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Alex Txikon a Trento: “Abbiamo cercato di motivare Nardi, ma lui pensava ai social”

“Le tragedie in montagna accadono perché a volte si fanno le cose non per sé stessi, ma per gli altri. Credo che se Daniele si fosse concentrato, si fosse focalizzato, sarebbe ancora vivo. A 39 anni non essere in grado di aiutare un amico, di non convincerlo a rinunciare, è molto doloroso”. A dirlo è Alex Txikon sul palco del Festival dello Sport andato in scena a Trento lo scorso fine settimana. L’alpinista basco, venuto in Italia per presentare “La montagna nuda”, il volume che racconta la storia della prima salita invernale al Nanga Parbat, si è soffermato nel suo intervento su Daniele Nardi e sul loro rapporto a campo base.

Non sono affermazioni leggere quelle di Alex che, senza troppi giri di parole dice: Non avete idea di quante volte abbiamo cercato di motivare Daniele Nardi, di fargli comprendere che l’importante sarebbe stato arrivare lassù, non pensare come prima cosa ai social, alla comunicazione di quel che stavamo facendo”.

A fare questa lucida riflessione è lo stesso Alex Txikon che senza pensarci troppo ha lasciato la sua spedizione al K2 per offrire le sue competenze e conoscenze nelle ricerche di Daniele e Tom Ballard quando, sul finire di febbraio 2019, sono stati dati per dispersi proprio lì, su quella montagna dove tutti negli ultimi anni ci siamo interrogati sul valore della comunicazione in diretta, sull’alpinismo moderno. Per una settimana lui e la sua squadra sono rimasti ai piedi della parete Diamir del Nanga Parbat, l’hanno perlustrata centimetro dopo centimetro. Lui e Ali Sadpara. In qualche modo si è ricostituita la spedizione originale del 2016, di nuovo insieme sul Nanga Parbat. Con gli occhi puntati su quello sperone, quello che a tutti incute timore, cercando una traccia. Poi ecco due puntini, uno rosso e uno blu, la tenda. Sono loro.

Qualche settimana dopo questo ritrovamento Alex ha rilasciato un’intervista al giornale spagnolo Marca affermando: “Con Daniele siamo stati al Nanga Parbat nel 2016. Un’esperienza che non ha funzionato. Mi sento in colpa. Se avessi saputo gestire la situazione in altro modo… Avrò questo rimpianto per il resto della mia vita. Se avessi saputo gestire il rapporto tra Nardi e Simone Moro, forse Daniele sarebbe oggi ancora in vita. Su questa dichiarazione non viene fatto alcun accenno durante il suo intervento, l’alpinista ha spiegato invece che “con l’esperienza che ho, posso dire che è stata una morte crudele. Credo che Daniele avrebbe dovuto essere sulla vetta con noi, ma nel 2016 non aveva dato importanza alle cose fondamentali. Era forte, ma la sua mente allora era su altro. Vederli lì con il telescopio è stato crudele. Mi sono arrabbiato quando recentemente sono tornato al campo base del Nanga Parbat e non ho trovato la targa che avevamo fatto ricordarli. Sì perché Daniele non c’è più, da oltre due anni ormai, e i ricordi sbiadiscono se non si lasciano “monumenti”. La morte pacifica ogni cosa lasciando ai vivi il compito di rammentare, o riflettere.

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