A tu per tu con Bepi Vidoni, silenzioso protagonista dell’estremo
La recente apertura sulla Dent d’Hérens e l’impresa su Divine Providence one-push (entrambe con Francois Cazzanelli) hanno portato sotto la luce dei riflettori l’alpinista di origini friulane. Che, da sempre, alle parole preferisce i fatti
Valdostano “acquisito”, il suo nome è spesso associato a grandi salite e aperture di nuove vie. Tuttavia, rispetto ai suoi soci di cordata più attivi nella comunicazione, lui rimane più defilato. Su social e giornali interviene poco, ma parla con i fatti. Abbiamo però strappato, non senza fatica, qualche parola a Bepi Vidoni, fortissimo alpinista “valdo-friulano”. Per conoscerlo meglio.
Comeè iniziata la tua passione per l’alpinismo?
Sono nato a Gemona del Friuli, un paesino alle pendici delle Prealpi Giulie. Da giovane andavo ogni tanto in montagna con i miei genitori, ma a 18-19 anni ho iniziato a frequentare le montagne in maniera più seria. Ho avuto la fortuna di incontrare Remigio, un alpinista del posto, che mi ha insegnato moltissimo. Prima ho iniziato con le classiche, ma piano piano mi sono spinto verso salite più impegnative, fino a realizzare la mia prima solitaria invernale dello Spigolo Deye -Peters. Poi ho fatto anche la traversata della Cengia degli Dei, sempre in solitaria, in inverno.
Nel 2016, a 22 anni, hai salito l’Aconcagua da solo. Come è andata?
Ho salito l’Aconcagua fino al campo base con degli amici, poi uno di loro si è sentito male e ho proseguito da solo. C’era una buona dose di incoscienza, ma è stata una grande esperienza. Qualche anno dopo, nel 2022, ho salito il Broad Peak senza ossigeno, tecnicamente non complesso ma è interessante vedere come il corpo reagisce alla quota.
Ti piace l’alpinismo tecnico, ma anche quello in alta quota.
Per me l’ideale è combinare la tecnica con la quota. Che è un po’ quello che abbiamo tentato di fare nell’ultima spedizione al Kimshung.Sono un alpinista polivalente, sono preparato sia a livello tecnico che aerobico. Questo è il segreto per riuscire ad affrontare salite così impegnative, non bisogna trascurare nessun aspetto.
A luglio hai salito Divine Providence in one push con Cazzanelli.
Per me era la prima volta su quella linea mitica, François invece l’aveva già salita. Siamo stati i primi a salire Divine Providence in one push nessuno ci aveva pensato o provato prima. Per il resto non credo che sia chissà che record… è facilmente battibile.
Ormai tu e François siete una cordata consolidata.
Francois e io siamo molto simili, sia come visione dell’alpinismo che come motore. Siamo entrambi molto allenati e molto versatili e c’è davvero un buon feeling. Quello che ci interessa è aprire nuove vie sulle Alpi e magari, perché no, tornare in Himalaya.
Avete iniziato l’anno con una nuova via sulla Dent d’Hérens, tra l’altro.
È stata un’idea di Franz, la Dent d’Hérensè casa sua. Prima di partire temevano che la via sarebbe stata molto più da ravanare, invece sono usciti dei bei tiri tutti da scalare. Aprire vie nuove mi piace soprattutto per il fattore dell’incognita. Non sai cosa succederà, a cosa andrai incontro. E poi mi fai qualcosa che in qualche modo “è tuo”.
Hai aperto tante vie anche sul Bianco.
La più bella in assoluto è stata la Cascata Major sulla est del Bianco. Primo perché è una via davvero molto estetica e poi perché ti trovi in uno dei posti più incredibili del massiccio del Monte Bianco. L’ho salita a novembre 2021 insieme a Francesco Civra Dano. Una striscia di ghiaccio di 200 metri tra la via Major e la Poire.
Prossimi obiettivi?
Con François stiamo valutando di tornare al Kimshung, un po’ per chiudere i conti con quella montagna. Abbiamo in mente tante altre idee, aspettiamo solo le giuste condizioni per partire.