Meridiani Montagne

Nella valle delle acque

Testo di Nicola Cozzio, tratto dal numero di Meridiani Montagne “Campanile Basso e Val Rendena”

Prima ancora di entrarvi, della Val Genova ci incuriosisce il nome. Cosa mai può avere a che fare il capoluogo ligure con una valle alpina incastonata fra ghiacci perenni? Una prima ipotesi fa derivare il nome proprio dalla città ligure, per l’antica presenza, all’imbocco della valle, di segherie genovesi attratte dalle belle piante resinose, perfette per costruire il fasciame e l’alberatura delle navi. L’ipotesi però è azzardata, in quanto questa zona era soggetta al controllo della Repubblica di Venezia e difficilmente segantini genovesi si sarebbero spinti fin qui a prelevare e commerciare legname.
Una seconda possibilità fa derivare il nome dal latino genus/genua (piega, ginocchio) che ben si addice al portamento a balze della valle, ma che significa anche porta, ingresso (dal dio Giano, gennaio), che starebbe a significare l’entrata in un “mondo differente”.

Altri studiosi propendono per un’origine semantica celtica/retica e precristiana, la stessa da cui deriverebbero tutte le declinazioni di Anguana, Aguana, Longana, Zubiana, Zenua, le ninfe protettrici delle sorgenti. E l’acqua, in ogni stagione, liquida o solida, in Val Genova certo non manca.
Ma poco importa che sia primavera, estate, autunno o inverno, che piova o che ci sia il sole: quando si decide di entrare in Val Genova, possiamo essere certi che questo luogo riuscirà in qualche modo a stupirci.

Il paradiso della tonalite

Siamo nel Trentino Occidentale, all’interno del Parco naturale Adamello Brenta, il cui territorio circonda la Val Rendena comprendendo sia il massiccio dolomitico del Brenta, sia quello dell’Adamello-Presanella.
La Val Genova è una valle laterale, una tipica valle glaciale che dall’abitato di Pinzolo si insinua per 17 chilometri nel Gruppo dell’Adamello-Presanella, dividendolo in due sottogruppi. Sulla sinistra orografica troviamo la Cima Presanella, la più alta del Trentino con i suoi 3558 metri, contornata da altre imponenti vette granitiche: Cima di Presena, Cima Busazza, Monte Cercen, Monte Gabbiolo, Ago di Nardis e Cima d’Amola, per citare solo le maggiori sopra ai tremila metri. Un vero paradiso di tonalite (particolare roccia granitica di cui è composto l’intero gruppo e il cui nome deriva dal Passo del Tonale).

Sulla destra orografica della valle, invece, si trova il grande plateau ghiacciato dell’Adamello, con altrettanti giganti granitici: Monte Mandrone, le tre cime della Lobbia, il Crozzon di Folgorida e quello di Lares, fino al maestoso Monte Caré Alto, che delimita il ghiacciaio a sud, e il Monte Adamello stesso (3539 m, ma la cima è tutta lombarda), che lo delimita a ovest. Non meraviglia quindi che questa valle, dominata su tre lati da ghiacciai e numerose vedrette, goda di una ricchezza d’acqua che non trova riscontri in altre valli alpine, al punto che nel 1800 era soprannominata la “Versailles delle Alpi”.
Addentrandoci lungo la valle, la nostra attenzione viene continuamente catturata dall’elemento liquido che ci sorprende in continuazione con cascate, salti, rapide e gorghi, e il cui suono, a volte sotto forma di dolce gorgoglio, altre con voce impetuosa e assordante, ci accompagna ininterrottamente.
Sul fondovalle scorre il Sarca di Val Genova, che molti chilometri più a sud sarà l’unico affluente del Lago di Garda.

Con Maestri sul ghiaccio verticale

Quello che in estate è un regno delle acque, in inverno si trasforma in un regno di ghiaccio. Se è vero che l’accesso per le cascate alte in inverno diventa lungo e faticoso, per contro la prima che si incontra lungo la valle è la magnifica cascata di Nardis, che si raggiunge in pochi minuti di comoda camminata. Con un’altezza di 130 metri (il solo salto terminale) e con due rami separati, offre agli scalatori numerose possibilità di salita di diverso grado.
Alla cascata di Nardis spetta anche il primato di prima cascata di ghiaccio salita sulle Alpi: l’impresa è da accreditare a Cesare Maestri, che nel 1958 la affrontò con attrezzi più simili ad asce da boscaiolo che a piccozze per una tecnica, la piolet traction, che ancora doveva essere inventata. Il Ragno delle Dolomiti ripeté la salita con Ezio Alimonta nel gennaio 1977, davanti alle telecamere in diretta televisiva Rai, e l’evento contribuì in modo significativo allo sviluppo del moderno ice climbing.

Streghe e diavoli nella pietra

L’accesso estivo alla Val Genova, da diversi anni, è fortemente regolamentato. Si possono prendere le navette pubbliche, e per chi non rinuncia all’auto privata, l’ingresso è a pagamento, per un numero limitato di posti con obbligo di parcheggio nei due spazi adibiti a metà e in fondo alla valle.
In inverno la strada è chiusa poco sopra l’abitato di Carisolo e la valle viene percorsa solo da ciaspolatori e scialpinisti.
Ma il modo migliore per assaporare tutta la magia della Val Genova è risalirla interamente in bicicletta o a piedi, partendo da Carisolo (808 m) fino al rifugio Bedole (1641 m), da dove (solo a piedi) si può proseguire verso la testata del Matarot o verso il rifugio Mandron – Città di Trento (2449 m), ai piedi del ghiacciaio.

