Meridiani Montagne

Sentiero Roma. L’avventura corre sul granito

Testo di Giuseppe “Popi” Miotti, tratto dal numero di Meridiani Montagne “Sentieri e rifugi di Lombardia”

Anche se parzialmente imbrigliata da corde fisse, la traversata dei monti del Masino, nota universalmente come Sentiero Roma, è ancora oggi un’avventura dal sapore antico. In più di un’occasione mi sono ritrovato a pensare come sarebbe bello liberare il percorso dalle attrezzature, rendendolo sì più difficile, ma restituendogli completamente la caratteristica di un viaggio indimenticabile fra gli scenari aspri e selvaggi di queste montagne. La mia è un’ipotesi troppo romantica, e capisco che il turismo, seppure d’élite, come quello proposto dal Roma, richieda anche qualche concessione alla sicurezza dei viandanti. L’idea del tracciato nacque attorno al 1928 in seno alla sezione del Cai Milano, proprietaria di tutti i rifugi del massiccio e da sempre sensibile alla valorizzazione turistica della montagna come utile strumento per la sua difesa. Probabilmente il progetto prese le mosse anche dallo stretto rapporto che la sezione aveva con le guide locali, i Fiorelli, che conoscevano palmo a palmo le loro montagne non solo per averle battute con i clienti, ma anche come temibili cacciatori. Tramite loro si sapeva che era possibile in qualche modo traversare di valle in valle sfruttando i valichi che incidevano in quota le alte costiere rocciose che le separano, e che dunque si sarebbe potuto creare un entusiasmante collegamento fra i tre rifugi, Gianetti, Allievi e Ponti. L’opera fu portata avanti in più riprese e negli anni Trenta quello che è il “vero” Sentiero Roma si poteva dire completato.

Ai piedi dei giganti di pietra

Oggi si può iniziare il Sentiero Roma “allungato” partendo dai Bagni di Masino per salire al rifugio Antonio Omio (2100 m). Il dislivello non è eccessivo, ma può valere la pena di pernottare lassù per affrontare il giorno dopo l’ascensione al Pizzo Ligoncio (3033 m), sentinella decentrata su tutto il massiccio. La salita è facile, e tornati al rifugio è possibile proseguire in giornata alla volta della Val Porcellizzo e del rifugio Gianetti. Il faticoso tratto per arrivare al Passo del Barbacan (2598 m) è ripagato dalla vista che si apre dal valico: il Badile, il Cengalo, i Gemelli, cime storiche che chiudono l’orizzonte verso nord. Stiamo entrando nella valle delle guide Fiorelli, ma scrutando verso le alte costiere che dovremo valicare nei prossimi giorni un pensiero va anche all’inafferrabile Gigiat, mitologico bestione, nume tutelare di questi luoghi, che salta di valle in valle con prodigiosi balzi, sprigionando scintille quando i suoi zoccoli scalpitano sulle placche di granito.Il rifugio Gianetti (2534 m) non è solo una tappa del trekking, ma anche asilo sicuro per tutte le cordate che scendono dalle gigantesche pareti settentrionali del Badile e del Cengalo. Qui si è scritta la storia dell’alpinismo, da Vitale Bramani a Riccardo Cassin, da Bonatti a Mike Kosterlitz, da Carlo Mauri ai fratelli Rusconi. La vetta più alta, il Cengalo (3367 m), ha perso la candida calotta nevosa che rendeva l’ascesa più completa e bella. Oggi, a parte a inizio stagione, si cammina con fatica e poco divertimento su un mare di macigni. Forse meglio il Pizzo Badile (3308 m), con una Normale un po’ più difficile, ma di grande soddisfazione. Se potete, evitate di salirla quando vi sono impegnate molte cordate, sebbene la via sia stata attrezzata con anelli per la calata, e anche se Giulio Fiorelli diceva che chi conosce bene la Normale non ha bisogno di fare le doppie.

Le discese ardite, e le risalite

La tappa che ci porterà al rifugio Allievi-Bonacossa (2385 m) è la più bella e intensa di tutta l’avventura, sia per gli scenari che regala sia per il relativo impegno di alcuni passaggi che movimentano il cammino. Dirigendosi verso l’intaglio del Passo Camerozzo (2765 m), non scordate ogni tanto di voltarvi: avrete nuove prospettive sulle cime della vallata. Il passo si raggiunge con qualche “aiuto” metallico, e la discesa sul versante della Valle del Ferro costituisce il clou della giornata. Grazie a un sistema di cenge, e approfittando della sicurezza data dalle corde fisse, si scende la ripidissima parete che, con un salto di quasi 200 metri, piomba sui ghiaioni sottostanti. A questo passaggio emozionante segue la lunga traversata della valle al cui centro, poche decine di metri sotto il tracciato, sorge il bivacco dedicato a Mario Molteni e Giuseppe Valsecchi, sfortunati compagni di Cassin, Esposito e Ratti nella prima ascensione della parete nordest del Badile. Camminando fra blocchi grandi e piccoli, lambiamo a valle la catena di vette che compongono il sottogruppo dei Pizzi del Ferro: qui sono quasi a portata di mano, ma raggiungerli salendo dalla Val di Mello è già di per sé una piccola impresa escursionistica. La Val Qualido si traversa in un soffio dopo essere scollinati dall’omonimo passo (2647 m), e una volta raggiunto il valico dell’Averta (2540 m) si apre allo sguardo la fantastica successione di picchi granitici della Val di Zocca, valle dell’alpinismo per antonomasia: davanti ai nostri occhi spicca subito la complessa cattedrale della Cima di Zocca in un susseguirsi di creste e pilastri. Ad attenderci c’è il moderno rifugio Aldo Bonacossa, dedicato a uno dei più attivi descrittori di queste cime, nonché autore, nel 1936, della mitica guida Masino-Bregaglia-Disgrazia, esemplare opera nel suo genere e oggi pezzo da collezione per i bibliofili di montagna. Accanto alla nuova costruzione sorge la vecchia Capanna Allievi, testimone di decenni di grande alpinismo.

