Alpinismo

Luglio 1934, il capolavoro di Bruno Detassis e compagni sulla Brenta Alta

Il 14 e il 15 luglio del 1934, il grande alpinista trentino sale insieme a Ulisse Battistata ed Enrico Giordani la parete Est della Brenta Alta, una delle più difficili ed eleganti del massiccio. Pioggia, grandine e neve rendono l’ascensione eroica

Per decenni i frequentatori del Brentei hanno avuto un anfitrione speciale. Prima di sera, quando il sole tornava a illuminare le rocce dopo i temporali del pomeriggio, alpinisti di molti paesi diversi si rilassavano intorno al rifugio più amato del Brenta.

All’improvviso, con un “ta-ta-ta” regolare, il motore del montacarichi rompeva il silenzio. Un quarto d’ora più tardi, dalle tenebre del fondovalle, si materializzava un carrello carico di scatoloni di pasta, di bombole di gas e di casse di birra. Si vedevano un cappello di feltro, una barba grigia, una pipa. Bruno Detassis era tornato nel suo regno.

Seguiva la cena, con gli alpinisti benestanti ad abbuffarsi di minestrone e polenta nel rifugio, e gli studenti squattrinati ad arrangiarsi con minestre liofilizzate e formaggio nel portico. Poi “il Bruno” compariva di nuovo. Senza far distinzione tra i clienti paganti e chi si era portato il fornello da casa (e qualcuno dormiva in tenda tra i massi) si sedeva a dispensare i suoi consigli.

Grazie a lui, i neofiti del massiccio scoprivano i segreti delle vie più famose del Brenta, dalla normale del Campanile Basso ai grandi itinerari del Crozzòn, e delle rispettive discese. Chi aveva già percorso le classiche si sentiva suggerire qualche itinerario poco noto, quasi sempre firmato Detassis.

Gli escursionisti arrivati per le Bocchette, o semplicemente per il panorama e l’atmosfera, potevano ascoltare aneddoti e storie raccontati con bonomia e sorriso, senza atteggiarsi a primo della classe. Invece Bruno Detassis, il signore del Brenta, ha avuto un ruolo fondamentale della storia dell’alpinismo dolomitico.

Nato a Trento nel 1910, a cinque anni Bruno viene spedito in Boemia insieme alla madre, alla sorella e a migliaia di donne e bambini, dalle autorità austro-ungariche che temono simpatie irredentiste. Al ritorno frequenta le scuole professionali, poi inizia a lavorare come operaio. La passione per la montagna lo coglie a sedici anni di età.

Nel luglio del 1926 scopre la roccia sulla Paganella con Pietro Stenico, fratello del più noto Marino. Un anno dopo, sempre insieme a Stenico, sale per la prima volta sul Campanile Basso. Vi tornerà con amici o clienti più di duecento volte, compiendo la prima ascensione notturna e la prima salita invernale. Nel 1928, sugli Sfùlmini, Bruno Detassis apre la prima delle sue 105 vie nuove.

Nel 1935 inizia a lavorare come guida, dimostrando abilità e passione. “Facendo il Campanile Basso con Detassis ho avuto l’impressione di vivere un magico sogno. Più che arrampicare Bruno sfiora le crode, accarezzandole con immenso amore. Sembra iniziare chi lo segue a un rito che rende partecipi dell’anima della roccia” ricorderà un cliente.

Nel 1934, per la prima volta, Detassis si lega in cordata con Ettore Castiglioni, l’alpinista e musicista di origini trentine con cui compie molte ascensioni importanti. La rettitudine morale di Bruno Detassis pare in certi momenti un mito di un eroe antico, annoterà Castiglioni. Con i colleghi Ulisse Battistata ed Enrico Giordani “il Bruno” firma capolavori come la Via delle Guide sul Crozzòn di Brenta, un itinerario grandioso sulla parete più imponente del massiccio.

Negli anni Cinquanta Bruno Detassis è protagonista della prima spedizione trentina al Cerro Torre e della prima traversata sciistica delle Alpi, diventa gestore del Brentei e responsabile del Soccorso alpino di Campiglio.

