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Come rendere inesauribile il terreno d’avventura?

Buttiamo via relazioni, schizzi e descrizioni, per realizzare un’opera sconosciuta con appigli conosciuti!

“[…] l’importante non è aprire una via, ma arrampicare come se lo si stesse facendo. Mah?! Le tracce di passaggio esistono, e tu non puoi far finta che non ci siano. E poi, che cos’è una via? Soltanto qualche chiodo e qualche grano di roccia rubati a una massa incommensurabile di pietra! Una via si traccia molto più profondamente nello spirito, nella memoria di chi la percorre. Il mio metodo sarà assai semplice: chiudo a chiave schizzi, disegni e descrizioni dell’Envers des Aiguilles, e la parete sarà nuovamente l’isola misteriosa dei miei desideri!
Che importa l’usura degli appigli? Dici che si sono appesi su tutti o quasi fino a lisciarli, ma non sono forse già state ascoltate tutte le note, e lette tutte le parole? Eppure i musicisti continuano a comporre e gli scrittori a scrivere. Farò un’opera sconosciuta con appigli conosciuti, ecco
!”

Solo dalla penna alata di Bernard Amy potevano uscire queste parole, in un dialogo con l’amico Pierre.
Potrebbero sembrare uno scherzo ma sono di grande attualità. 

Gli spazi d’avventura si restringono ogni giorno, vi sono pareti solcate da numerosissime linee di salita, per non parlare delle strutture di fondovalle dove capita che ogni metro di roccia è attraversato da una via di stampo sportivo.

Siamo in tanti, forse troppi. La curva di allenamento e apprendimento in montagna è sempre più veloce. 

Da sempre gli alpinisti “marchiano” le montagne con nuove salite e nuovi trofei, ognuno ne ha il diritto, ma siamo certi d’esser gli unici possessori delle pareti?

Travolti dall’entusiasmo, con noncuranza, per cercare pareti sempre più rare e lontane, entriamo in casa d’altri senza chiedere permesso, solchiamo deserti, la banchisa, spazi infestati dagli orsi, foreste pluviali e distese polari.

Sulle Alpi rovistiamo tra le sezioni di roccia non ancora esplorate, spazziamo rovi e piante rupicole per poterci mettere mani e chiodi.

Per rigenerare gli spazi d’avventura basterebbe buttare via relazioni, schizzi e descrizioni.

Spegnere le varie App che permettono di trovare rappresentazioni sempre più dettagliate di boulder, falesie, vie lunghe e cascate in giro per il mondo…

Mirare alla parete ignari del suo contenuto verticale, scalarla come se mai nessuno prima vi avesse messo sopra le mani.

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Un commento

  1. Bellissimo post! È bellissima anche l’analisi. la “parete” può benissimo essere anche una metafora per l’avventura in tantissimi altri contesti; o persino per le semplici giornate. Condivido molto questo pensiero anche se non faccio arrampicata.

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