AlpinismoGente di montagna

Mike Kosterlitz

Protagonista della grande stagione del Nuovo Mattino, lo scalatore scozzese fece conoscere in Italia le tecniche apprese nella sua terra di origine. Nel 2016 ha vinto il Premio Nobel per la Fisica

Esiste una relazione tra l’arrampicata e la fisica?
«Affronta l’ignoto e fai quello che puoi». 

Da un’intervista rilasciata a Roberto Gardino

Ora sulla bocca di tutti semplicemente come Mike, John Michael nasce il 22 giugno 1943 in Scozia, ad Aberdeen, in una famiglia emigrata dalla Germania poiché a quel tempo al padre, ebreo non-praticante, non era permesso sposare una tedesca cristiana. Figlio del biochimico Hans Walter Kosterlitz, celebre per gli studi sulle endorfine, Mike cresce con la scienza nel sangue. Studia prima ad Edimburgo, poi a Cambridge, dove prende il titolo di Master in Arts, simile alla nostra Laurea Magistrale, e infine a Oxford, raggiungendo qui, nel 1969, il titolo di Doctor of Philosophy e facendo conoscenza di Berit, sua futura moglie.

In questi anni si dedica soprattutto alle ricerche in ambito delle transizioni di fase della materia.

Si avvicina all’arrampicata iscrivendosi, quasi per gioco, al Climbing Club di Cambridge che organizza delle uscite nei dintorni. Ne resta subito affascinato, nonché si scopre molto portato. Ogni venerdì sera sale in auto, in compagnia di Berit, per trascorrerere il weekend sulle rocce di Llanberis o del Lake District o, in inverno, sulle cascate di ghiaccio di Glencoe o nel Ben Nevis.
Riceve, dunque, il battesimo e la prima formazione all’alpinismo nella dura scuola britannica, per poi affinarsi negli USA, dove apprende le tecniche di arrampicata a incastro e conosce le attrezzature ideali per proteggere le fessure. Negli States realizza numerose ripetizioni e aperture, come una nuova via nei Bugaboos, con Art Higbee, nel 1974.

Durante gli studi non mancano le trasferte nelle Alpi. Qui effettua una delle prime ripetizioni della Philipp-Flamm, sulla Nord Ovest del Civetta, e la prima dell’Americana ai DRU, con Mick Burke nel 1966. 

La Via degli inglesi sul Pizzo Badile

Nel 1968 Kosterlitz è con Dick Isherwood in Val Masino, e precisamente al Rifugio Gianetti. Mike è riservato e modesto, ma anche ambizioso e consapevole delle proprie capacità. Spiega al gestore di voler salire la Via Felice Battaglia, sulla Nord-Est del Badile. Si tratta di un itinerario aperto con parecchio uso di artificiale nel 1953 da Battaglia e Corti che, con una visione decisamente avanti per i tempi, lo scozzese mira a percorrere in arrampicata libera, mettendo solo protezioni veloci. 

Dove la via originale piega decisamente a sinistra, i due proseguono dritti, guidati dalla logica di diedri e fessure, usando, forse per la prima volta in Masino, scarpette dalla suola liscia, nuts e tecniche di arrampicata ad incastro. Nasce così, per errore, la Via degli Inglesi, tra le più impegnative di quei tempi, su una delle pareti più belle e impressionanti delle Alpi.

Nella stessa occasione, sentendosi a suo agio su quelle montagne granitiche, apre una nuova via sull’Avancorpo del Porcellizzo, sempre con Isherwood, e ripete numerose classiche della zona.

Protagonista del Nuovo mattino

La svolta per lui e, soprattutto, per l’arrampicata italiana, avviene nel 1969, quando arriva all’Istituto di Fisica Teorica dell’Università di Torino con una borsa di studio in tasca. 

In quegli anni nelle valli del Piemonte e, soprattutto, in Valle dell’Orco, qualcosa nell’alpinismo sta cambiando. E’ il Nuovo Mattino, un decennio tra gli anni ‘70 e ‘80 caratterizzato dalla ricerca della difficoltà e della bellezza del gesto, uno spirito che porta a valorizzare strutture e pareti nella bassa valle, spesso senza la tanto bramata vetta da conquistare tipica degli anni precedenti. 

