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Eiger e Sperone Walker, l’alpinismo e la catastrofe dell’Europa

Tra il 20 luglio e il 6 agosto del 1938 vengono realizzate le prime ascensioni della Nord dell’Eiger e dello Sperone Walker delle Grandes Jorasses, il punto più alto dell’alpinismo classico.  

Ma quell’anno è una svolta per l’Europa e per il mondo. A marzo, Benito Mussolini e Adolf Hitler si incontrano a Roma. Pochi giorni dopo l’Austria è annessa al Terzo Reich. A settembre, il Parlamento fascista approva la persecuzione degli ebrei. Negli stessi giorni, il Patto di Monaco tra Mussolini, Hitler, l’inglese Chamberlain e il francese Daladier permette alle armate naziste di dilagare in Boemia. Un anno dopo, l’attacco alla Polonia darà il via alla Seconda Guerra Mondiale.

Ma torniamo alla montagna. Prima del 1938, sulle Alpi, vengono vinte le Nord dell’Ortles, del Cervino, della Grande e della Ovest di Lavaredo, le grandi vie della Brenva, la Nord-est del Badile. 

Nella primavera del 1938, gli alpinisti sanno che gli “ultimi grandi problemi” sono due. A differenziarli è la fama. Se lo Sperone Walker, che si vede dal ghiacciaio di Leschaux, è noto solo agli esperti di montagna, la parete dell’Eiger, che si vede da Interlaken e da Berna, è già un mito.

Qualche alpinista sa dei tentativi di Pierre Allain ed Edouard Frendo alla Walker. Le vittime della Nord dell’Eiger, invece, le hanno meritato il soprannome di Mördwand, la “parete assassina”.

L’Eiger

Primi a tentare e morire, nel 1935, sono i tedeschi Karl Mehringer e Max Sedlmayer. Nel 1936, dopo la fine di Willy Angerer, Edi Rainer e Andreas Hinterstoisser, Toni Kurz tenta di raggiungere in doppia i soccorritori, e si spegne dopo essere rimasto bloccato. I vicentini Bortolo Sandri e Mario Menti cadono nel giugno del 1938. 

Il 20 luglio gli austriaci Heinrich Harrer e Fritz Kasparek attaccano veloci l’Eigerwand. Il giorno dopo vengono raggiunti dai bavaresi Andreas (Anderl) Heckmair e Ludwig Vörg, che divorano i pendii di neve e ghiaccio grazie ai ramponi a dodici punte.

I quattro proseguono insieme sul Terzo Nevaio, sulle rocce della Rampa e sul Ragno. Alla fine si legano in una sola cordata. Escono in cima il 24 luglio. 

Una settimana dopo, al rifugio Torino, il gestore Leone Bron resta a bocca aperta quando un alpinista lombardo gli chiede “scusi, dov’è il ghiacciaio di Leschaux?”. 

Lo Sperone Walker

Riccardo Cassin. che qualche giorno prima era ai piedi dell’Eiger, quando viene a sapere del trionfo di Heckmair e compagni decide di tentare le Jorasses, che ha visto solo in una foto. 

Prima dell’alba del 3 agosto Cassin, Luigi Esposito e Ugo Tizzoni s’incamminano verso la parete. “Partiamo per la Valcher” scrive Riccardo sul libro del rifugio. Alle cinque e mezzo attaccano. Cassin scala da primo, Tizzoni porta il sacco pesante, Esposito recupera i chiodi. 

Dopo una fessura strapiombante, dove il capocordata deve “strisciare come un rettile”, arrivano il Diedro di 75 metri, le Placche Nere, le Placche Grigie e la strapiombante Torre Grigia. Scandiscono la salita dei pendoli, una piramide umana, una ferita al naso del capocordata causata da un rimbalzo del martello.

Il 6 agosto, Cassin fora la cornice di neve e sbuca sulla Punta Walker. Al rifugio Guido Tonella, inviato de La Stampa, offre ai tre dello champagne e scatta una foto che diventa celebre. 

Nel mondo degli alpinisti, tutti sanno che i sette delle Jorasses e dell’Eiger hanno fatto cose straordinarie, e che Heckmair e Cassin sono due grandi campioni. 

Le due imprese come propaganda

Le dittature di Berlino e di Roma sfruttano queste imprese per la loro propaganda, e vengono a volte aiutate dagli errori altrui della parte avversa. Quando il colonnello inglese E.L. Strutt, sul bollettino dell’Alpine Club, scrive di “esibizioni gladiatorie” e di fanatismo fascista e nazista fa un autogol clamoroso.

Ma le manovre di regime ci sono. Il 1 agosto, mentre Cassin fa la sua domandina a Léon Bron, Adolf Hitler e i suoi gerarchi stringono la mano ai vincitori dell’Eiger. Mussolini, per non sembrare da meno, conferisce una medaglia del regime al grande alpinista di Lecco. 

Poi, mentre l’Europa sprofonda nella guerra più sanguinosa della storia, ognuno dei sette alpinisti fa la sua scelta. Heinrich Harrer, che nel dopoguerra passerà sette celebri anni in Tibet, si arruola volontario nelle SS. Lo confesserà solo dopo il successo del film in cui il suo personaggio ha il volto di Brad Pitt. 

Andreas Heckmair trova una posizione defilata. Ludwig Vörg muore sul fronte russo. Riccardo Cassin, nonostante la medaglia del Duce, diventa un protagonista della Resistenza. Vittorio Ratti, uno dei suoi compagni di roccia, muore combattendo a Lecco subito prima dell’armistizio. 

Quando in Europa torna la pace, una nuova generazione di alpinisti riscopre le grandi pareti delle Alpi. Tra loro sono alcuni “vèci” degli anni Trenta, ma gran parte dei volti sono nuovi. Le due imprese del 1938, e poi la Guerra Mondiale, hanno cambiato l’alpinismo e l’Europa.

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