Storia dell'alpinismo

Il dopoguerra e l’alpinismo operaio

La montagna ha un significato profondo per i suoi abitanti e per gli appassionati. Ogni qual volta si arriva a toccare il fondo poi si torna a salire, si cerca tra le vette il significato di una nuova esistenza. È successo dopo la prima guerra mondiale e lo stesso è accaduto dopo la seconda.

È stato difficile ritornarvi nella seconda metà degli anni Quaranta. La grave crisi economica lasciata dal lungo conflitto e la scomparsa di molti forti scalatori ha letteralmente annichilito ogni desiderio di ripartenza. I sopravvissuti avevano ben impressi nella mente i ricordi di quella guerra tra disobbedienti e oppressori che si è combattuta sui ripidi pendii boscosi e poi, i talenti venuti all’onore delle cronache tre le due guerre erano ormai troppo vecchi e stanchi per continuare l’attività alpinistica.

I primi a tornare in quota dopo la guerra sono i francesi, che inizialmente si dedicano alla ripetizioni dei difficili itinerari degli anni Venti e Trenta. Si muovo sulle montagne vicino casa, alla ricerca delle difficoltà estreme. Le pagine di cronaca alpinistica ricominciano così a parlare di montagna, si raccontano le imprese di Gaston Rébuffat che, in una manciata d’anni ripete le cinque classiche nord delle Alpi; si parla di Louis Lachenal, che di lì a poco sarebbe diventato il primo uomo a raggiungere la vetta di un Ottomila (insieme a Maurice Herzog); e di Lionel Terray, che oltre alle Alpi avrebbe lasciato il suo nome impresso dall’Himalaya alla Patagonia. L’alpinismo va quindi avanti, per oltre un decennio, inseguendo i canoni classici di questa disciplina fatti di eroismo, lotta con l’alpe e ricerca delle difficoltà estreme. Il tutto condito da una buona dose di nazionalismo, come ci insegna la storia himalayana.

I francesi riprendono le vecchie vie, oggi grandi classiche, aprono nuovi itinerari e immaginano nuove attrezzature. Il dopoguerra è ricco d’inventiva e i nuovi materiali sintetici non possono che aiutare la genialità e l’intuito degli alpinisti. Nascono staffe con gradini di legno e chiodi dalle forme più svariate.

L’alpinismo operaio

La primavera di liberazioe illude, fa sognare una vita diversa in cui poter realizzare i propri sogni. Ma la realtà è un’altra, come abbiamo già scritto, il finire della guerra porta con se una terribile crisi economica che apre a molti giovani un futuro di miseria. Una vita di sopravvivenza in un’Italia che lentamente rimette insieme i pezzi. L’industria riparte e accoglie ex sognatori nell’alienante lavoro della catena di montaggio. Ripetitivo, sempre uguale, senza possibilità di libertà. La società industriale è una delusione che inevitabilmente spinge i sognatori verso l’alpinismo. Il loro approccio è “aggressivo”, la prestazione diventa il modo per affermarsi e mostrare il proprio valore, per dare un senso alla propria esistenza. È in questo periodo che nascono i famosi gruppi alpinistici come i Pell e Oss di Monza, al cui interno troviamo nomi del calibro di Andrea Oggioni e Walter Bonatti; i Ragni della Grignetta, con Carlo Mauri, Gigi Alippi e molti altri; Gli scoiattoli di Cortina, con Lino Lacedelli e Giuseppe Ghedina.

I fortissimi di quegli anni lasciano il segno con le loro scalate solitarie o invernali. Tra tutti spicca Walter Bonatti che tra gli anni Cinquanta e Sessanta mette a segno numerose prime ascensioni comprendendo anche la risoluzione di importanti problemi alpinistici. Oltre a Bonatti impossibile non citare i francesi Lucien Berardini, Robert Paragot, Luciano Magnone che seppero risolvere la liscia parete ovest del Petit Dru; o la cordata formata da Jean Couzy e René Desmaison che nel giro di due anni riescono sullo spigolo nord dell’Aiguille Noire de Peutérey e tracciano la direttissima sulla parete ovest della Noire.

L’alpinismo non ha più nulla a che vedere con quello che visto Jacques Balmat e Michel Gabriel Paccard raggiungere la vetta del Monte Bianco l’8 agosto 1786. Ora è una disciplina matura con alle spalle una storia corposa e davanti ancora tante pagine bianche da riempire.

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Un commento

  1. Basti ricordare il GAO di Como Gruppo Alpino Operaio , in Isvizzera come si diceva allora, L’UTOE Unione Ticinese Operai ,nata nel 1885,l’essere operai e alpinisti era una condizione ad anche un simbolo, e come dimenticare il mondo operaio di Torino e i suoi alpinisti i Fornelli,divenuto uno di loro , poi gestore del Rif CAI UGET val Veny , il grande Guido Rossa un emblema dell’essere Alpinista e Operaio finanche Sindacalista,questo mondo è scomparso,ne restano vividi ricordi in nicchie di memoria così come il Gustin e altri grandi e comuni, oramai vivi nel ricordarli,fate bene a ricordare un momento esaltante di quei tempi magri duri ma eccezionali.Un Italia di lavoro fatica lotte e grandi risultati anche Alpinistici.Bravi

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