Alpinismo

Bernasconi: ecologia e alpinismo cose diverse

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DERVIO, Lecco — "Il manifesto di Mountain Wilderness si basa su principi etici occidentali, che non valgono per alpinisti di molti paesi lontani. E non bisogna mischiare ecologia ed etica alpinistica, sono cose molto diverse". Questo il parere di Daniele Bernasconi, uno dei più forti himalaysti del panorama mondiale, sulle proposte dei garanti italiani di Mountain Wilderness. Bernasconi, in questa intervista, parla poi delle spedizioni commerciali, dei soccorsi in alta quota e delle nuove regole di cui avrebbe bisogno l’alpinismo.

Bernasconi, che opinione hai del manifesto di Mountain Wilderness?
Spero sia soltanto una bozza. E’ sempre meglio non farsi prendere dalla fretta perchè quando si vogliono fare delle cose sull’onda degli eventi non sempre vengono bene. Meglio lasciar sedimentare e poi muoversi. Tra l’altro il manifesto di Mountain Wilderness si basa su principi etici occidentali. In himalaya si trova gente che ragiona su altri schemi mentali, alpinisti che sono di Marte e di Giove, due pianeti completamente diversi diversi. Per esempio, guardando le statistiche si nota che muoiono molti coreani ogni anno in Himalaya, evidentemente il loro alpinismo è simile al nostro di 40 anni fa dove esisteva il sacrificio per la vetta. Tutto questo avviene in paesi che sono ancora diversi dagli uni e dagli altri. E poi, Mountain Wilderness è un’istituzione nata per pensare all’ambiente montano. Ecologia e alpinismo sono due cose diverse.
 
Molte delle loro proposte puntano anche a preservare l’ambiente…
Sì, ma molte, come loro stessi dicono, sono un’utopia allo stato attuale delle cose. Per esempio, se si concentrano turismo e spedizioni commerciali solo su alcune montagne o in alcune valli, l’ambiente viene più preservato che non a togliere e rimettere corde fisse, perchè si riesce a controllare meglio il flusso di gente. Tra l’altro le corde o le bombole sono materiali inerti, inquinano dal punto di vista estetico e sicuramente non vanno lasciate in giro, ma non sono batterie al plutonio che inquinano le falde acquifere. Voglio dire che sono problemi risolvibili con un minimo di organizzazione.
 
Cosa pensi della questione delle royalties?
Royalties più alte forse penalizzerebbero più gli alpinisti che non le spedizioni commerciali che hanno i clienti paganti. Ma credo sia una questione più ampia: vedo che i governi, tipo in Pakistan, le tengono basse per incentivare il turismo. Forse si potrebbe pensare di gestire in modo separato e diverso i permessi delle montagne più frequentate dalle spedizioni commerciali, se venisse regolamentato l’accesso.
 
Pensi quindi che sia giusto mandare le spedizioni commerciali solo su montagne commerciali come proposto nel decalogo di Montagna.org?
Penso che sia un compromesso utile, come sulle Alpi per lo sci. E’ meglio che dieci valli siano invase dagli sciatori ma le altre lasciate in pace, piuttosto che vengano tutte tartassate. L’himalaya è fatta da migliaia di valli, e se tutti vogliono andare nella valle dell’everest, benissimo, organizziamoci per gestire questa gente. Le valli laterali, del Makalu, sono molto meno frequentate e resteranno più incontaminate. Poi c’è da dire che così non ci sarebbe una ripartizione equa del reddito, ma anche questa è una cosa diversa. L’ecologia è una cosa, la salvaguardia delle popolazioni un’altra, a volte vanno di paripasso a volte no. L’etica alpinistica è ancora diversa. Mischiarle porta solo a sollevare polveroni inutili.
 
E’ vero che c’è un "gotha" che detta l’etica e condiziona psicologicamente gli alpinisti, come dice Maurizio Gallo?
E’ chiaro che si hanno sempre dei riferimenti culturali, ma è un’influenza arriva da lontano. Lo sbaglio è quello di pensare che le regole di decenni fa siano ancora valide, quando i tempi sono cambiati. Per esempio, una volta davvero non si poteva portare il soccorso in Himalaya, ora si è dimostrato il contrario. Quindi chiunque possa fare qualcosa, è giusto che lo faccia. E poi perchè l’Himalaya non si dovrebbe fare e sulle Alpi sì, in un mondo globalizzato? Allora bisogna rimettere in discussione tutto il sistema del soccorso alpino? Non credo.
 
