Gente di montagna

Tanti auguri a Carlo Alberto Pinelli, che oggi compie 90 anni!

Alpinista, regista di documentari, ambientalista, protagonista di spedizioni extraeuropee. Nel curriculum di “Betto” spicca il rapporto con il Pakistan, dove ha scoperto l’alta quota e dove tornerà ancora una volta ad agosto 

Alla fine di agosto del 1959, quattro alpinisti italiani raggiungono un’altissima vetta dell’Asia, il Saraghar Peak, 7349 metri, sul confine tra Pakistan e Afghanistan. A dirigere il team è Fosco Maraini, fiorentino, che al ritorno in Italia darà alle stampe Paropàmiso, uno dei racconti di spedizione più belli mai scritti. 

A ideare e condurre l’ascensione, però, sono dei giovani alpinisti di Roma. Sono soci della SUCAI, l’attivissima Sottosezione universitaria della sezione di Roma del Club Alpino, da qualche anno hanno iniziato ad aprire nuove vie sul Gran Sasso, ma anche sulle Dolomiti. Per la loro attività, alcuni di loro verranno ammessi nell’Accademico. 

Sei mesi e una settimana dopo il Saraghrar, quattro alpinisti della SUCAI affrontano un’altra grande montagna di neve e ghiaccio. Stavolta la quota è molto più bassa, perché la Vetta Orientale del Corno Grande culmina a soli 2903 metri. D’inverno però il “Paretone” del Gran Sasso, la muraglia che si affaccia sulle colline teramane e la costa, è un osso duro.
I quattro ragazzi di Roma, attrezzati con ramponi e piccozze classici, risalgono passo dopo passo i 1600 metri di dislivello e i tre chilometri abbondanti di sviluppo della via Jannetta, aperta nell’estate del 1922. Partono a notte fonda, arrivano in cima nella bufera e al tramonto, cambiano la storia dell’alpinismo sul Gran Sasso. 

In quegli anni, purtroppo, in montagna si fotografa poco. Sia nelle immagini della spedizione al Saraghrar, sia in quelle (pochissime!) del Paretone invernale, compare un giovane allampanato, con un paio di occhiali spessi e la barba, che si protegge dal sole con un cappello a falde larghe.
Si chiama Carlo Alberto Pinelli, vive a Roma ma è nato e ha scoperto la montagna a Torino, gli amici lo conoscono (anche oggi) come Betto. E’ lui a collegare la spedizione al Saraghrar, dove tocca la cima insieme a Franco Alletto, Paolo Consiglio e Giancarlo Castelli Gattinara, all’invernale al Paretone dove ha per compagni Franco Cravino, Silvio Jovane e Mario Lopriore. 

Al Festival di Trento del 1960, pochi mesi dopo l’exploit dei quattro romani sul Gran Sasso, il film Hindu Kush, firmato da Alletto e Pinelli e che racconta la spedizione al Saraghrar, viene premiato. Betto è figlio di Tullio Pinelli, uomo di letteratura e cinema, che ha scritto le sceneggiature di capolavori di Federico Fellini come La dolce vita, I vitelloni e La strada. Il Paretone d’inverno e il Saraghar, film incluso, aprono al figlio una carriera come alpinista, regista ed esploratore dell’Asia. 

Negli anni Sessanta, Carlo Alberto Pinelli compie altre prime invernali importanti sul Gran Sasso, e torna più volte su cime involate del Pakistan, dell’Afghanistan e dell’India, come il Lal Qilà e il Baba Tanghi, rispettivamente 6349 e 6515 metri. 

Sono spedizioni che hanno una parte culturale, realizzate con la collaborazione dell’ISMEO, l’Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente. Insieme ai romani, partecipano forti alpinisti del Nord come il biellese Guido Machetto e il veronese Giancarlo Biasin. Nel suo lavoro come documentarista, per la RAI e per altri committenti, Pinelli collabora spesso con Folco Quilici, con cui firma le serie L’alba dell’uomo, Islam e Pianeta d’Acqua.

L’impegno ambientalista

Alla fine degli anni Settanta, Betto si dedica alle battaglie per salvare la montagna dalla speculazione e dal degrado. “Un’autentica opera vandalica, priva di qualsiasi significativo risvolto economico per la maggioranza della popolazione locale” scrive a nome della Commissione Ambiente del CAI quando viene presentato il progetto per costruire un sistema di impianti di risalita e di piste nel cuore del Gran Sasso, nei territori di Fano Adriano e Pietracamela. 

Nello stesso periodo si batte per il Parco del Gran Paradiso e per la tutela del Monte Bianco, ed è tra i critici più duri, nel 1980, dell’inaugurazione della nuova Capanna Margherita, voluta dal presidente del CAI Giacomo Priotto e celebrata con molti voli di elicotteri. Quando il vertice del Club Alpino impone uno stop all’impegno della Commissione, Pinelli tira fuori dal cassetto un vecchio sogno. 

A novembre del 1987, nel Teatro Sociale di Biella, nasce Mountain Wilderness, un’associazione di “alpinisti per l’ambiente”, presente in maniera organizzata in Francia, Italia, Spagna e Svizzera. Tra i garanti di MW figurano Chris Bonington, Jim Bridwell, Kurt Diemberger, Edmund Hillary, Michel Piola e Wanda Rutkiewicz. Reinhold Messner, che ha contribuito ad avviare il progetto, preferisce restare all’esterno. Pinelli, che coordina l‘evento insieme a Roberto Osio, viene acclamato coordinatore. E’ fondamentale l’appoggio della Fondazione Sella e del CAAI. 

Negli anni che seguono, Mountain Wilderness si impegna per la tutela del Monte Bianco e dei massicci dell’Appennino centrale, contro gli impianti in progetto sull’Olimpo e per pulire la Marmolada. Il cuore e l’impegno in prima persona di Pinelli sono fondamentali per la riuscita di Free K2, la spedizione internazionale del 1990 che rimuove chilometri di corde fisse e tonnellate di rifiuti dalla seconda montagna della Terra. 

Negli anni, anche a causa della sua radice elitaria, Mountain Wilderness resta una piccola associazione. Ma il suo esempio è importante sull’Appennino, sulle Alpi e sulle montagne del mondo. In Pakistan, l’esempio di Free K2 viene proseguito da alcune ong locali, da altre strutture italiane come il Comitato Ev-K2-CNR e dal governo di Islamabad che dà vita al Central Karakorum National Park, che comprende il K2. 

Il Pakistan, tra spedizioni alpinistiche, missioni culturali e documentari, è sempre la grande passione di Carlo Alberto Pinelli. C’è stato decine di volte, ci tornerà ancora a fine agosto per coordinare la seconda edizione del corso Swat Girls in Action, che ha lo scopo insegnare i rudimenti dell’alpinismo a 24 ragazze tra i 18 e i 24 anni di età, che vivono in una delle regioni più belle e meno visitate del Paese. I progetti fanno restare giovani. Auguri Betto!          

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