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I rifugi di montagna tra il boom dei sentieri e il Green Pass. Intervista a Mario Fiorentini

Nell’Italia dove vanno di moda i cammini, L’Alta Via numero Uno delle Dolomiti non ha perso il suo grande fascino. “La percorrono italiani e stranieri, da adesso fino alla fine di settembre non abbiamo un posto-letto libero. Lo stesso vale per i rifugi vicini” spiega Mario Fiorentini, gestore del rifugio Città di Fiume ai piedi del Pelmo e presidente dell’AGRAV, l’Associazione Gestori Rifugi Alpini del Veneto. 

Il 2020, e la prima parte del 2021, sulle Alpi e sull’Appennino, sono stati difficili anche per chi gestisce i rifugi di montagna. Dei punti d’appoggio preziosi, affascinanti per il panorama e la storia, ma che non possono fornire gli stessi servizi di un albergo di fondovalle. Strutture gestite con competenza e passione, ma che il governo di Roma e le Regioni spesso ignorano. La decisione di Mario Draghi e del suo Governo di rendere obbligatorio dal prossimo 6 agosto il Green Pass, il certificato che attesta l’avvenuta vaccinazione anti-Covid o il risultato di un tampone negativo, rischia di creare ulteriori difficoltà ai gestori.

Quanti sono i rifugi del Veneto?

“Gli iscritti all’AGRAV sono poco più di 150. Tra questi ci sono 38 rifugi di proprietà delle Sezioni del CAI, e una trentina di veri rifugi di montagna privati. Poi ci sono le strutture accanto alle piste da sci e alle strade, che spesso hanno dei problemi diversi dagli altri”. 

In che senso?

“I rifugi in senso stretto sono piccoli, hanno buona parte dei posti-letto in camerate, hanno difficoltà di approvvigionamento. Per gli alberghi di montagna, anche se piccoli, le cose sono diverse”. 

Mi può fare un esempio? 

“Ne faccio due. Il primo è la legge che impone a tutti di trasmettere per via telematica i dati su chi pernotta, senza tener conto che in molti rifugi non c’è il wifi. L’altro è Tripadvisor, che mette i rifugi nella stessa categoria di alberghi e ristoranti. Con il risultato che molti clienti ci giudicano pubblicamente come delle strutture ricettive scomode e malgestite”.   

Con che regole avete affrontato finora le due estati della pandemia? 

“Con le regole approvate nel 2020 dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, e ribadite due mesi fa. Obbligo di prenotazione e di sacco a pelo proprio, divieto di usare le coperte del rifugio, obbligo di coprimaterasso e coprifedera usa e getta. E naturalmente lobbligo di usare la mascherina all’interno”. 

Alcune tra le Regioni e Province autonome hanno in parte modificato queste regole. Cosa è successo in Veneto?

“La Valle d’Aosta e il Trentino hanno fatto dei cambiamenti importanti. Da noi l’unica decisione significativa è stata di consentire l’uso di coperte e lenzuola nelle camere fino a 4 letti. Una scelta comprensibile, ma che discrimina tra i rifugi-albergo, che mantengono o quasi il vecchio numero di posti-letto, e gli altri rifugi che si ritrovano con una capienza ridotta di oltre la metà”. 

Voi quante persone potevate e potete ospitare per la notte?

“Avevamo 25 posti-letto, ora ne abbiamo da 8 a 10, a seconda di quanti gruppi familiari arrivano”. 

Passiamo ai clienti che arrivano ai rifugi per una gita in giornata. Voi siete a un’ora dalla strada, per voi sono molto importanti. I media, da più di un anno, parlano di un boom della montagna. E’ vero?

“Sì, ma ci sono delle cose da dire. Nell’estate del 2020 abbiamo avuto più gente del solito, e abbiamo lavorato bene. Molti dei nuovi clienti, però, non sapevano bene cos’è un rifugio, non capivano che gli spazi e la distanza del fondovalle qui impongono dei limiti”. 

