Curiosità

Storia di Oskar, guida di Solda (5)

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“Oskar, aveva avuto la fortuna di vivere spessissimo la splendida esperienza di scalare, però nonostante tutto, ogni volta gli sembrava la prima. Il ricordo tornava a quando, diciassettenne, era salito al Payer, ed aveva conosciuto Sepp. Da allora, quante altre volte ci era tornato, in quel rifugio, che da lontano sembrava piccolissimo, e che tanto aveva ammirato, da ragazzino mentre pascolava le capre dei nonni, guardandolo lassù, minuscolo puntino mimetizzato tra i colori delle sue rocce, ed abbarbicato sulla cresta affilata al confine del cielo”. Inizia così la quinta e penultima puntata del racconto scritto da Enrico Farina, che ha per protagonista Oskar, storica guida alpina della valle di Solda, che stavolta racconta l’indimenticabile emozione di una scalata.

In quel Payerhütte ormai era diventato di casa, e lì, aveva quasi trovato una seconda famiglia.
Le ragazze del rifugio, che praticamente svolgevano tutte le mansioni dalla cucina alla pulizia, erano carine, dolci e simpatiche. Per o gnuna di esse, Oskar, aveva dato, senza farlo capire alle interessate, il nome di una delle tante figure femminili delle sue fiabe. Così, Cristine era diventata Kitty Corcoran, per quella sua abitudine di gettare l’acqua del catino fuori dalla porta, senza badare che, con questo gesto, infastidiva i folletti che passavano nei paraggi. Mentre la sua collega, Carmen, per il fatto di aver parlato a lungo dell’antico arcolaio di sua nonna conservato gelosamente nella stube, l’aveva soprannominata Biddy. Soprannome scaturito dalla fiaba nella quale, appunto, Biddy Corrigan riuscì a battere la rivale Sally Gorman nel kemp per conquistarsi Shaun Buie M’Gaveran il più bel ragazzo della parrochhia di Faug-a-ballagh, in quella gara particolare, in cui le ragazze da marito si contendevano il futuro sposo a suon di filatura. Nemmeno a dirlo, Oskar ci si era immedesimato tanto, che anche lui non sarebbe stato capace di scegliere tra Cristine e Carmen, qualora avesse avuto il malaugurato desiderio di ammogliarsi e allora si immaginava di confrontarle, non in un kemp di filatura all’arcolaio, ma in arrampicata su una strapiombante parete di ghiaccio.

Le due amiche cercavano di capire lo strano atteggiamento di quel ragazzone strambo ma in fondo simpatico, anche se un po’ taciturno e introverso, ma mai avrebbero potuto immaginare le fantasie che gli frullavano in testa.

Nel rifugio vivevano in armonia, anche se spesso si ignoravano, due bestie che la tradizione vuole acerrimi nemici. Un vecchio sanbernardo che per via del suo pelo e per le dimensioni, Oskar, pur evitandolo per l’odoraccio che emanava, aveva battezzato Mahon, pescando quello strano nome dalla storia del gigante Mahon Mac Mahon. Il rivale, invece, era un felino snello, scaltro e dotato di un’ astuzia diabolica, perciò lo aveva soprannominato Irusan, in memoria del re dei gatti. Ovviamente rifacendosi alle memorie irlandesi.

Irosan aveva scoperto che non vi era cuccia migliore della pancia molle, calda e villosa di Mahon e mentre sonnecchiava al sole con un occhio chiuso e l‘altro semiaperto, ma in perenne e guardinga perlustrazione, si domandava perché fosse oggetto di tanta ammirazione da parte di quei cocciuti in calzettoni rossi che arrivavano lassù, sudatissimi, puzzolenti e carichi di pesanti zaini.

Allora, ignorandoli e filosofando a modo suo, tornava a guardare con cupidigia i gracchi che lo sorvolavano beffardi e sicuri di non essere acchiappati mentre volteggiavano in ardite acrobazie tra guglie rocciose e strapiombi da brivido.