Uno dei percorsi più facili e affascinanti è il Sentiero delle Cascate, molto ben segnalato, che attraverso passerelle e ponti di legno consente di avvicinarsi ai più suggestivi salti d’acqua. Il sentiero attraversa tratti di bosco che, per merito della costante umidità, ricordano primitive foreste pluviali, dove abbondano i muschi profumati, la felce e l’equiseto.
Salendo incontriamo, appena il terreno offre spazi adatti al pascolo, le caratteristiche “ca’ da mont”, alcune risalenti al XVI secolo e saggiamente restaurate. Sono costruite con sapienza antica utilizzando i materiali del luogo: la tonalite e le travi di larice, che qui vengono chiamate cercene, scandole di larice per i tetti.

Il sentiero prosegue tra fitti boschi di abete rosso e larice; a volte si cammina lungo selciati creati dai soldati austriaci prima della Grande Guerra, altre volte aggirando enormi massi di frana precipitati in tempi antichi dai fianchi della valle. Sassi con una personalità e un nome proprio: Zampa da gal, Belaja, Pontirol, Calzeta rossa… Fu l’etnologo Nepomuceno Bolognini, garibaldino, fondatore della Società alpinisti tridentini, a raccogliere la leggenda: si dice che durante il Concilio di Trento i padri conciliari decisero di relegare diavoli e streghe locali in Val Genova, dove Dio li trasformò in massi, a partire da Belaja, capo dei diavoli che sorge presso la cascata di Nardis, accanto al suo assistente Pontirol. Ogni masso ha la sua storia, come quella di Schena da mul, il diavolo che, incontrando un viandante, lo convince a saltargli in groppa per risparmiargli le fatiche del viaggio; salvo precipitarlo immediatamente nelle fiamme dell’inferno. Gli escursionisti sono avvisati!

Quel rifugio costruito da un eroe

Continuiamo il cammino fino a raggiungere la sorprendente Piana di Bedole, che si apre all’improvviso offrendo alla vista uno spettacolo verdeggiante contornato da rocce a strapiombo su tre lati. In estate sul verde prato pascolano mucche di razza Rendena e robusti cavalli Haflinger, che amano spesso riposare all’ombra di larici secolari.

Dalla piana, dove si trova l’ultimo parcheggio, il sentiero si impenna leggermente e in breve si arriva al rifugio Bedole, già ben visibile dalla piana. Il rifugio venne costruito nel 1932 da Adamello (nomen omen) Collini, guida alpina e medaglia d’oro al valor civile, per aver aiutato nella fuga tanti ebrei, partigiani e soldati alleati, quindi internato a Mauthausen, dove morì nel 1945. Da allora il rifugio viene gestito con passione dai discendenti della famiglia.
Nei pressi si trova un piccolo cimitero militare (un altro si trova a metà valle, in località Ragada) a testimonianza della Prima guerra mondiale. Proprio qui, sul fronte adamellino, si combatté, a quote superiori ai tremila metri, la Guerra Bianca, nella quale persero la vita circa seimila giovani, austriaci e italiani. Più in quota, fino al rifugio Mandron – Città di Trento, e proseguendo di lì sul ghiacciaio, le tracce del conflitto sono ancora evidenti; ma anche nel fondovalle troviamo resti ben visibili di osservatori, trincee di retrovia, baracche e ospedali da campo, visitabili deviando appena dalla traccia principale, per sentieri tematici.

Dal rifugio Bedole si può anche raggiungere il Ponte delle Cambiali, così chiamato perché, si dice, nelle sottostanti acque vorticose si gettavano i troppo indebitati, e proseguire fino al Bivacco dei Pionieri, una grotta che pare sia servita come punto di appoggio per la conquista dell’Adamello da parte di Julius von Payer, ventiduenne tenente austriaco, nel 1864, con le guide Giovanni Caturani, Girolamo Botteri e Antonio Bertoldi.

Incontro con il Re di Genova

Gli alpinisti e gli escursionisti più curiosi, dopo aver esplorato il corso principale della Val Genova, possono addentrarsi in una delle numerose vallette laterali, ognuna delle quali rappresenta un mondo a parte, dove è molto più probabile incontrare il camoscio piuttosto che altri umani.
Ogni valle offre possibilità di trekking impegnativi e solitari. Dalla Val Seniciaga, per esempio, si può raggiungere il Monte Caré Alto; dalla Germenega si traversa verso il Lago di San Giuliano (altro gioiello che merita una visita); dalla Val di Nardis si sale direttamente alla Cima Presanella; dalla Val Cercen e dalla Val Gabbiolo ci si addentra in un mondo fantastico di torri e pareti granitiche.

Nella perfetta solitudine, un incontro raro, ma non così improbabile, è quello con l’orso bruno, che qui continua a vivere nonostante l’antropizzazione e gli stermini di fine Ottocento. Il personaggio più notevole di quell’epoca fu Luigi Fantoma, il più strenuo cacciatore di orsi del Trentino (pare che ne abbia uccisi più di 20), il quale, dopo una vita avventurosa, si era ritirato a vivere qui in compagnia della moglie, la “Bella Giovanna”, e si era autoproclamato “Re di Genova”. In seguito a un progetto di reintroduzione curato dall’Ente Parco, la popolazione orsina è di nuovo cresciuta: oggi, il vero re di Genova, è compare orso.

Altri approfondimenti sul numero 121 di Meridiani Montagne “Campanile Basso e Val Rendena”.

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