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La storia della fotografia di montagna in mostra al Forte di Bard

A partire da mercoledì 17 luglio il Forte di Bard (AO) ospiterà per tutta l’estate, fino al 6 settembre, una mostra imperdibile per tutti gli amanti della fotografia e della montagna: “Mountains by Magnum Photographers”.

Una raccolta fotografica, a cura di Andrea Holzherr e Annalisa Cittera, che è anche  un viaggio nel tempo e nello spazio. 130 scatti nati dalle abili mani dei fotografi della Magnum Photos, l’agenzia di fotogiornalismo fondata nel 1947 da Henri Cartier-Bresson, Robert Capa, David Seymour e George Rodger, Maria Eisner, William Vandivert e Rita Vandivert, che riunisce, anche allo scopo di proteggere il diritto d’autore in ambito fotografico e la trasparenza d’informazione, sessanta tra i migliori fotografi del mondo. L’agenzia nacque da un’idea di Robert Capa, subito appoggiata dai colleghi con cui era solito incontrarsi al ristorante del Museum of Modern Art (MOMA) di New York. La scelta del nome “magnus” deriverebbe non solo dalla selezione di un termine altisonante latino ma anche più semplicemente dall’abitudine del sodalizio di accompagnare le discussioni con una bottiglia di buon vino francese.

Dalle immagini dei pionieri della fotografia di montagna, come l’alpinista Werner Bischof, Robert Capa e George Rodger, si procede lungo la linea del tempo, arrivando agli anni Cinquanta con Inge Morath e Herbert List, fino ai tempi moderni con Ferdinando Scianna, Martin Parr e Steve McCurry.

La mostra diventa un vero e proprio viaggio attraverso gli occhi dei tanti fotografi Magnum, che sono stati in grado di immortalare le montagne nei loro dettagli. Uomini che, cercando di raccontare con la fotografia il senso e il mistero delle montagne, hanno esplorato tutto il mondo.

La mostra comprende anche una sezione dedicata a un progetto su commissione dedicato al territorio della Valle d’Aosta, realizzato dal fotografo Paolo Pellegrin, riconosciuto per la sua abilità a livello internazionale e vincitore di 10 dieci World Press Photo Award. Immagini ricche di giochi di luce, dei contrasti di cui Pellegrin, amante del bianco e nero, è sempre alla ricerca. La montagna valdostana viene raccontata nei suoi dettagli, tra creste rocciose e crepacci, laghi ghiacciati in cui si specchiano le nubi trasportate dal vento.

La storia della fotografia di montagna

La fotografia nasce ufficialmente nel gennaio 1893, quando lo studioso e uomo politico François Jean Dominique Arago spiegò nei dettagli all’Accademia di Francia il funzionamento della dagherrotipia, il procedimento fotografico inventato nel 1837 da Louis Mandé Daguerre che consentiva di sviluppare una copia non riproducibile di una immagine su un supporto in argento o rame argentato sensibilizzato, in camera oscura, mediante esposizione a vapori di sodio. Il dagherrotipo rappresentò la prima macchina fotografica della storia.

Prima di allora le montagne, come ogni altro paesaggio, erano rappresentate mediante disegni e pitture. Inizialmente si trattava di enormi massi, pura roccia con poche sfumature. Con l’avvento del Rinascimento iniziarono a essere rappresentate in tutta la loro spettacolarità, come ambienti ricchi di biodiversità naturale.

Le montagne, da sempre state associate a un forte carattere mistico e simbolico, per la loro vicinanza al cielo e agli dei, per il loro essere inaccessibili, affrontano un periodo di mutamento di prospettiva con la nascita dell’alpinismo a fine ‘700. Le montagne diventano conquistabili e le salite a loro volta rappresentano una fonte di emozioni che, con la nascita della fotografia un secolo più tardi, si cercherà di immortalare. Le foto diventano al contempo prova dell’avvenuta salita su una vetta inesplorata ma anche un viaggio virtuale per chi su quella vetta non ha avuto né avrà modo di salire. Le prime spedizioni fotografiche sull’arco alpino risalgono agli anni Cinquanta. Delle imprese titaniche, con portatori assoldati per aiutare i fotografi a portare la pesante attrezzatura in quota. La fotografia inizia a diventare un mezzo per portare all’attenzione di tutti un mondo inesplorato.

Le immagini in mostra a Bard vanno dunque lette, in ordine cronologico, con l’occhio degli spettatori vissuti nei differenti periodi della breve ma intensa storia della fotografia di montagna. 180 anni di evoluzione di tecnica e tecnologia, che oggi ci consentono di vedere attraverso gli occhi di abili fotografi d’alta quota, anche ciò che il nostro sguardo potrebbe ammirare a quota Ottomila.

 

 

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