In questo ambiente naturale e fantastico, Oskar, si ritirava spesso su uno spuntone di roccia e con l’armonica suonava la sua ballata preferita “Song of The Ghost”, immergendosi in quelle note dolci e vivaci di cui si era innamorato.

Così, sognando ed arrampicando era felice.

Era felice anche quando, tralasciava il ghiaccio per scalare le pareti dolomitiche, su quelle rugose superfici calcaree in cui l’adesione delle dita danno delle emozioni incomparabili che solo chi ha avuto la fortuna di conoscerle può capire.

La roccia la senti, la palpi, la tasti a lungo alla ricerca dell’appiglio giusto ed essa risponde dandoti la sicurezza della sua consistenza. Il più piccolo appiglio, i fori in cui entrano solo i polpastrelli, quelle leggere sporgenze su cui la punta della pedula trova un appoggio sicuro, o le suole in aderenza che danno la stessa tranquillità di chi sale una comoda scala di marmo di un sontuoso palazzo.

E i camini.

L’emozione di salire, in queste spaccature verticali, strette e lisce con la tecnica della pressione, puntando alternativamente schiena e piedi, imitando l’andatura del bruco. Oppure procedere a gambe divaricate in quelli più larghi, osservando il baratro che ti sta sotto e affidando la tua sicurezza all’adesione delle suole, alternata a quella delle mani pressate con forza, a palmo aperto, sulla roccia. Così, salendo senza cedere mai, fin che una modesta cengia ti permette un attimo di riposo per guardare, giù, l’abisso faticosamente superato.

Arrampicate in libera, senza l’uso di polvere di magnesio che impiastriccia le pareti, usando le dita callose dalle unghie accuratamente accorciate e la pelle, sempre più limata, dalla ruvida superficie abrasiva.
Il sole che ti ferisce gli occhi quando sbuchi da uno spigolo affilato e cerchi di individuare, sopra di te, il prossimo appiglio sporgendoti ad arco sul vuoto per scattare, come una molla, sempre più in su.

Armonia degli spigoli, geometrie del vuoto, scalando effimeri raggi di luce, come sulla Torre Delago, incomparabile lama di roccia affilata come un rasoio.  

Le tre torri del Vajolet erano state per Oskar un’esperienza splendida, non solo per la straordinaria bellezza delle forme slanciate e per quella roccia così porosa, ma anche per la presenza, altera e regale della Croda di Re Laurino, che domina la valle guardando Bolzano a poca distanza.

Aveva aggiunto alla conoscenza delle fiabe irlandesi, anche quelle più caratteristiche della sua regione, quelle fiabe stupende che toccano il cuore e i sentimenti soltanto agli alpinisti che non si limitano alle imprese sportive ma che sanno cogliere ogni emozione che la natura può donare.

L’odore e l’umore della montagna.

I fiori, coloratissimi, che a mazzi spuntano, non si sa come, tra pietre e spianate di roccia sfruttando ogni più piccola asperità e fessura nella quale un pizzico di terra permette al seme di germogliare. I contrasti di luci ed ombre tra le guglie in equilibrio precario, la maestosità dei ghiaioni, spesso ripidi all’inverosimile, pallidi e abbaglianti sotto il sole cocente estivo.

Quel sole che, ogni sera, al tramonto acquerella le Dolomiti di un rosa intenso o che in presenza di un temporale sbianca le pareti di una luce irreale, diafana e perlacea, in contrasto con il cielo cupo e plumbeo che gi fa da sfondo.

 

Enrico Farina

 

 Related links:
Storia di Oskar, guida di Solda – prima puntata
Storia di Oskar, guida di Solda – seconda puntata
Storia di Oskar, guida di Solda – terza puntata

Storia di Oskar, guida di Solda – sesta puntata

 

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