A Canale d’Agordo sulle orme di papa Giovanni Paolo I. Con vista sul Civetta
Albino Luciani, il Papa del sorriso, rimase sempre legato alla sue terra. Un museo ne ricorda anche gli anni della giovinezza, quando partiva da casa alle due del mattino per andare a falciare i prati
A quasi mille metri di altitudine, Canale d’Agordo in provincia di Belluno è un incantevole paesino dolomitico, meta di turismo invernale ed estivo. Oltre al Monte Civetta (3220 m) dal suo territorio si possono ammirare anche le Pale di San Martino e la Marmolada. Vi risiedono poco più di un migliaio di abitanti, la cui storia affonda le radici nel Medioevo: il documento più antico che li menziona risale infatti al XII secolo. Paese di contadini e allevatori, per secoli ha vissuto con il sistema delle Regole. I capifamiglia locali, detti “regolieri”, gestivano in autonomia prati, pascoli e boschi della comunità. Questa modalità è rimasta in vigore fino al 1806, quando per volere di Napoleone le Regole sono state sostituite dai Comuni.
Oggi oltre al turismo montano il paese è diventato anche meta di pellegrini: a Canale d’Agordo nel 1912 è nato Albino Luciani, cioè Papa Giovanni Paolo I, il pontefice che in soli 33 giorni ha conquistato il cuore della gente. A lui è dedicato il Museo Albino Luciani (MUSAL). La sua casa natale insieme ad alcuni altri luoghi da scoprire rendono interessante la visita al borgo anche per chi non è mosso da un afflato religioso, ma vuole conoscere una figura importante della nostra storia del Novecento.
Il MUSAL è ospitato in un palazzo del Quattrocento, a cui è stato annesso un vecchio hotel ricostruito, in cui oggi hanno sede gli uffici della Fondazione Papa Luciani e una sala conferenze. Il museo ripercorre la vita del pontefice dall’infanzia al sacerdozio e alla carriera ecclesiastica che l’ha portato a essere vescovo di Vittorio Veneto nel 1958, patriarca di Venezia nel 1969 e infine Papa nel 1978, per pochi giorni. Un infarto l’ha portato via il 28 settembre di quell’anno: aveva solo 65 anni.
Amava la montagna, la sua montagna, Albino Luciani? Lo abbiamo chiesto a Loris Serafini, direttore del Museo Albino Luciani. «La sua è forse l’ultima generazione che con la montagna non aveva un rapporto di piacere, ma di fatica e lavoro», racconta. «Quella di Albino Luciani era una famiglia di contadini. I ragazzini si alzavano alle 2 di notte d’estate per andare a falciare i prati in quota all’aurora, quando la rugiada regalava l’erba migliore. Il futuro Papa era un gran lettore: si portava i libri con sé, e dopo aver tagliato e messo a essiccare l’erba, si dedicava alla lettura. A sera poi si scendeva a valle, e il giorno dopo si ricominciava daccapo. Abbiamo traccia del suo rapporto con la montagna nei suoi scritti quando era già vescovo e tornava in vacanza a passeggiare nella sua terra d’origine».
Se sia stato sciatore, non lo sappiamo con certezza. «All’epoca gli sci erano usati soprattutto con mezzo di spostamento d’inverno», puntualizza Serafini. «Li avrà provati sicuramente, era un ragazzo curioso». È invece noto che Albino seminarista avesse tentato di andare in bicicletta, attirandosi una punizione dei suoi superiori. Come spiega il direttore del MUSAL, all’epoca l’uso della tonaca era tassativo. Persino per andare a fare fieno, o per salire in montagna. In bicicletta, la tonaca si sollevava, scoprendo i pantaloni. E questo era disdicevole per un futuro sacerdote.
Chi era Albino Luciani? Un figlio della sua terra, che ha dato i natali a numerose personalità. Artisti come lo scultore Augusto Murer (1922-1985), il poeta Valerio Da Pos (1740-1822) e vari religiosi. Il gesuita Felice Cappello (1879-1962), teologo di fama con tre lauree, era cugino di Papa Luciani e fu un suo punto di riferimento. Il piccolo Albino impara a leggere e scrivere all’età di cinque anni, prima di andare a scuola, grazie a una sorella maggiore sordomuta. Da adulto, sarà un vero poliglotta. «Oltre all’italiano, aveva studiato il latino e il greco, e parlava il francese, l’inglese, il tedesco, lo spagnolo e il portoghese, e un po’ di russo e di ebraico». Malgrado sia ricordato per la sua capacità di rivolgersi alla gente comune in modo semplice, era persona coltissima. «La sua biblioteca personale era di 5000 volumi».
