Meridiani Montagne

Quel Dente che Al sol risplende: “erto, aguzzo, feroce”

Sul numero 125 di Meridiani Montagne, ora in edicola e dedicato al Dente del Gigante e alla Val Ferret, il direttore Paolo Paci racconta le vicende che hanno portato alla conquista della cima più caratteristica del Gruppo del Bianco. Tra storia, aneddoti e polemiche

Impossibile non notarlo. Si erge solitario tra vette ben più elevate ma senza quella personalità che lo rende unico. E’ il Dente del Gigante a conquistare la scena fin dall’autostrada che porta a Courmayeur, poi da piazza Henry e da Dolonne, e, ancora più su, dalla Balconata della Val Ferret o dal Mont Chetif.
Al campanile roccioso “erto, aguzzo e feroce”, cantato dal Carducci, è dedicato l’articolo scritto da Paolo Paci, il direttore di Meridiani Montagne. Quello pubblicato sul numero della rivista dedicato al Dente del Gigante e alla Val Ferret, attualmente in edicola, non è però un articolo meramente alpinistico. Certo, non manca il racconto della controversa conquista avvenuta nel 1882 e della sfida tra alpinisti di diverse nazionalità, così come non passa in secondo piano l’insidiosa “gengiva”, teatro di tanti incidenti. Ma la storia raccontata da Paci è ben più articolata e si sofferma anche su aspetti di attualità già 140 anni fa. E che, ancora oggi sono al centro dei dibattiti: “Absolutely inaccessible by fair means”, scrisse al tempo Albert Frederick Mummery, non proprio uno qualsiasi, costretto alla ritirata da ostacoli insormontabili per i mezzi consentiti dalla sua etica.

Ecco qualche breve passaggio dell’articolo di Paolo Paci dal titolo Al sol risplende.

Una vetta non troppo difficile che richiama anche sprovveduti

Il Dente del Gigante è un parafulmine. Uno spropositato paracarro. Una pietra miliare sulla strada dell’alpinismo. Una bandiera nazionale (di quale nazione? Lo vedremo). Il Dente del Gigante è un assassino che “erto, aguzzo, feroce si protende” e taglia minaccioso il cielo e al sol risplende, come efficacemente poetava Giosuè Carducci.

Centinaia di cordate lo tentano ogni estate: attenzione ai cambiamenti di tempo, quel campanile roccioso sopra il Colle del Gigante è aperto a tutti i venti ed è uno dei luoghi più sensibili alla meteorologia; attenzione anche all’affollamento delle cordate, soprattutto sulle doppie della discesa, perché l’ascensione del Dente attira un sacco di principianti e regolarmente miete vittime, senza fare distinzioni tra alpinisti piccoli e grandi.
La vittima più illustre fu proprio il più famoso alpinista della sua epoca, Émile Rey, principe delle guide di Courmayeur, nel 1895. Morì per una inspiegabile caduta durante la discesa, quando già si era slegato dal cliente…

La lealtà di Mummery

Sono tuttavia gli inglesi a occupare per primi la linea di partenza, anzi, un inglese, Albert Frederick Mummery, insieme con Alexander Burgener, grande guida vallesana. La coppia è la più forte e affiatata che si possa incontrare tra Chamonix e Zermatt… A Courmayeur hanno alloggiato al Royal Bertolini e passando per il Colle del Gigante hanno osservato quella guglia, intonsa e invitante. É nell’agosto, in un giorno che Mummery non si degna nemmeno di segnalare sul suo diario, che portano l’attacco al Dente. Risalgono la “gengiva”, superano un camino, raggiungono lo spigolo e qui, davanti alle placche compatte, rinunciano. Due anni dopo i primi salitori troveranno un biglietto da visita su cui Mummery di suo pugno ha scritto una semplice frase, destinata a riecheggiare spesso nella storia dell’alpinismo: “Absolutely inaccessible, by fair means”.

La conquista, non proprio ortodossa. Grazie ai maçons, i muratori

… É infatti una guida, italiana ma “forestiera”, Jean-Joseph Maquignaz di Valtournenche (uno degli esploratori della Cresta del Leone al Cervino), con il figlio Baptiste e il nipote Daniel, a raccogliere il frutto maturo del Dente del Gigante, con mezzi non proprio ortodossi. A finanziare l’ascensione è la famiglia Sella: i fratelli Alessandro, Alfonso, Corradino, figli di Quintino (ministro del Regno e fondatore del Club alpino), insieme al cugino Gaudenzio.

Sono loro a rappresentare l’onore alpinistico nazionale, e saranno le guide del Cervino a fare il lavoro sporco. Il 28 luglio 1882, dopo quattro giorni di sforzi, i Maquignaz raggiungono la vetta, ma per farlo hanno forato la roccia, piantato fittoni di ferro, scavato gradini artificiali, hanno steso cento metri di corde di canapa, che poi rimarranno (i “canaponi”) a segnare per sempre la via. Un vero lavoro da muratori: maçons, così li definisce Frison-Roche nella sua Storia dell’alpinismo.

 

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