Alpinismo

“Quando l’amore per la montagna diviene un vizio di famiglia” di Enrico Martinet da La Stampa

Vi proponiamo un bell’articolo di Enrico Martinet, pubblicato sull’edizione cartacea de La Stampa del 21 aprile 2017. 

 

Alla «Gran corda» o sulla cresta aerea e affilata che porta al Pic Tyndall? Chissà in che punto durante la sua prima salita al Cervino Hervé Barmasse ha deciso che la sua guida sarebbe stata d’inseguire le vette delle montagne arrampicando su roccia e ghiaccio.

Non sa dirlo, sa che quel giorno di ottobre, quando ancora non aveva compiuto i 16 anni, decise la sua vita. Senza tanti perché il padre, Marco, guida alpina fra le più note della Valle d’Aosta, gli aveva detto: «Vieni con me». Zaino, scarponi, ramponi e piccozza. Meta, la Gran Becca, il Cervino. Fino ad allora Hervé aveva altro nella testa, lo sci colorato d’azzurro della squadra nazionale. Ma si era rotto parecchie ossa durante una discesa libera in Val d’Isère e stava uscendo da una lunga riabilitazione. Da quel Cervino di ottobre la sua vita fu per l’alpinismo.

Guida il nonno, guida il padre e guida alpina anche lui. Oggi è uno degli alpinisti di punta nel mondo. E con il padre, dopo quel battesimo da ragazzo, ha inventato avventure, ripercorso le grandi pareti, aperto vie nuove, dove nessun alpinista aveva posato gli occhi. Sul Cervino, certo, come la larga e pericolosa parete Sud, soggetta a frane, dove parti di roccia solida è mescolata a blocchi instabili. Tutto è in equilibrio precario e ogni itinerario rappresenta grande difficoltà tecnica.

È facile che la passione per la montagna passi di padre in figlio, soprattutto se si vive all’ombra di una montagna-simbolo come il Cervino. La professione di guida alpina è quasi un’eredità genetica. Ma a Hervé è capitato che il chiodo fisso del padre passasse a lui, aprire una via nel grande couloir della Sud. Marco aveva tentato con un collega negli Anni 90. Vent’anni dopo, nel 2010, ci è riuscito con il figlio. Era il 17 marzo quando i due Barmasse sono usciti dalla parete all’«Enjambé», uno dei passaggi classici della Gran Becca. Poi qualche anno dopo Hervé si è infilato da solo e d’inverno di nuovo sulla Sud e l’ha arrampicata facendo un percorso inedito. Dalla solitaria di Walter Bonatti sulla Nord nessuno aveva mai aperto un nuovo itinerario invernale in solitudine sul Cervino. E papà Marco è andato in cima al Cervino, seguendo la cresta normale per aspettarlo.

Ancora insieme sul Monte Rosa, dove vie inedite non avrebbero dovuto esserci. E invece i Barmasse l’hanno trovata per raggiungere la cima della Gnifetti, un percorso sul vuoto, inseguendo un triangolo sghimbescio sulla Sud-Est che nelle giornate terse si vede perfino da Milano. «A mio padre devo questo mondo. E arrampicare con lui è una grande soddisfazione», dice Hervé che domani sarà in Tibet per affrontare una via nuova, su un’altra parete Sud, quella dell’Ottomila Shisha Pangma.

L’alpinismo è avventura trascinante. Ti afferra anche con la paura che diventa attrazione. Il vuoto, le creste affilate, la solitudine delle pareti, la sfida. E «l’incontro con te stesso», dice Lucio Trucco, anche lui guida figlio di guida alpina, Giuliano. Anche lui di Cervinia. Qualche giorno fa, padre e figlio hanno fatto una scoperta sciando sull’enorme ghiacciaio che dal massiccio del Monte Rosa scende verso Zermatt, la Cervinia svizzera: una grotta di ghiaccio gigantesca, con una volta alta dieci metri. È la bocca del ghiacciaio del Grenz. «Uno spettacolo da grande Nord o da Groenlandia», dicono Giuliano e Lucio. Di padre in figlio il Dna della meraviglia che abbraccia professione e avventura.

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