli incendi fossero rari prima della colonizzazione e successiva espansione tra il 13° e 14° secolo degli insediamenti Maori”, si legge in apertura dell’abstract del paper. I ricercatori affermano dunque che, dall’analisi dei residui di carbone nero presenti all’interno di carote glaciali neozelandesi, sia stato possibile far risalire un significativo aumento degli incendi in Nuova Zelanda ai secoli corrispondenti all’arrivo dei Maori.

La domanda successiva che si sono posti gli scienziati è se il fumo di tali incendi potesse aver raggiunto l?Antartide. Per cercare una risposta state sfruttate carote glaciali, questa volta di origine antartica, così da poter definire quando e in quale quantità, il carbone derivante dagli incendi neozelandesi abbia iniziato a depositarsi sul continente.

Le carote mostrano che i tassi di deposizione del carbone sono rimasti stabili nel corso degli ultimi 2 millenni, con un improvviso aumento delle concentrazioni, di circa 3 volte, verificatosi in particolare nella parte settentrionale della penisola antartica, esattamente 700 anni fa. Ovvero nel 14° secolo.

Si è dunque proceduto a sviluppare dei modelli in grado di ricostruire il movimento dell’aerosol, che hanno portato a concludere che simili dati possano trovare spiegazione soltanto nell’aumento di emissioni da aree quali Tasmania, Nuova Zelanda e Patagonia. Tra queste tre regioni, l’unica che in quel periodo ha mostrato un parallelo aumento degli incendi è la Nuova Zelanda. Si tratta del primo esempio di inquinamento aereo di chiara origine antropica dell’epoca preindustriale.

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