Qualcuno vi ha chiamato per prenotare una “matrimoniale vista Pelmo?”

“Sì, magari per una settimana, ma questi equivoci si risolvono subito. Il vero problema, sono le persone che non capiscono che se ho finito i panini non ne posso fare degli altri, o che quando i tavoli sono pieni non posso accettare altre persone a pranzo”. 

Quest’estate sta accadendo lo stesso?

“Più o meno, finora con dei numeri un po’ minori. La differenza è che nel 2020 le persone erano estremamente attente alle regole anti-Covid, e ora lo sono molto meno”. 

Tra le due estati c’è stato l’inverno 2020-‘21. Quanto avete lavorato? E come?

“Tra febbraio e marzo, per le tre settimane in cui il Veneto è restato in fascia gialla, abbiamo lavorato benissimo. I clienti casuali sono stati pochi, ciaspolatori e scialpinisti hanno mostrato una grande disponibilità ad adattarsi”.

Mi può dire qualcosa di più sui media? Vi aiutano o vi creano problemi?

“Giornali e televisioni, da un anno, parlano di boom della montagna e dei rifugi. E’ vero, e, se si parla di montagna, per noi è un vantaggio, ma se nessuno spiega che i rifugi hanno un limite, rischiamo di avere sempre più persone che arrivano, trovano pieno e si arrabbiano”. 

Il rifugio Città di Fiume è un posto-tappa sull’Alta Via numero Uno, che è stata inaugurata nel 1966. La percorrono in molti? Cos’ha cambiato la pandemia? 

“L’Alta Via è meravigliosa, e continua ad andare di moda. In passato due terzi dei suoi percorritori aveva come lingua-madre il tedesco, poi sono arrivati belgi, francesi, olandesi, spagnoli, polacchi… Nel 2020 abbiamo avuto quasi solo italiani, quest’anno si rivedono gli stranieri”. 

I rifugi ce la fanno ad accoglierli?

“Sì, ma compatibilmente con la capienza ridotta. E l’esistenza di rifugi di due tipi crea problemi. Nella prima parte, tra l’Alto Adige e Cortina, l’Alta Via tocca dei rifugi-albergo come Sennes, Fanes, La Varella e Lagazuoi, che hanno una capienza quasi immutata. Dal Città di Fiume in avanti si dorme in rifugi tradizionali, che hanno meno posti di prima”. 

Cosa pensa del Green Pass? Riuscirete ad applicare la regola quando verrà imposta anche a voi?

“Sono d’accordo con l’idea, bisogna salvaguardare la salute dei clienti e ancora di più quella di chi nei rifugi lavora. Un positivo nel personale ci costringerebbe a chiudere, e per noi sarebbe un colpo pesante”. 

La regola è chiara? E ci sono norme specifiche per i rifugi?

“La regola non è chiara, perché finora si è parlato di ristoranti e non di alberghi, e ovviamente mai dei rifugi”.

Non andrebbero bene le stesse regole?

“No, perché un rifugio non è solo un posto per mangiare e dormire. Se a tarda sera arriva qualcuno stanco e senza Green Pass, e magari c’è un temporale, lo faccio entrare o no? Devo salvaguardare la salute di chi è già dentro e in regola o quella dell’escursionista stanco? Il nostro rifugio sorge tra prati e boschi, nei rifugi a quote più elevate il problema diventa più serio”. 

Su questi temi riuscite a comunicare con la Regione Veneto, con le ASL o con Roma? 

“Assolutamente no. L’anno scorso noi rifugisti siamo riusciti a farci ascoltare dal Governo solo attraverso Federalberghi, quest’anno accadrà lo stesso, o magari non ci ascolteranno per niente. Parlando in maniera informale con molti funzionari la risposta è “decidete voi, usate il buonsenso”. Non basta. Il Green Pass è giusto, ma i rifugi e chi li gestisce devono essere ascoltati”. 

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