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Ghiacciai inquinati come le città: fusione accellerata del 24%

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COPENHAGEN, Danimarca — Concentrazioni di inquinanti pari alle aree urbane e PM10 oltre i limiti europei sui ghiacciai himalayani ad oltre 5000 metri di quota. Sono a dir poco allarmanti i quattro anni di dati rilevati dal progetto Share promosso dal Comitato Evk2Cnr e analizzati nell’ambito di una collaborazione con il Nasa Goddard Space Flight Center.  Per effetto dell’Asian Brow Clowd, si è stimato che i ghiacciai Himalayani possono subire un’accellerazione dello scioglimento fino al 24 per cento rispetto alla fusione “normale” che subiscono nel corso della loro vita.  “E’ una minaccia che grava direttamente su un miliardo e mezzo di persone – dicono gli esperti – e a Copenhagen, nessun atto dedicato ai ghiacciai himalayani pare sia stato inserito nell’agenda ufficiale del Cop 15”.

Questo è quanto emerge sulla base dei dati rilevati all’osservatorio NCO-P sull’Everest, in uno studio recentemente presentato durante l’AGU Fall meeting 2009 in corso a San Francisco da ricercatori della NASA in collaborazione con ricercatori CNR, CNRS ed EvK2CNR. I primi 4 anni di osservazioni, dal 2006 al 2009, eseguite presso il Nepal Climate Observatory – Pyramid (NCO-P), hanno permesso di ottenere importanti informazioni su black carbon, ozono, radiazione solare e altri parametri atmosferici a 5079 metri di quota sulle pendici dell’Everest ove è posta la stazione di misura più elevata del network dedicato all’Atmospheric Brown Cloud di Unep. 

“Il black carbon ha raggiunto i 5 μg m-3 – dice Paolo Bonasoni, responsabile del progetto Share – mentre la massa del particolato PM10 a volte ha superato i 50 g/m-3, valore che in Europa costituisce il limite per la protezione della salute umana, e l’ozono ha raggiunto concentrazioni ragguardevoli. La cosa più preoccupante è che questi fenomeni acuti di inquinamento, sorprendenti per essere stati rilevati ad oltre 5000 metri, sono regolari: il grafico in calce mostra picchi ricorrenti durante la stagione pre-monsonica dei quattro anni di rilevazione. E’ la prova tangibile degli allarmi di cui parlano tutti. Questa primavera il fenomeno era addirittura visibile a occhio nudo: masse d’aria inquinate dal colore bruno ricche di composti carboniosi che viaggiano nelle valli himalayane e si depositano sui ghiacciai, scaldandoli e favorendone la fusione”.

E non è finita qui. Secondo i ricercatori, le valli himalayane funzionano da veri e propri “camini” attraverso i quali gli inquinanti che compongono l’Asian Brown Cloud (la vasta nube di inquinanti che affligge il subcontinente indiano), sono direttamente trasportati verso la media e alta troposfera, dove il loro tempo di vita può aumentare considerevolmente e dove possono essere rimescolati e trasportati anche per lunghe distanze.

Insomma la situazione fotografata dai nuovi dati sul cosiddetto “Terzo polo”, che con le sue acque garantisce direttamente la vita a quasi un miliardo e mezzo di persone, è ancor più preoccupante di quanto si pensava. E nessun documento a riguardo pare sia stato fino ad ora inserito negli atti finali del COP 15, in corso in questi giorni a Copenhagen. Tanta la delusione degli operatori e dei governi dei paesi himalayani, che negli scorsi mesi hanno unito le forze per rivendicare maggior attenzione all’Himalaya presso i Grandi della Terra. Il primo ministro nepalese, ieri a Copenhagen, ha rinnovato il progetto di costituire un partnership dei paesi himalayani in modo da rafforzare la loro posizione a livello internazionale.

“L’obiettivo espresso durante l’evento organizzato dal governo norvegese con Icimod e in collaborazione con Mountain Partnership – dice elisa Vuillermoz, responsabile dei progetti ambientali del Comitato Evk2Cnr a Copenhagen – è quello di lavorare sull’agenda finale del Cop 15 per agire con maggior forza a favore dell’Himalaya e delle montagne nella prossima conferenza sul clima, che molti vorrebbero anticipare a luglio viste le difficoltà nel raggiungimento degli accordi in questo meeting”.

“Non c’è altro luogo al mondo dove si produce un così forte riscaldamento atmosferico – dice William Lau, capo del Laboratory for Atmospheres al Goddard Space Flight Center della NASA di Greenbelt -. Le polveri dei deserti, i resti delle combustioni e gli inquinanti formano la nube marrone che assorbe le radiazioni, riscalda l’aria nella regione Himalayana e accellera la scomparsa dei ghiacciai”. Sulla base dei dati rilevati all’osservatorio Nco-P sull’Everest, è stato stimato un possibile aumento della fusione di neve e ghiaccio fino al 24%, come recentemente presentato da ricercatori della NASA durante l’AGU Fall meeting 2009 in corso a San Francisco.

“I dati climatici e atmosferici rilevati sulle montagne – dice Agostino Da Polenza, presidente del Comitato EvK2Cnr – sono di importanza fondamentale per i più importanti progetti internazionali sul clima, condotti in collaborazione con Unep, Wmo, Nasa, Esa e Iucn. Sono informazioni inedite e uniche sia per la ricerca che per la politica, su cui EvK2Cnr, unica organizzazione del mondo in grado di fornirli in modo costante a quote così alte, continuerà ad investire nei prossimi mesi perché alla prossima conferenza sul clima delle Nazioni Unite siano prese misure concrete per l’Himalaya”.

Il progetto Share, promosso dal Comitato EvK2Cnr, è oggi un punto di riferimento mondiale per il monitoraggio climatico d’alta quota con le 12 stazioni installate sulle montagne più alte del mondo, dall’Asia all’Africa. La sua punta di diamante è la stazione ad ottomila metri di quota, che dalla primavera 2008 fornisce dati in tempo reale dal Colle Sud dell’Everest.

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