Mike arriva come benzina sul fuoco del Nuovo Mattino, legandosi con i suoi esponenti di punta: Ugo Manera, Gian Carlo Grassi e Gian Piero Motti.

Condivide con loro le tecniche dell’arrampicata in fessura e mostra le protezioni veloci adottate negli USA. 

Kosterlitz è affascinato dalla Valle dell’Orco che gli sembra una piccola Yosemite dal potenziale infinito, un libro bianco dove poter disegnare linee a suo piacimento.

L’esempio per eccellenza è la fessura che porta il suo nome: vedendola, Mike salta giù dalla macchina e sale senza corda e con disinvoltura questo masso isolato, incastrando mani e piedi nella spaccatura nel mezzo. La “Fessura Kosterlitz” è forse uno dei primi passaggi di settimo grado di blocco delle Alpi, dovrà attendere ben sette anni prima di essere ripetuta da Roberto Bonelli. Si tratta di un simbolo tanto importante da essere stato appositamente risparmiato dalla costruzione della galleria che porta a Ceresole Reale.

Il 31 marzo 1973 Kosterlitz è sulla Torre di Aimonin, parete ancora vergine sopra l’abitato di Noasca, con Guido Morello, Roberto Bianco, Ugo Manera e Gian Piero Motti. Quest’ultimo, salendo, recupera i dadi utilizzati da Mike per proteggersi nella scalata e, arrivato in sosta, dice a Manera: “Ti piacciono? E’ un bel pesce d’aprile!”. La prima salita della parete non può che prendere il nome di: “Via del pesce d’aprile”, fondamentale per la diffusione dell’uso dei nuts nelle Alpi.

Il 18 aprile dello stesso anno, sulla parete del Caporal, così chiamata in relazione al fratello maggiore in Yosemite, ossia il Capitan, Kosterlitz mostra a Grassi e Motti un altro nuovo gioco importato da oltre oceano: il copperhead. Si tratta di un cilindretto di rame che, spalmato a martellate sulle asperità della roccia, gli permette di appendersi e superare il tratto chiave della nuova via, chiamata “Sole Nascente”.

Con Grassi esplora pareti anche al di fuori della Valle dell’Orco come le Cozie e le Alpi Marittime; qui, sul Corno Stella, aprono insieme una via tra tetti, vene di quarzo e camini, il 6 agosto 1976.

Mike ama l’arrampicata libera e la spinge al massimo sia sui blocchi di fondo valle sia sulle vie in montagna, facendo del VII grado il suo pane. Ne è un esempio la prima ripetizione in libera della Via dei tetti a Z, al Castello Provenzale, che venne aperta dall’amico Manera tirando parecchi chiodi e superata in libera dal britannico con acrobazie ed incastri.

Il Nobel nel 2016

Nel 1978 la diagnosi della sclerosi multipla lo costringe a lasciare la scalata, per dedicarsi ai tre figli, ai suoi studi e all’insegnamento; da anni lavora, infatti, come docente alla Brown University di Providence, in Rhode Island. 

Nel 1981 riceve la Medaglia e il Premio Maxwell dall’Istituto Britannico di Fisica e, nel 2000, il Premio Onsager per i suoi studi riguardo alla meccanica statistica.

Con David Thouless e Duncan Haldane, nel 2016 riceve il premio Nobel per la Fisica con questa motivazione: “per il loro contributo allo studio della materia esotica nel mondo quantistico e per le loro scoperte delle transizioni di fase topologiche della materia”.

Nel 2017 viene insignito del premio Climbing Ambassador degli Arco Rock Legends ma, se esistesse anche un “Nobel per l’arrampicata”, Mike Kosterlitz lo meriterebbe di certo, per aver messo le basi dell’arrampicata libera come tuttora la conosciamo ed amiamo.

Io sono una persona ossessiva, adoro la Fisica e la scalata. Amo in queste due discipline la precisione e la ricerca. E poi mi rilassano perché devo rimanere sempre concentrato.

Da un’intervista rilasciata a Mauro Pigozzo

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