Alpinismo

Latok I: Livingstone critica la spedizione russa, Gukov risponde

L’inglese Tom Livingstone, che solo poche settimane fa insieme a Luka Stražar e Aleš Česen ha raggiunto la vetta del Latok I, ha da poco rilasciato un’intervista al magazine Rock and Ice circa la loro impresa. Il racconto è però passato in secondo piano nel momento in cui l’alpinista ha deciso di esternare alcune critiche riguardo alle scelte compiute sulla stessa montagna dal russo Alexander Gukov, protagonista dei drammatici fatti avvenuti solo pochi giorni prima che hanno visto la morte del compagno di cordata Sergey Glazunov.

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Aleš Česen sul versante sud, a circa 6.700 m, © Tom Livingstone

Alexander ha vissuto un’epopea sulla cresta nord l’anno scorso – ha ricordato l’inglese, facendo riferimento al tentativo del 2017 portato avanti dal russo con Anton Kashevnik e Valery Shamalo – Ha trascorso 15 giorni sulla montagna, e i suoi due partner ne hanno sofferto pesantemente. Uno ha perso alcune dita dei piedi, l’altro tutte quante e alcune di quelle delle mani. Il suo commento finale in un rapporto diceva: ‘Sono fiducioso di avere buone possibilità per la prossima volta’”. Secondo Livingstone, uno dei compagni di Gukov al CB del Latok I durante la spedizione di quest’anno avrebbe ammesso: “Non sa quando è il momento di tornare indietro“. L’alpinista richiama così un’idea di “stile alpinistico russo“, che prevederebbe il raggiungimento di una vetta a qualsiasi costo. 

A suo parere i russi avrebbero insistito in parete per ripetuti tentativi di vetta azzardati e poco realistici. Il loro ritmo di avanzata era lento e le condizioni meteo non giocavano certo a loro favore. L’inglese non usa mezzi termini per descrivere le scelte compiute dal team: “La loro perseveranza era impressionante, ma crediamo che avrebbero dovuto ritirarsi giorni prima. Ovviamente, quando è arrivato il maltempo, hanno comunque fatto un tentativo di vetta. Abbiamo semplicemente scosso la testa e pensato che si stavano spingendo troppo, troppo in alto e troppo a lungo.

Secondo le parole di Livingstone, i due avrebbero insomma rischiato troppo e la paura per una possibile tragedia era nell’aria, confermata perfino dagli amici e connazionali dei russi presenti al campo base. “Sono orgoglioso della nostra ascesa al Latok I – prosegue – Aleš, Luka e io siamo saliti in modo controllato. Abbiamo preso decisioni strategiche e sensate. Eravamo indipendenti. Abbiamo scelto la linea più semplice. Siamo tornati sani e salvi dopo sette giorni. Non abbiamo perso dita delle mani o dei piedi. L’alpinismo è un gioco pericoloso. Se non torni a casa in sicurezza, perdi.

Bivacco russo, “da qualche parte sulla cresta nord”, © Alexander Gukov

Alle accuse dell’alpinista ha risposto Evgeny Glazunov, fratello della vittima, facendogli presente che non ha il diritto di criticare l’operato altrui. Le scelte compiute dal team dell’inglese, secondo Glazunov, hanno semplificato di molto la loro ascesa e quindi diverse delle considerazioni da lui fatte sono fuori luogo: “La vostra via era molto più facile di quella scelta da Gukov e Glazunov. Tu e il tuo team avete evitato tutti i passaggi che presentavano una sfida e avete raggiunto la vetta da sud – diciamo le cose come stanno. Ciononostante accetti le congratulazioni per la prima vetta confermata del Latok I da nord“.

Il russo prosegue quindi mettendo in dubbio il successo di Livingstone, facendo riferimento all’ambigua foto catturata dal team sulla presunta cima. Secondo il suo parere non era quindi il caso di fare quelle affermazioni su Gukov e sul fratello, anche perché, a opinione sua, il team dell’inglese non sarebbe stato in grado di realizzare la medesima salita, molto più impegnativa e pericolosa.

Segue questo acceso scambio di idee l‘intervista di Rock and Ice ad un convalescente Alexander Gukov. L’alpinista risponde puntualmente alle accuse lanciate da Livingstone, confermando la scelta di una via estremamente complessa, ma smentendo ogni tipo di eccessivo accanimento sulla montagna. I suoi tentativi di vetta con Glazunov, nonostante la stanchezza accumulata e la difficoltà del percorso, sarebbero stati appropriati. “Ci eravamo allenati duramente. Abbiamo sempre valutato realisticamente le nostre condizioni. Inoltre, come membro più anziano, mi sentivo responsabile per Sergey e badavo a lui tutto il tempo. Stava bene, era in condizioni persino migliori di me“.

Riguardo allo “Stile russo”, il successo a tutti i costi qualunque sia il prezzo – ha commentato poi con ironia – sembra solo un’altra voce pazzesca sulla Russia, come gli orsi che camminano per strada e bevono birra con noi, o cose del genere“.

L’intera intervista a Gukov, che copre anche le impressioni sul resto della salita, sull’incidente e sul salvataggio, è disponibile sul sito di Rock and Ice.

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