“Ancora Natura per il Col di Lana”, un progetto per dare nuova vita alle foreste colpite dal bostrico
Prima Vaia, poi il coleottero killer degli abeti rossi: sulle Dolomiti venete avviato un piano per far rinascere quei magnifici boschi così duramente colpiti. L’importanza delle “culle”
Le foreste del nord sono state devastate in questi ultimi anni da una piaga che mai si era presentata in queste proporzioni. Interi versanti di bosco ingialliti e ingrigiti, plaghe irriconoscibili di piante morte, una triste sensazione per chi dai boschi si aspetta altre emozioni. È l’infestazione del bostrico, determinata, almeno in parte, da quella ormai celebre calamità che fu la tempesta Vaia nell’ottobre 2018.
Il bostrico (Ips typographus), noto anche come bostrico tipografo per i “disegni” che crea nel legno sotto la corteccia, è un piccolo coleottero di forma cilindrica e di colore bruno, lungo circa 4-5 mm che attacca prevalentemente l’abete rosso, in cui si sviluppa sotto la corteccia scavando intricate gallerie, che interrompono il flusso della linfa portando inevitabilmente alla morte degli alberi in breve tempo. Non è una novità, visto che è endemico nelle foreste di abete rosso, ma è diventato epidemico in presenza di grandi quantità di piante in stato di sofferenza al punto che attacca anche gli abeti sani, decretandone la fine. Si calcola che Vaia abbia abbattuto in tutto il Nord Italia circa 42.500 ettari di foreste, creando danni a lungo termine. La grande quantità di piante distrutte dalla tempesta e l’aumento delle temperature causato dal cambiamento climatico hanno poi alimentato una severa infestazione di bostrico. In tempi climatici normali questo non sarebbe accaduto e l’insetto avrebbe avuto un solo ciclo riproduttivo all’anno, ma a causa delle recenti temperature primaverili e autunnali molto elevate riesce a riprodursi fino alla terza generazione.
Le “culle” a protezione delle nuove piante
I boschi del Col di Lana nelle Dolomiti Bellunesi sono tra quelli più devastati dalla tempesta Vaia e dal bostrico, ma ora un innovativo progetto scientifico si prefigge di farli rinascere. Va sotto il nome di “Ancora Natura per il Col di Lana”, ed è stato promosso da PEFC Italia (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes) ente promotore della gestione sostenibile del patrimonio forestale, da Rete Clima, ente tecnico che da oltre 10 anni realizza progetti ESG (Environmental Social Governancee) e da Coldiretti Belluno. L’attività è finanziata anche con i fondi provenienti dall’ 8×1000 dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai.
Di che cosa si tratta? La messa in sicurezza e l’asportazione del legname ancora a terra è il primo step per contrastare la diffusione del bostrico, a cui segue la nuova forestazione che restituisce alla comunità locale il suo patrimonio naturale.
Alla rimozione in sicurezza del materiale legnoso, segue la vera e propria riforestazione, che prevede l’utilizzo di oltre 5.000 piante tra pino cembro, larice, abete rosso e faggio. E qui è la novità come spiega Orazio Andrich, dottore forestale che ha progettato e diretto i lavori di riforestazione: «Attorno ai nuclei di rimboschimento sono state realizzate delle protezioni con il materiale legnoso residuo dal recupero delle piante schiantate da Vaia. Per queste protezioni si era individuato nel progetto il nome di “capisaldi”, con un richiamo storico alle vicende di guerra. Poi la loro realizzazione, adattata alle condizioni del posto e alla disposizione delle piantine da proteggere e quindi alla forma del cerchio o di ovale, ha richiamato l’immagine delle “culle”, nota a tutti come “difesa” permeata d’attenzione e cura». Le “culle”, consentono di proteggere le piante dagli animali senza ricorrere a recinzioni costose e soprattutto impattanti.
Il progetto “Ancora Natura per il Col di Lana” risponde quindi alla necessità di ricostituire la morfologia delle foreste e di ripristinarne il valore ambientale, economico, sociale e turistico apportando inoltre nuove risorse alle comunità locali, mettendo a punto un modello replicabile anche in altri contesti. Le opere di riforestazione sono inoltre pensate per ridurre anche il rischio idrogeologico nell’area in supporto ai paravalanghe già esistenti o in corso di ripristino.
«Per il numero di alberi piantati, le specie selezionate e le tecniche innovative utilizzate – spiega Paolo Viganò, Presidente e fondatore di Rete Clima – il progetto si pone come una best practice per affrontare sfide importanti con soluzioni concrete e integrate con l’ecosistema circostante, per proteggere la biodiversità, gestire responsabilmente le risorse naturali e sviluppare soluzioni per l’adattamento al cambiamento climatico».
Coinvolte anche le scuole
Il progetto vede anche la partecipazione di istituzioni e scuole della zona, per una rigenerazione del patrimonio forestale che sia partecipata e coinvolgente per tutte le comunità locali. I boschi oggetto di riforestazione hanno infatti anche una nuova missione: quella di raccontare il territorio attraverso un vero e proprio storytelling on site, con una cartellonistica – realizzata in collaborazione con l’Istituto Agrario “Antonio Della Lucia” di Feltre – che accompagni i visitatori, informandoli e avvicinandoli alle buone pratiche ambientali e alla storia del luogo. In particolare, gli studenti e le studentesse stanno partecipando alla realizzazione di sei bacheche informative che verranno installate lungo i 4 km del sentiero riqualificato. Il tracciato si snoda sulle propaggini meridionali del massiccio del Col di Lana, con punto di partenza e di arrivo nell’area del Pian della Lasta, presso l’ex-Rifugio – Museo di guerra nei pressi di Livinallongo, in modo tale da costituire un percorso completo, imperniato attorno alle zone in cui sono stati eseguiti i rimboschimenti. Verranno inoltre collocate nove panchine in legno, in siti significativi per la vicinanza a punti di interesse, come rimboschimenti realizzati, pannelli, punti panoramici.
«La grande forza di questo progetto – sottolinea Chiara Bortolas, Presidente Provinciale di Coldiretti Belluno- è stata proprio la capacità di fare rete e di coinvolgere in modo sinergico i vari soggetti del territorio, dai proprietari forestali (comune di Livinallongo) alle aziende agricole in grado di diventare dei veri e propri giardinieri dell’ambiente, dalla scuola alle aziende vivaistiche che hanno fornito le piante da mettere a dimora. La capacità di “ascoltare” quello che il bosco ci dice, il saper cogliere quello che la natura avrebbe fatto al posto nostro con una tempistica più lunga. Noi non abbiamo fatto altro che accelerare il processo naturale».