Alpinismo

Prima salita per Moro e Barmasse

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ISLAMABAD, Pakistan – “Vetta! Vetta! Vetta!!  Finalmente!”. Arriva da Simone Moro ed Hervè Barmasse la bella notizia che apre un raggio di luce al mondo dell’alpinismo. I due alpinisti italiani, nei giorni scorsi, hanno compiuto la prima salita del Beka Brakai Chhok, 6.940 metri, in Karakorum. In stile alpino. “Ora non è più inviolato – ha detto Moro -. Ma è stato davvero un osso duro, una salita impegnativa a 5 stelle”.

Moro era partito dall’Italia, con Barmasse, all’inizio di luglio, con l’intenzione di salire l’inviolato Batura II di 7.762 metri. Giunti nella valle del Baltar Glacier, i due alpinisti si sono però trovati di fronte una spedizione coreana che stava già salendo la montagna lungo la via immaginata da Moro, con stile piuttosto pesante. Perciò, Moro e Barmasse hanno cambiato meta e scelto una nuova montagna inviolata da salire: il Beka Brakai Chhok.
 
“L’abbiamo tentato e salito in puro stile alpino – racconta Moro -, senza nessun campo  piazzato sulla montagna e in meno di 48 ore. La cronaca di un tentativo precedente al nostro racconta di 5 campi piazzati in salita e 3 in discesa, senza peraltro aver toccato la vetta”.
Moro e Barmasse sono partiti dalla base della parete, 4.750 metri di quota, alle 5 del mattino. Hanno proseguito in conserva, su terreno piuttosto insidisioso, fino a 6.000 metri dove sono usciti su una cresta aerea ed affilata.
 
“Prima di quel punto abbiamo superato tratti anche strapiombanti di ghiaccio – racconta Moro -, numerosi pezzi verticali, qualche tratto di misto e scavalcato numerosi crepacci. Poi abbiamo iniziato un lungo delicatissimo traverso di 5 tiri di corda da 60 metri fino a raggiungere un ampio plateau. Procedendo in neve fresca fino al ginocchio lo abbiamo attraversato obliquamente tutto fino a raggiungere la base della piramide sommitale della montagna a quota 6.500 metri. Erano le 21.30”.
 
Lì i due alpinisti hanno organizzato un bivacco. “Ci siamo riparati sotto un seracco – prosegue l’alpinista bergamasco – e dentro un piccolo crepaccio abbiamo passato la notte senza nessun sacco a pelo, tenda, fornelletto… solo un gran freddo e battere di denti”.
“Il giorno dopo abbiamo salito gli ultimi 400  metri della montagna – continua Moro – incontrando difficoltà ancora sostenute e due tiri di misto pressoché verticali e poco proteggibili. Alle 14,30 eravamo sull’ultima cresta, cavalcata la quale siamo finalmente arrivati sulla vetta, rappresentata da una gigantesca cornice/meringa di neve inconsistente. Stretta di mano, foto di rito, riprese video e poi via di corsa verso il basso”.
 
In discesa, i due alpinisti hanno seguito un itinerario diverso (nella foto, indicato in verde). “Un itinerario logico, diretto, veloce ma più pericoloso per la presenza di grossi seracchi sommitali – ha detto Simone Moro -. Siamo scesi velocemente e tutto è andato per il verso giusto e a mezzanotte eravamo nuovamente alla tendina dove la nostra scalata era cominciata. Abbiamo proseguito verso il campo base che abbiamo raggiunto alle 3 di notte”.
 
Dal base, nelle ore scorse, Moro e Barmasse hanno seguito la tragica cronaca del K2 come già avevano fatto con il Nanga Parbat. “L’alpinismo non è solo morte, tragedie, sopravvivenza ed eroismo – commenta Moro -. Questa nostra salita di certo non farà parlare di sé come le recenti cronache degli 8000 pakistani, ma speriamo aiuti a ricordare che noi come tanti altri andiamo in montagna con sale in zucca, per vivere, gioire, crescere, accettare i verdetti della vita, dello sport e a volte anche del destino, senza mai mettere in discussione e mancare di rispetto verso ciò che permette di portare aventi tutto questo: il valore della vita”.
 
Sara Sottocornola

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