Il tetto della Capanna Allievi è ancora divelto dagli effetti di una valanga scesa anni fa, ma il Cai Milano sta pensando al suo ripristino. Personalmente, vederla restaurata sarebbe una grande gioia, e ancor di più se la struttura fosse adibita a ricovero invernale. Avendo a disposizione un giorno in più, da qui è possibile raggiungere la vetta della Cima di Castello (3378 m), la maggiore di tutto il Masino-Bregaglia. È una ascensione lunga ma facile, con qualche passo di II grado e lunghi tratti su neve, che in questi anni è quasi scomparsa per lasciar posto a lastroni e blocchi.

Cameraccio, culmine del sentiero

Ormai trasformati in bipedi Gigiat, dall’Allievi-Bonacossa non ci resta altro che “saltare” verso le ultime tre vallate. Valicato il facile Passo del Torrone (2518 m), scendiamo d’un centinaio di metri nella valle omonima, vero condensato di imponenti e turrite vette dai colori che vanno dal grigio al giallo ocra, verticali, strapiombanti, arditissime. La testata della valle è un incredibile castello incantato per gli scalatori. Il sentiero, dopo aver lambito il nuovo bivacco Manzi-Pirotta (2538 m), percorre quel che resta di un ghiacciaietto fin sotto il doppio salto della cresta sud del Pizzo Torrone Orientale e valica la costiera del Cameraccio nell’unico suo punto debole: il Passo del Cameraccio (2950 m), quota massima del Sentiero Roma. Sull’opposto versante si estende a perdita d’occhio la monotona testata dell’alta Val di Mello, ma sopra la corona di basse vette dello spartiacque con la vicina Valmalenco svetta, a movimentare lo scenario, la piramide elegante del Monte Disgrazia (3678 m). Lasciandoci alle spalle la bella pala giallastra della parete est del Torrone Orientale e le lisce pareti del Cameraccio, cammineremo a lungo su estesi ghiaioni e terreni morenici, fino al bivacco Kima (2654 m), eretto in memoria di Pierangelo “Kima” Marchetti, guida alpina di Val Masino, perito durante un’operazione di soccorso alpino nel 1994. Proseguiamo ancora sulle morene fino ai piedi della bassa costiera che separa la Val di Mello dalla Valle di Preda Rossa.

Ultimi passi per il Picco Glorioso

Il vecchio passaggio attraverso la Bocchetta Roma (2850 m) è stato modificato anni or sono, e oggi corde fisse metalliche aiutano a compiere gli ultimi metri fino allo spartiacque. Più in alto ci sarebbe un altro passaggio, il Passo Cecilia, usato nel 1862 da Leslie Stephen, Edward Shirley Kennedy, Thomas Cox e Melchior Anderegg per la prima ascensione al Monte Disgrazia che, l’anno successivo, nella conferenza tenuta ai soci dell’Alpine Club, Kennedy definì “picco glorioso”.

Non resta ora che una facile discesa fino al già visibile rifugio Cesare Ponti (2559 m), dove la gentile Eleonora Fiorelli provvederà a fornire ogni ristoro. E visto che abbiamo salito Ligoncio, Badile (o Cengalo) e Cima di Castello, non resta che concludere in bellezza con il Monte Disgrazia. I cambiamenti climatici hanno in parte spogliato la montagna dalle sue nevi, e la salita può risultare forse un po’ arida in tutti i sensi. Meglio sarebbe affrontarla ai primi di luglio, quando la neve impreziosisce gli scenari circostanti; e comunque si tratta sempre di una grande via classica. Tornati da Eleonora, ci attende solo un’oretta di cammino per giungere sul vasto Piano di Preda Rossa, percorso dalle anse sinuose del torrente. Il parcheggio dove convenientemente abbiamo lasciato un’auto il giorno in cui siamo partiti è a due passi.

Altri approfondimenti sul numero 122 di Meridiani Montagne “Sentieri e rifugi di Lombardia”.

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