Storia dell'alpinismo

L’alpinismo tra le due guerre (1930-1940)

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Anni di polemiche tra “occidentalisti” e “dolomitisti”. Anni di grandi imprese, che chiudono e risolvono gli ultimi, grandi problemi delle Alpi. Anni del progresso su ghiaccio. Ma anche gli anni della fine del glorioso “alpinismo classico”.

 

Agli anni ‘30 risale la polemica tra occidentalisti e dolomitisti, accusati da questi ultimi di essere solo dei ginnasti che salivano su “paracarri” (una vertenza che somiglia un po’ la polemica recente tra arrampicatori sportivi e classici). Allora il confronto fu vinto senza alcun dubbio dalla scuola orientale, che dimostrò di saper portare sulle grandi montagne, prima degli altri, il suo bagaglio tecnico.
 
Nonostante la presenza di alcuni grandi alpinisti di stampo occidentale, i grandi problemi delle Alpi Occidentali furono risolti da alpinisti che si erano formati sui massicci sedimentari come le Dolomiti. Fanno eccezione i francesi Charlet (grande ghiacciatore ma su roccia di livello tecnico piuttosto modesto), Allain e gli italiani Boccalatte, Chabod e soprattutto Giusto Gervasutti (nella foto).
 
Citiamo le migliori salite di Allain (1935 Aiguille Dru) e Gervasutti (1936, Ailefroide, 1938, Gugliermina e soprattutto la Est delle Grandes Jorasses). Ma facciamo notare che Gervasutti era un “orientalista” trapiantato a Torino ed il primo un parigino che aveva affinato le sue capacità sui sassi di Fointanbleu.
 
Nel 1930 a Brendel & Schaller riesce la salita della cresta di Peuterey, nel 1931 i fratelli Schmid salgono la Nord del Cervino, nel 1935 Peters & Maier le Jorasses per lo sperone Croz, nel 1938, Heckmair, Voerg, Kasparek & Harrer la Nord dell’Eiger, nel 1938 Cassin lo sperone Walker, nel 1939 Ratti e Vitali l’Aiguille Noire.
 
Nel periodo tra le due guerre si assiste anche ad un progresso su ghiaccio: grazie all’introduzione del rampone a 12 punte, che sostituiva il vecchio modello Eckstein senza punte anteriori, e grazie all’applicazione di tecniche artificiali mutuate dall’arrampicata su roccia, vennero superati i limiti ottocenteschi. Il passo avanti è stato fatto con le salite degli inglesi sulla Brenva, di Ertl sull’Ortles e sul Gran Zebrù e di Charlet nel Massiccio del Bianco, ma soprattutto con le imprese di Welzenbach che spaziò su tutto l’arco alpino.
  
Alla fine degli anni ‘30 i più importanti ed evidenti problemi delle Alpi sono di fatto risolti, e la guerra arriva a porre fine al periodo eroico dell’alpinismo classico, contraddistinto da un’arrampicata essenzialmente “libera”, anche se priva di categorici pregiudizi per l’uso di qualche limitato mezzo artificiale.
 
Ermanno Filippi 
 
 
Testo di Ermanno Filippi – Istruttore di Alpinismo CAI. Tratto da "Brevi cenni di storia dell’Alpinismo", dispensa della Scuola di Alpinismo del CAI Bolzano

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