Ambiente

Come funziona il letargo e chi ci va

Arriva l’inverno, le temperature calano, scende la neve, le risorse alimentari iniziano a scarseggiare. Qualcuno migra, qualcuno riesce in qualche modo a procurarsi abbastanza cibo per superare la stagione, e qualcuno… “Va a dormire”. Molti animali, diversi tra loro, optano per la strategia del letargo: cerchiamo di capire come funziona e conosciamo chi lo adotta per sopravvivere.

Si potrebbe pensare che il letargo non sia altro che un lungo sonno: l’animale si addormenta in autunno e si sveglia in primavera, quando il clima è più mite. In realtà c’è molto di più: esistono diversi stati di letargo, in ambienti caldi e freddi, con funzioni, durate e pericoli variabili per l’animale in questione. L’animale potrebbe morire per mancanza di grasso, per un risveglio prematuro o per intemperie particolarmente severe, oltre a essere, in quei periodi, vulnerabile ai predatori. Molti ibernatori iniziano a prepararsi per il letargo già in autunno, con una fase frenetica di accumulo di grasso o di scorte di cibo, nota come iperfagia. Il metabolismo di un animale in letargo rallenta e la sua temperatura precipita: negli scoiattoli di terra come marmotte, cani della prateria e citelli può scendere fino a -2°C. La respirazione rallenta e, nei pipistrelli, la frequenza cardiaca può diminuire da 500 a 20 battiti al minuto. Alcuni animali a sangue freddo, come le raganelle, producono antigelo naturali per sopravvivere al congelamento. Si tratta quindi di un meccanismo decisamente più complesso rispetto al normale riposo.

I mammiferi e gli uccelli sono endotermi – ovvero sono in grado di regolare la temperatura corporea grazie alla produzione di calore metabolico interno – e poiché il rapporto superficie/volume degli animali aumenta con la diminuzione delle dimensioni, molti piccoli endotermi devono produrre un’enorme quantità di calore per compensarne la perdita durante l’esposizione al freddo. Per fare questo avrebbero bisogno di assumere un’elevata quantità di cibo, ma alcune risorse come semi, frutta, erbe o insetti possono essere estremamente complicate da reperire quando le temperature sono molto basse e magari una spessa coltre di neve ricopre tutto. Ecco perché non tutti i mammiferi e gli uccelli sono permanentemente omeotermi – ovvero in grado di mantenere costante la propria temperatura corporea -: durante alcuni periodi della giornata o dell’anno entrano in uno stato di torpore, caratterizzato da una riduzione controllata della temperatura corporea, del dispendio energetico e di altre funzioni fisiologiche.

Il torpore permette quindi di ridurre il dispendio energetico, proprio perché in un range di temperature piuttosto ampio consente di non dover produrre calore per la termoregolazione e perché la diminuzione della temperatura corporea comporta in molte specie un’inibizione del metabolismo, abbassando quindi ulteriormente la spesa di energia. Un altro cambiamento che avviene a livello fisiologico è una diminuzione della frequenza cardiaca (nei pipistrelli si va da 500-900 battiti per minuto a 20-40, nelle marmotte da circa 300 fino a un minimo di 3 al minuto) – che però comporta un calo della pressione sanguigna solo del 20-40%, perché la viscosità del sangue aumenta al diminuire della temperatura. La respirazione in molte specie (è il caso di pipistrelli, ricci, marmotte) diventa discontinua, con lunghi periodi di apnea – anche di un’ora – alternati a serie di respiri in sequenza – circa 50 nei ricci. Si tratta di meccanismi fisiologici complessi e rischiosi, che portano il corpo degli animali a uno stato di stress molto pesante, dal quale non tutti si riprendono: non si tratta decisamente di un “dolce sonno”!

Rettili e anfibi sono invece ectotermi – ovvero non sono in grado di controllare in maniera attiva la propria temperatura corporea – e per loro l’inverno rappresenta una vera e propria sfida alla sopravvivenza. Dal momento che la loro temperatura corporea è generalmente molto simile a quella dell’ambiente circostante, il rischio di morte per congelamento diventa reale quando le temperature scendono sotto lo zero. In più, il cibo è scarso e alcuni animali hanno una limitata mobilità, dal momento che il freddo può rallentare i movimenti muscolari o addirittura indurre un coma da freddo. Tartarughe e lucertole, serpenti e rane, rospi e salamandre e tanti altri animali attraversano fasi di torpore prolungato dette anche brumazione, che possono durare fino a dieci mesi all’anno. Cercano un luogo riparato, come una buca scavata nel terreno o sul fondo di un lago, e lì attendono che le condizioni ambientali migliorino, riducendo le funzioni vitali.

Possono però riattivarsi rapidamente, anche in pieno inverno, nelle giornate più calde. Fasi di dormienza prolungata sono molto comuni anche tra pesci, insetti e altri invertebrati. Esiste una specie di tartaruga che può rimanere dormiente per due anni e una di rana che può arrivare a cinque! Sempre parlando di rane, abbiamo un altro “record” curioso: Lithobates sylvaticus, che vivono nelle fredde foreste boreali del Nord America, riescono a sopravvivere all’assideramento. Non solo sono in grado di abbassare il proprio “punto di congelamento” grazie agli elevati livelli di glucosio nel sangue, ma arrivano a congelare il 65-70% del proprio corpo, organi vitali e sangue compresi, per poi sgelarsi con l’arrivo di temperature più miti, anche sei mesi dopo (crioconservazione).

Tra i mammiferi vanno in letargo, in ibernazione o trascorrono lunghi periodi in uno stato di torpore e metabolismo rallentato ghiri – proverbiali esperti del sonno, possono passare in letargo dai sei agli undici mesi -, scoiattoli, marmotte, moscardini, topi e altri roditori, toporagni, ricci, procioni, puzzole, tassi – alle nostre latitudini rallentano solo la propria attività, mentre nelle aree più fredde cadono in un vero e proprio letargo -, orsi e pipistrelli. Tra gli uccelli, il succiacapre di Nuttall è l’unica specie conosciuta a mettere in atto una vera e propria ibernazione, rifugiandosi tra le rocce. Anche se i cambiamenti fisiologici sono tutt’altro che indifferenti, la maggior parte degli animali non resta dormiente per più di 30 giorni al massimo: i periodi di torpore sono regolarmente interrotti da altri di “eutermia”, ovvero di temperatura corporea ottimale, in cui l’animale si riscalda, si sveglia e può muoversi per diverse ore, o anche di più, interrompendo il letargo. In queste occasioni spesso il “bell’addormentato” approfitta per espellere i prodotti di scarto e fare uno spuntino.

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