Alpinismo

Shisha Pangma: Mario Vielmo racconta la giornata decisiva

Lo scalatore veneto ha completato la collezione dei 14 Ottomila, tutti saliti senza ossigeno supplementare. Dalle sue parole la cronaca di una giornata speciale

E’ stata dura. Mario Vielmo, appena tornato a Kathmandu dallo Shisha Pangma, ha delle profonde righe sul volto e un principio di congelamento sul naso. La voce è quella di un uomo che ha dato tutto, e ora è esausto. I capelli sembrano più grigi di prima, ma forse è perché non lo vedo in faccia da tempo. 

Il motivo della stanchezza lo sappiamo. Una settimana fa, il 9 ottobre, Mario ha raggiunto la vetta dello Shisha Pangma, 8027 metri, e ha completato la sua collezione dei 14 “ottomila” della Terra. In un’epoca di collezioni completate in pochi mesi, come quella della norvegese Kristin Harila (92 giorni in totale!), gli anni impiegati da Mario, e da Marco Camandona due mesi prima, hanno un piacevole sapore d’altri tempi. 

Come dimostra il volto di Mario Vielmo, però, la fatica c’è stata tutta, ed è stata preceduta da problemi con la burocrazia. Un anno fa, quando Mario era con Sebastiano Valentini, dopo che una valanga ha ucciso due alpiniste statunitensi e due Sherpa le autorità cinesi hanno fermato tutte le spedizioni. Nella scorsa primavera, per problemi burocratici, la spedizione non è nemmeno iniziata. Quest’anno il freddo e le nevicate sembravano poter imporre un altro stop. E invece l’alpinista di Lonigo ce l’ha fatta. 

Mario, com’è stata la giornata di vetta?
Durissima. L’8 ottobre siamo arrivati al campo 2 verso le 18, abbiamo riposato un paio d’ore, abbiamo mangiato e bevuto qualcosa, poi siamo ripartiti verso la cima, senza installare il campo 3 come si fa di solito. Le previsioni davano un peggioramento del meteo, dovevamo fare presto. 

Eravate molti?
Sì, eravamo un bel gruppo, 16 alpinisti, in maggioranza donne, e altrettanti Sherpa. Il freddo non ci ha dato tregua, e dopo qualche ora ho iniziato a restare indietro rispetto agli alpinisti che salivano con respiratori e bombole. Duecento metri sotto la cima ho pensato per un momento a rinunciare, il freddo ai piedi era troppo forte. Invece ho continuato. 

A che ora sei arrivato in cima? E gli altri?
I primi, quelli con le bombole, sono arrivati verso le 6 di Pechino, che in Tibet sono le 4 del mattino. Buio pesto. Io sono arrivato su alle 9.30, con una bellissima alba e un panorama meraviglioso sull’Himalaya e sull’altopiano tibetano. Mi sono fotografato e filmato con la bandiera delle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026 e con quella di Trek for Mandela, una ong che aiuta le donne africane. 

Con chi sei arrivato in cima?
Con il mio amico Adrian Laza, un rumeno che vive in Canada, e con i nostri Sherpa personali, che hanno usato l’ossigeno. Anche la discesa è stata lunga. Il 9 sono arrivato al campo 2, il giorno dopo al campo-base, e l’11 siamo dovuti ripartire di corsa, con un’altra lunghissima camminata sulle morene. Un giorno e mezzo di bus fino a Lhasa, poi il volo per Kathmandu. 

Questa volta non ci sono stati problemi burocratici?
Ci sono stati, ma per fortuna sono stati superati. Dovevo partire dall’Italia l’8 settembre, poi ho dovuto rinviare al 14, e poi ho dovuto attendere per 4 o 5 giorni a Kathmandu. Meglio delle altre volte, però… 

Il ritardo vi ha creato dei problemi sulla montagna?
Certo, perché abbiamo avuto un tempo autunnale, freddissimo. Sono riuscito a fare solo una rotazione fino al campo 2, poi sullo Shisha Pangma sono scesi due metri di neve, e negli stessi giorni in Nepal ci sono state delle alluvioni violente. Quando il tempo si è rimesso siamo partiti per la cima. In tutto la mia spedizione è durata solo 13 giorni! 

Le condizioni della neve in alto erano pericolose?
Al campo 1 ho fatto un sondaggio, ho scavato per un metro, e ho trovato almeno cinque strati non saldati, potenzialmente pericolosi. Ho proposto agli altri di salire per la via spagnola, quella di Iñaki Ochoa de Olza, e hanno accettato. La normale sarebbe stata troppo rischiosa. 

Come sono stati i rapporti con gli altri team nepalesi?
Ottimi, e mi ha fatto piacere perché in passato non era sempre stato così. Io ero con la Seven Summit Treks, c’erano anche la Elite Exped di Nirmal Purja, la Imagine Nepal di Mingma G e la Climbalaya Treks. Tutti hanno collaborato tra loro. Anche Nims con Mingma G, che pure erano in competizione per la prima collezione nepèalese degli “ottomila” senza ossigeno. 

Sullo Shisha Pangma c’era anche Kristin Harila, vero?
Sì, e in discesa, sotto la vetta, si è fermata per due ore per cercare i corpi del suo amico Tenjen Lama Sherpa e della sua cliente Gina Marie Rzucidlo, uccisi da una valanga un anno fa. Non li ha trovati. D’altronde la valanga è scesa per 700 o 800 metri, e in mezzo c’erano grandi crepacci e seracchi. Una missione impossibile. 

A proposito di missioni, cosa farai in futuro?
Ovviamente devo tornare a casa e riposarmi. Ma confesso che aver raggiunto un obiettivo che ho inseguito per anni mi ha lasciato depresso. Ho sognato i 14 “ottomila” per una parte importante della mia vita, ora dovrò trovare qualcos’altro. Non sarà semplice.  

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Un commento

  1. Non so se lo pubblicherete, perchè degli ultimi 4 commenti che ho fatto sul vostro sito non ne è stato riportato neanche uno, ma comunque, per completezza di informazione, ribadisco che l’Everest è stato salito con l’ossigeno negli ultimi 200 metri quindi non ha salito tutti gli 8000 senza ossigeno.

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