Alpinismo
Torre, racconto di 7 giorni in paradiso
EL CHALTEN, Argentina — "Cumbre! Tutto e’ andato per il meglio e al di sopra delle nostre aspettative. La logistica, il meteo, la cordata, le condizioni della parete: martedì 25 novembre Milano Linate, martedì 2 dicembre ore 14.30 siamo in cima al fungo sommitale del Cerro Torre, salito dalla parete ovest per la via dei Ragni. Sono sette giorni in paradiso, una vera festa!". Inizia così il racconto di Fabio Salini e Matteo Bernasconi, che la settimana scorsa hanno messo a segno la prima ripetizione italiana della via Ferrari sulla cima più affascinante e ambita della Patagonia.
"In due giorni ventosi e con pessime condizioni meteo entriamo dall’abitato di El Chalten fino al Circo de los Altares – raccontano i due alpinisti -. La prima giornata, fino al passo Marconi, ci accompagnano due ragazzi argentini ai quali carichiamo quindici chili di materiali e viveri: noi ne abbiamo venti a testa, una legnata!
L’indomani ci troviamo da soli e con trentacinque chili di carico ciascuno da trasportare fino alla meta: fortuna che siamo una spedizione leggera! Gli sci che ci siamo portati da casa e i trinei (slitte) noleggiati a El Chalten si rivelano fomdamentali per poter coprire i dodici chilometri che ci separano dal Marconi al Circo de los Altares. Il tempo è ancora cattivo ma noi siamo decisi: in soli due giorni abbiamo raggiunto “il Circo”.
La domenica si apre ai nostri occhi uno scenario grandioso. Siamo in uno dei posti piu belli al mondo, in quel momento per noi il più bello! Dopo le prime fasi convulse di foto, riprese e parole urlate, ci assale la paura di non avere approfittato di quella giornata fantastica per salire. Probabilmente, però, non saremmo riusciti a muovere il nostro fisico: siamo stanchi di brutto, le due giornate precedenti ci hanno segnato.
Il primo dicembre, alle quattro di mattina, stelle a perdita d’occhio sopra lo Hielo Continental e assenza di vento ci fanno ben sperare per il nostro tentativo: "intentar", si dice da queste parti. L’obiettivo e’ raggiungere l’Helmo, il fungo di neve posto sopra il colle della Speranza, e bivaccare per la notte, ma il troppo caldo scolla ghiaccio dalle pareti e neve dai pendii, quindi decidiamo di fermarci in una zona riparata, trecento metri sotto al colle.
L’attesa in mezzo al far west è snervante – raccontano Salini e Bernasconi -, pendii che scivolano in continuazione, il Torre che si sbarazza di corazze di ghiaccio e noi che ce la facciamo addosso per paura di dover abbandonare. Ci proponiamo di partire comunque per il tentativo durante la notte. Niente sole, niente scariche, speriamo… La sera stessa poco prima del tramonto il profilo del Cerro Torre è fissato nella nostra testa in ogni particolare, non fatichiamo ad individuare una sagoma che sale l’ultima lunghezza del fungo e poi scompare dentro quello che intuiamo essere uno dei tanti buchi che si formano – o si scavano! – per superare lo strapiombo di neve e ghiaccio sommitale.
Alle due e trenta di mattina non è proprio che tutto taccia, ma i crolli sono di gran lunga diminuiti e in breve ci troviamo all’Helmo: la scalata e’ rapida e l’intesa perfecta! Ancora un paio di lunghezze e incontriamo Rolando Garibotti che scende. Ci informa che con un gruppo di amici ha salito la ovest, ci hanno preparato il foro per sbucare dal fungo. Il lavoretto ha richiesto quattro ore di scavi (!) se lo incontriamo a Chalten gli offriamo una cervecita… Grazie Rollo!
Dopo undici ore di scalata indimenticabile siamo nell’unico posto dove vorremmo essere: in cima al Cerro Torre, che festa! Il pensiero va ai Ragni e alla loro salita, visionaria per l’epoca, portata al successo nei primi anni Settanta. Chapeoux!
Resta la discesa da gestire con attenzione, siamo inebriati e stanchi, ma consapevoli di questo. Tutto scorre alla perfezione, il tempo rimane stabile, non abbiamo pressioni di alcun genere fatta eccezione per le scariche che ci “impongono” di trascorrere un’altra notte nel nostro accampamento: di scendere dai pendii finali non se ne parla, sarebbe un suicidio e queste giornate ci terremmo a conservarle per un po’ nella memoria… Affrontiamo quella discesa di notte, chiaramente senza vento, oramai ci siamo abituati bene.
Con la prima luce siamo alla tenda – concludono i due alpinisti -, increduli che la Patagonia, terra avara di regali, ci abbia concesso queste giornate di alta pressione e assenza di vento. Un sogno. Rientriamo a El Chalten, partendo dal Circo de Los Altares la notte, dodici ore di cammino con una “mochilla” esagerata, ma il carico è alleggerito dalla cima raggiunta. E’ fatta, festeggiamo con due Aulin ciascuno e ci lanciamo nella notte di El Chalten".
Ora i due alpinisti, dopo qualche giorno di riposo a El Chalten, sono rientrati di nuovo verso nuove pareti. "Andiamo a farci un giro – racconta Salini -, ma siamo rilassati, senza velleità. Il mondo alpinistico qui è in fermento, continua a fare bello e le pareti stanno per essere prese d’assalto anche se gli alpinisti non sono molti per ora. Gli esercenti dicono che rispetto allo scorso anno a El Chalten si registra il 50 per cento in meno di presenze".