Serve quindi una nuova regolamentazione?
Sarebbe giusto mettere un minimo di regole anche su questioni che non sono mai state regolate, "barcamenandosi" tra quelli che vogliono vivere di divieti e quelli che vorrebbero il far west. Non so chi potrebbe farlo, forse i locali. In alcuni paesi c’è un Club Alpino che ha un ruolo istituzionale, in certi altri no. Nei nostri paesi il ruolo dei club alpini è quasi inesistente.
 
Il presidente del Cai ha dichiarato nei giorni scorsi che il Cai volterà pagina, al motto di "più cultura e meno tecnicismi" e con De Stefani come testimonial…
Ma il Cai è già solo cultura. Il Cai non si occupa più di alpinismo ad alto livello da tanti anni. Si vede anche dalle riviste che mi arrivano a casa ogni mese. Vanno nelle scuole, puliscono sentieri… le sezioni fanno tante cose. Ma non mi risulta che il Cai si sia occupato di alpinismo ad alto livello nelle ultime decadi, se l’ha fatto è stato in modo marginale.
 
Che opinione hai delle altre regole proposte nel "decalogo" di Montagna.org?
Alcune cose sono ovviamente giuste, come il fatto di partire con una piccola assicurazione. Altre sono un po’ difficili da valutare. Per esempio, non ritengo indispensabile comunicare dalla montagna, perchè da un lato può sembrare che risolva i problemi, ma dall’altro affidarsi troppo alla tecnologia può anche crearne. Per esempio, se si rompe il telefono può darsi che ti diano per spacciato quando invece stai benissimo. La cosa più interessante è chiarire il concetto di spedizione commerciale e distinguerle dalle altre spedizioni.
 
Cosa pensi delle spedizioni commerciali?
Ormai ci sono e forse è giusto che ci siano. Sicuramente è utile che siano ben codificate e debbano rispondere a delle precise regole dal punto di vista assicurativo e organizzativo. Oggi infatti ci sono realtà molto diverse: in Himalaya trovi dalla megaspedizione americana organizzata fino all’ultimo dettaglio, alla spedizione della guida europea che va in giro con 10 clienti e 2 portatori d’alta quota. E ti sorge il dubbio: su che tipo di aiuto potranno contare questi in alta quota? E poi, come dicevo prima, l’idea di farle andare solo su alcune montagne o su vie dedicate ad un certo tipo di salita, con una logistica fatta in una certa maniera, non è male.
 
Uno dei punti più controversi era la valutazione esterna delle spedizioni…
Il problema è chi le valuta. Ormai l’alpinismo ha preso coì tante specializzazioni che nessuno sa tutto, nessuno sa valutare cosa fanno gli altri. E poi è difficile dire che bisogna essere all’altezza dell’obiettivo, perchè quando vai la prima volta non sei mai sicuro di saper fare quello a cui punti. E’ un cane che si morde la coda.
 
E per quanto riguarda i soccorsi?
E’ un’idea buona quella di formare delle unità di soccorso e delle guide alpine d’alta quota nei paesi dell’Himalaya e del Karakorum. Vedo difficile l’introduzione di sanzioni per l’omissione di soccorso, anche qui in Italia non c’è obbligo di intervenire, ma solo di avvisare le autorità, sarebbe difficile farlo in quei paesi. Comunque sono situazioni in cui non mi sono mai trovato perchè forse non sono mai andato all’Everest: penso che lì, comunque, seguendo questo principio potresti ritrovarti a far soccorsi per 2 settimane di fila, se decidi di aiutare tutti quelli che trovi in minima difficoltà. Insomma, di base l’idea è giusta, prima la vita poi la cima. Ma bisogna stare attenti ai meccanismi che potrebbero scattare.
 
Che cosa pensi delle tragedie di quest’estate?
Penso che ci sia troppa gente che dà pareri. Per esperienza personale ho imparato che già chi vive queste vicende fatica a ricostruire le esperienze, e le versioni possono cambiare. Ovvio che dall’esterno ci si fa un’idea di quanto avvenuto, ma dare pareri è diverso, non mi arrischio.
 
Sara Sottocornola
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