Montagna.TV

Permessi di scalata in Nepal, un sistema arcaico

Non è un 8000, ma si tratta del Chukima Go, 6257m, una bella montagna e salita. Gli alpinisti sono David Suela e il compagno Felipe Valverde, che è precipitato per 800 metri nel vuoto ed è morto dopo aver rinunciato alla vetta e iniziato a scendere. Ne abbiamo dato notizia nei giorni scorsi.

Ma quel che ora fa notizia è ciò che Mikel Zabalza, noto alpinista spagnolo che ha preso parte ai soccorsi, racconta sulle pagine di Desnivel del recupero di David, del suo rientro a Kathmandu e del fatto che i funzionari nepalesi del Dipartimento del Turismo trattengono Suela perché ha infranto la legge.

I due compagni hanno salito una montagna diversa e vicina a quella per la quale le autorità nepalesi avevano rilasciato il permesso. Hanno chiesto alla loro agenzia di permutare il vecchio permesso e di richiederne un altro. Costo 180 dollari. Avrebbero però dovuto andare a Kathmandu di persona per firmare e ritirare la nuova autorizzazione a scalare. David rischia un processo e il carcere, denuncia Zabalza.

Che il sistema dei permessi a pagamento sia arcaico, mal funzionante e generatore di malaffare è cosa nota. Personalmente scrissi più di 20 anni fa che andava cancellato.

Certo il problema della sostenibilità ambientale del turismo su alcune montagne ripropone oggi l’idea di limitazioni alla libertà assoluta di scalata. E bisogna pensarci seriamente. Ma la ragione principale per la quale esistono i permessi di salita è che i bilanci del Nepal e gli stipendi di qualche centinaio di funzionari dipendono dalle royalties che gli alpinisti e trekker pagano. Tasse anche giuste se servono a limitare l’affollamento (intenzione peraltro da tempo fallita) o se servono a mantenere pulito e in ordine l’ambiente naturale (e qui qualcosa di positivo si vede).

Il problema attuale di Devid, vittima di una tragedia dolorosa, sembra invece più ricondursi ad una faccenda di demenza burocratica, che non colpisce certamente solo gli uffici della capitale del Nepal ma in larga misura anche le amministrazioni pubbliche, ancorché montane, europee e in particolare italiane. Forse l’Ambasciata spagnola può dar lui una mano.

Ultima considerazione: se le regole nepalesi sono quelle e note, perché si continua a fare i furbi sperando di farla franca con la complicità di agenzie nepalesi non sempre trasparenti? C’è però anche da riconoscere che in alcuni casi per infrazioni riguardanti l’abuso di concessioni di permessi veri o anche falsi il Dipartimento del Turismo ha comminato alle “sue” agenzie multe salate e alcuni direttori d’agenzia sono stati mandati a processo.

Exit mobile version