Alpinismo

A tu per tu con Leo Gheza al ritorno dal Gasherbrum IV

L’alpinista bresciano del team Salewa People, intendeva ripetere con Gabriele Carrara e Federico Secchi una delle grandi linee della storia dell’alpinismo, aperta nel 1958 da Walter Bonatti e Carlo Mauri. Ma la montagna ha detto no

Non sempre le cose vanno secondo i piani. Vale per la vita, le imprese sportive e, naturalmente, anche per quelle alpinistiche, dove le variabili in gioco sono davvero tante. Si investe tanto in un progetto, denaro ed energie, ci si assume anche dei rischi, ma nonostante tutto i tasselli del puzzle sembrano proprio non volersi incastrare. E quando, anche dopo un secondo e ripetuto tentativo, il destino sembra remare contro, forse è davvero meglio desistere. È un po’ quel che è accaduto a Federico Secchi, Leonardo Gheza e Gabriele Carrara che, lo scorso 21 giugno sono partiti da Milano alla volta del Gasherbrum IV (7.925 m) nella catena del Karakorum. L’obiettivo della mini spedizione patrocinata dal CAI era ripetere la storica via della spedizione italiana del 1958 che culminò con il successo di Walter Bonatti e Carlo Mauri. Con loro, per documentare la salita, il fotografo e videomaker Ettore Zorzini. I tre intendevano scalare la montagna in stile alpino, senza portatori, corde fisse o campi preinstallati.

Abbiamo raggiunto telefonicamente Leo Gheza, del team Salewa People, che ci ha raccontato le vicissitudini della spedizione.

“Il 21 giugno partivamo con i nostri sacconi carichi di entusiasmo a voglia di fare”, esordisce Gheza. “Abbiamo iniziato il trekking nella valle del Baltoro il 25, dopo i preparativi di rito. Veloci ed efficienti, eravamo ottimisti. Durante il trekking siamo stati fortunati (almeno su quello… commenta con un risolino amaro, ndr): le sei tappe classiche che portano al campo base sono andate via lisce, quasi da non crederci. Siamo arrivati al Campo base (5.050 metri) con il bel tempo e siamo partiti per prima rotazione di acclimatamento, finalizzata anche a capire come superare l’imponente e rischiosa seraccata, arrivando al C1 a 5900 m e trascorrendo qui la prima notte. Il giorno dopo abbiamo provato a seguire un pendio di neve sulla destra della seraccata, trovando purtroppo molto “secco” e ghiaccio duro, il che ha reso la progressione lenta e difficoltosa, per infine scoprire che la via di salita scelta non era la migliore ed essere costretti a fare dietrofront e, 200 metri più in basso, decollare fino al Campo base. Prima rotazione… nulla di fatto, o per lo meno non quel che si sperava”.

Oltre a non aver trovato la modalità ottimale per superare il pericoloso seracco, i tre non hanno così potuto neppure fare un deposito che li avrebbe poi aiutati nella seconda rotazione. Un avvio non ottimale ma i tre non si arrendono. Non così presto e non tanto velocemente. Rimangono al Campo base 4 giorni, assistiti da Zulfi e Momo, cuoco e aiuto cuoco. “Sono stati davvero bravi e attenti, hanno cucinato benissimo e ci hanno dato modo di recuperare le energie. Un buon cuoco, al campo base, fa la differenza e in alcuni casi può determinare successo o insuccesso di una spedizione”.

Il meteo non è dei migliori: nevicate in arrivo. Ma i tre decidono di approfittare di una piccola finestra di due giorni e mezzo per compiere una ulteriore rotazione e riuscire a dormire a 7000 metri almeno una notte. Per non mettersi troppo a rischio sulla seraccata (da affrontare, nei progetti, solo nel tentativo ufficiale) salgono dalla normale al GII e arrivano direttamente al C2 (6600 metri), ma il maltempo anticipa e comincia a nevicare abbondantemente. Hanno giusto il tempo di rientrare al Campo base.  “Purtroppo, anche la seconda rotazione non è andata come speravamo e la cosa ci ha un po’ demoralizzati. Inoltre, arrivati al campo, abbiamo scoperto che causa previsioni meteo avverse, anche tutte le spedizioni commerciali al GII erano state annullate. Una bella mazzata per il morale”.

Ci riproverai?
Personalmente non credo. La seraccata, che Bonatti era riuscito a salire indenne, mi pare oggi davvero troppo pericolosa. Forse un rischio che non voglio prendermi. Tuttavia, era la prima volta che vedevo la zona… certamente tornerò ma per altri progetti”.

D’altra parte, anche Bonatti ci aveva messo oltre due mesi e svariati tentativi per riuscire ad aprire quella che, ad oggi, resta un capolavoro di rara eleganza e non (ancora) ripetuto.

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