Il Museo Albino Luciani racconta la sua vita non solo proponendo una selezione di oggetti, ma anche in chiave multimediale, con filmati e un percorso audio in cui si può sentire la voce del Papa. Narra anche il difficile periodo della Grande Guerra, in cui il bimbo Albino rischiò di morire di stenti. «Un’esperienza che l’ha segnato. Da allora, si è sempre impegnato per i popoli che hanno fame, perché l’aveva provata anche lui». Il giovane Albino segue il percorso della madre Bortola, fervente catechista. Ma anche il padre Giovanni è stato una figura importante nella sua vita. «Era socialista e aveva poca simpatia per il clero», spiega Serafini. «Fin dall’età di 11 anni, era stato costretto a emigrare in Austria per lavorare, e nel corso della sua vita andrà anche in Germania e in Argentina. Da lui, che era iscritto al Partito Socialista tedesco, Albino imparerà il rispetto dei lavoratori e dei loro diritti». Oltre ai genitori e a padre Cappello, un altro punto di riferimento nella sua formazione è don Filippo Carli. «Gli ha insegnato a fare il parroco. Era questo il desiderio del giovane Luciani: diventare un bravo parroco in un paese di montagna. Non aspirava all’incarico di vescovo».
Capace di lasciare il segno in appena 33 giorni
Giovanni Paolo I è stato pontefice per soli 33 giorni, che hanno lasciato il segno. Perché? «Come ha detto il suo successore, Papa Wojtyla, l’importanza del pontificato di Giovanni Paolo I è stata inversamente proporzionale alla sua durata. Quindi, breve durata, ma enorme importanza. In un mese ha cambiato la figura del Papa in modo irreversibile. In primo luogo, ha rifiutato l’incoronazione con la tiara e il trono: ha scelto una stola di pura lana, il pallio, dicendo che l’unica incoronazione che poteva avere era quella del pastore verso le sue pecore. Tutti i suoi successori l’hanno seguito. Poi, il suo modo di comunicare: ha smesso di usare il “noi” – plurale majestatis – in riferimento a se stesso, perché aveva capito che questo stile apparteneva al passato e allontanava le persone. Parlava con l’uso di parabole, il che ha fatto pensare che fosse un uomo di poca cultura, invece era un grande teologo».
Luciani utilizza il latino in pubblico in poche occasioni ecclesiastiche ufficiali, ma poi inizia a rivolgersi ai fedeli nelle loro lingue. Adesso siamo abituati a questa prassi, ma è stata una grande innovazione. «Era capace di essere estremamente vicino alle persone attraverso l’empatia e l’attenzione umana. Nel contempo, sapeva essere un buon amministratore, aveva capacità di governo. Ed era animato da grande onestà e da una volontà di riforma della Chiesa in senso evangelico, nell’uso del denaro voleva la massima trasparenza», conclude Serafini.
Una vacanza nella Dolomiti bellunesi può essere un’occasione per scoprire Canale d’Agordo e il suo più illustre cittadino. Il MUSAL è aperto sempre al venerdì, sabato e domenica e lo sarà anche in periodo natalizio. Anche la Casa di famiglia di Albino Luciani, aperta al pubblico dal 2019, è visitabile e recentemente è stato concluso l’intero restauro. I fratelli del Papa ormai sono scomparsi, ma in paese ci sono ancora numerosi nipoti e pronipoti.
In qualsiasi momento, si può percorrere anche la Via Crucis dedicata a Giovanni Paolo I vicino alla canonica, lunga circa 1,5 km e ubicata nel bosco retrostante il borgo con le stazioni realizzate dallo scultore Franco Murer, che ha seguito le orme del padre Augusto. Su richiesta si può accedere anche alla Casa delle Regole, ospitata in un bel edificio storico del XVII secolo dagli esterni affrescati. Sul retro, il Giardino della Memoria ricorda i caduti della campagna di Russia 1941-43 e ospita una campana donata dai russi. La visita di Canale d’Agordo include fra gli imperdibili la Chiesa di Simon in stile gotico alpino, che conserva interessanti affreschi cinquecenteschi di Paris Bordon, discepolo di Tiziano, e la vicina Casa di ospitalità del Trecento, che accoglieva i pellegrini. Si trovano però fuori dal paese, e la visita è consigliata in periodo estivo (adesso è accessibile solo su prenotazione per i gruppi). Canale d’Agordo vanta anche la prima latteria cooperativa d’Italia (1872), attualmente in fase di restauro. Ci sono però tre piccoli musei nelle frazioni di Feder, Fregona e Carfon, dedicati alla fienagione, alla lavorazione del latte e al poeta Da Pos.