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Bene “Save the Duck”, meno le fake news

Correva l’anno 1985 e nasceva il progetto “QUOTA 8000. Alpinismo, Scienza, Cultura”. Ne ero il responsabile organizzativo e il capo spedizione. L’idea di salire tutti gli 8000 con un programma integrato e continuativo era mia, condivisa con un imprenditore giapponese, Riuji Makita, che di moda e marketing era esperto già in quegli anni.

L’ambizione era anche quella di attivare un laboratorio di tecniche e materiali. Importammo dagli Stati Uniti, dalla Malden Mills, il primo tessuto pile (ho ritrovato alcuni anni fa la lettera con la quale ci offrivano l’esclusiva, da mangiarsi le mani!) e ci confezionammo i primi indumenti in sostituzione dei vecchi maglioni; dal Giappone importammo i primi tessuti prodotti dall’accoppiamento tra nylon e una pellicola di teflon, prima del Goretex, e ci confezionammo giacche, tute e tende.

Le tute integrali per scelta tecnica e ambientale le imbottimmo di un’ovatta sintetica particolarmente coibente e facemmo fare le prove di termicità presso alcuni laboratori specializzati. Lo facemmo anche con i sacchi a pelo, niente piuma. Anche la forma e lo styling, con l’accoppiamento di colori vivaci e particolari, fu un fatto stilisticamente rivoluzionario per l’abbigliamento di montagna.

Con questi capi salimmo il K2, il Gasherbrum 1 e 2, il Broad Peak e il Nanga Parbat. Fu, per i tempi, un ottimo successo alpinistico.

Leggo ora che Nicolas Bargi, imprenditore che un anno fa al Luxury Summit del Sole 24 Ore aveva fatto delle anticipazioni, ha ripreso e lanciato l’idea delle imbottiture sintetiche, aggiungendoci una nota forte di marketing ambiental-animalista promuovendo il marchio Save the Duck. Bene, anzi ottimo.

Pagina comparsa sul Corriere della Sera

Ma l’alpinista Kuntal Joisher, indiano, vegano e testimonial in perfetta sintonia “emotiva” con la filosofia di Save the Duck, di cui vediamo la foto pubblicitaria a piena pagina sui quotidiani, non pare invece così perfetto. L’ impresa emblematica celebrata sulle pagine dei quotidiani, che dovrebbe emozionare tutti, è la salita dell’Everest, avvenuta il 23 maggio scorso. Rigorosamente partecipando a una “spedizione commerciale” e arrivando in vetta con l’uso dell’ossigeno supplementare (con tutte le implicazioni ambientali di tali scelte). Niente a che vedere con l’alpinismo, almeno quello tradizionale, come abbiamo recentemente scritto. Che questo di Kuntal sia “alpinismo serio, responsabile e sostenibile”, come scritto sull’autorevole giornale finanziario, lascia piuttosto perplessi.

Nemmeno l’informazione riguardante l’uso del prodotto a marchio Save the Duck, protagonista di una “prima assoluta”, pare totalmente veritiera. Si legge sempre sul “Sole”: “Conquistando l’Everest, la vetta più alta al mondo (8.848 metri), Save the Duck ha segnato un record nella storia dell’abbigliamento tecnico-sportivo: mai un capospalla senza l’imbottitura in piuma d’oca era arrivato così in alto. Il record precedente di altitudine raggiunta è di un anno fa, quando Kuntal Joisher aveva scalato il monte Lhotse, situato sempre in Nepal (8.516 metri), quarta montagna più alta del mondo, composta da tre vette e collegata direttamente all’Everest tramite il Colle Sud”.

Nel 1986 il progetto “QUOTA 8000” portò sul K2, 8.611 m e seconda montagna più alta della Terra, sette alpinisti: Gianni Calcagno, Tullio Vidoni, Josef Raconcaj, Soro Dorotei, Martino Moretti, Marino Nicoletti e Benoit Chamoux, che lo salì in 23 ore, record mai eguagliato. Tutti vestiti integramente con abbigliamento “animal free”. Quattro di loro salirono qualche giorno prima anche il Broad Peak. Ovviamente raggiungendo le vette sempre senza ossigeno supplementare.

Fa piacere che un’idea antica ma buona sia stata ripresa da un imprenditore produttore di ovatte. Successe lo stesso anche allora, il nostro era Thermore. Ma anziché apprezzare le qualità del prodotto attraverso le dubbie prestazioni estreme dell’alpinista (o turista d’alta quota) Kuntal Joisher, farebbe piacere conoscerne le novità tecniche e qualità di isolamento termico.

Se poi ci si deve mettere del marketing lo si faccia, ma rispettando la storia dell’alpinismo e dell’evoluzione tecnica delle sue attrezzature e abbigliamento.

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4 Commenti

  1. Quando vedo un articolo di Agostino Da Polenza, mi metto comodo e comincio a leggere e vorrei che i suoi articoli e le sue storie non finissero mai, anche in questo caso! Grande Agostino, vorrei conoscerti!

  2. un grande progetto per grandi uomini dai grandi risultati
    la vera storia dell’himalaia dei miei tempi
    probabilmente la prima rivoluzione del himalaismo moderno
    complimenti ancora
    Tore

  3. Eh già Agostino, me li ricordo bene quei capi.
    Avanti anni luce, rispetto ai prodotti in commercio in quel periodo.
    Un saluto.
    Ennio

  4. Ma sono ancora reperibili quelle tute di quota 8000 ( che so magari da scorte di magazzino)? Per quanto mi hanno fatto sognare leggendo i libri inerenti a quelle spedizioni (uno fra tutti la sfida agli 8000 di Calcagno) mi piacerebbe averne una.

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