E’ tra gli ideatori della Via delle Bocchette, che attraversa il cuore del Brenta sfruttando cenge e forcelle attrezzate con corde e scale metalliche, e che offre a chi la percorre (migliaia di persone ogni estate) la possibilità di ammirare da vicino lo slancio del Campanile Basso e delle altre torri.

La cronaca di una salita epica

Nei primi anni Trenta, Detassis sale più volte a studiare una delle ultime pareti inviolate del massiccio, che battezza “la Regina del Brenta”. Dalle ghiaie della Busa degli Sfulmini osserva la Nord est della Brenta Alta, una muraglia verticale di quasi cinquecento metri di altezza. Gino Buscaini, nella sua guida del massiccio la definirà “stupenda”, e “di eccezionale uniformità e compattezza”.

Nel 1934 Bruno Detassis non si limita a guardare. Il 14 luglio scende dalla Bocca di Brenta alla Busa degli Sfulmini con Battistata e Giordani, sale alla base delle rocce, poi attacca la parete per l’unica fessura che consente di arrampicare in libera. Altre fessure collegate da cenge consentono di raggiungere il “diedro a semicerchio” che offre il primo passaggio di sesto grado. La salita è veloce e allegra, i tre sono dei professionisti bene allenati, nessuno dubita del successo.

A metterci lo zampino è il tempo. Mentre Bruno è impegnato nel diedro inizia a piovere, poi l’acqua lascia il posto alla neve. E’ solo mezzogiorno, ma non si può proseguire. Detassis deve calarsi in corda doppia dagli amici, poi si può solo traversare fino a una cengia e aspettare.

Le corde di canapa gelate non consentono di affrontare una lunga discesa in doppia in buona parte nel vuoto. Per tutto il pomeriggio, e nella gelida notte che segue, Detassis, Battistata e Giordani devono star fermi e attendere, mentre sulla cengia si accumulano trenta centimetri di neve. L’unico modo per scaldarsi è alzarsi in piedi e battere i piedi. Bruno tenta di accendere un mezzo toscano, ma il sigaro inzuppato gli consente di tirare solo poche boccate di fumo.

Alle sette di mattina si può ripartire, ma l’allegra arrampicata ha lasciato il posto a una lotta per la sopravvivenza. Guardando verso l’alto, annota Bruno, “la parete è pulita dalla neve, ma dà l’idea che pianga”. Le tre guide si alternano al comando, disturbate da scrosci di grandine. Le difficoltà restano alte, tra il quinto e il sesto, e arrampicare con le scarpette con le suole di feltro bagnate è pericoloso.

L’ultimo passaggio difficile è un camino. Prima di raggiungerlo Detassis vede le dita dei piedi spuntare dalle pedule ormai a pezzi, e chiede il cambio a Battistata. Questi va avanti, pianta un chiodo in uno strapiombo, sbaglia il colpo e si massacra un pollice con il martello. Il freddo intenso gli impedisce di sentire fino in fondo il dolore.

Alla fine del camino i tre sanno di avercela fatta. Costruiscono un ometto di pietre, lasciano in una scatola un biglietto con i loro nomi. Decidono di chiamare il nuovo itinerario “via Trento”. Saranno i ripetitori, più tardi, a parlare di “via Detassis alla Brenta Alta”. 

Poi il terreno diventa facile, ma il tempo rimane nemico. Gli ultimi passaggi sono impiastrati di neve e vetrato, l’ultima bufera di neve si scatena quando la cordata è sulle terrazze di uscita. Dopo sedici ore di arrampicata, i tre alpinisti sbucano sulla cima.

“Un’arrampicata arditissima, forse la più ardua del Gruppo” commenterà l’amico Castiglioni. Ma Bruno Detassis e compagni, accanto all’ometto della cima, non pensano a celebrare. Intirizziti e stravolti, scendono di gran carriera per le cenge e i camini della via normale, verso il rifugio Pedrotti che promette una bevanda calda e una dormita.

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