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L’autosoccorso in caso di valanga

Quando si va in montagna è importante saper minimizzare i rischi, ma è necessario anche avere sempre con sé – ed essere in grado di utilizzare – tutta l’attrezzatura finalizzata al soccorso. Nel malaugurato caso che i propri compagni di escursione rimangano coinvolti in una valanga, o se si dovesse assistere al coinvolgimento di altre persone, è fondamentale essere preparati sulle tecniche di autosoccorso e ricerca: solo la conoscenza può aiutare a restare lucidi in un simile frangente e a essere d’aiuto agli altri. In occasione del Press Meeting 2022 di Ortovox del 13-14 dicembre al Passo del Tonale abbiamo approfondito l’argomento, focalizzandoci poi sui possibili errori insieme a Piergiorgio Vidi, guida alpina e istruttore.

Come procedere nella ricerca

Chiaramente l’approccio cambia se siamo da soli o se ci sono più individui: in presenza di un gruppo sarà la persona più esperta a coordinare le operazioni e a telefonare al 112, in caso contrario, dal momento che il tempismo è fondamentale, dovremo cercare di essere ancora più efficienti. Entro i primi 15 minuti dal seppellimento le probabilità di trovare persone in vita sono del 93% – su 100 travolti 7 non sopravvivono a causa delle lesioni mortali subite -, mentre tra i 15 e i 45 minuti si osserva un forte calo delle probabilità di sopravvivenza, che passano dal 93% al 25% circa.

Chi si occupa della ricerca dovrà cambiare la modalità del proprio A.R.T.VA da trasmissione a ricezione (eventuali altre persone dovranno fare lo stesso, oppure metterlo in stand-by o spegnerlo se sono di supporto con altre attività) e muoversi a serpentina o zig-zag – se da soli – o in percorsi paralleli – se in gruppo – con corridoi di circa 20 metri di larghezza. Appena si aggancia il segnale si inizia la ricerca sommaria (seconda fase), si rallenta e si seguono le indicazioni dello strumento, raggiunti i 10 metri di distanza si accorcia ulteriormente il passo, fino a mettersi carponi negli ultimi 5 metri. Per la ricerca di precisione (terza fase) si fa scorrere l’A.R.T.VA più vicino possibile alla superficie della neve, muovendosi a una velocità di 25, massimo 30 centimetri al secondo. Ci si muove lungo una direzione fino a individuare la minima distanza indicata, a quel punto ci si sposta perpendicolarmente, facendo una “croce”, e individuando il punto della superficie più vicino al sepolto. Ora si passa alla quarta fase, ovvero all’utilizzo della sonda, e in seguito della pala.

Come scavare e soccorrere

Lo scavo è l’operazione che occupa più tempo: bisogna però cercare di raggiungere il prima possibile le vie aeree della persona sepolta e liberarle, senza schiacciarla. Si inizia a scavare perciò lateralmente, in discesa, a una distanza di circa 1,5 volte la profondità di seppellimento, creando una rampa verso chi è stato travolto. Questo permetterà di effettuare meglio le operazioni di primo soccorso muovendolo il meno possibile. Quando entriamo in contatto con il corpo, è fondamentale capire in quale direzione si trova la testa, per liberarla per prima, scavando con più cautela con la pala o, verso la fine, con le mani.

Se la vittima è cosciente può fornirci informazioni sul proprio stato di salute e sull’eventuale presenza di altri sepolti – qualora non avessimo assistito direttamente alla valanga. Nel caso in cui invece non lo sia dobbiamo controllare le vie respiratorie: se nella bocca è entrata della neve sarà necessario rimuoverla. A quel punto si può verificare la respirazione: se in 10 secondi avvertiamo almeno due respiri regolari la persona travolta può essere messa in posizione di sicurezza e attendere i soccorsi, altrimenti bisogna iniziare la rianimazione cardiopolmonare, che va proseguita fino al loro arrivo o fino a che non siamo esausti.

Quali sono i possibili errori e gli aspetti a cui prestare più attenzione

L’errore principale è quello di provare ad arrangiarsi, cioè mettere in atto tutte le procedure di autosoccorso, e solo dopo allertare il soccorso organizzato. Se si è assistito a un evento valanghivo e si aveva sott’occhio la persona travolta è importante cercare di avere un’idea del punto fino a cui essa affiorava in superficie, per poter escludere l’area a monte e velocizzare la ricerca. Quando si mette in atto la procedura dell’autosoccorso può succedere che l’emotività si faccia un po’ sentire, e magari ci si affidi troppo all’A.R.T.VA senza guardarsi attorno. È fondamentale però assicurarsi che non siano presenti pericoli residui – potrebbero esserci anche altri distacchi -, una volta appurato quello è importante partire con la ricerca con schemi ben precisi.

Nella prima fase di ricerca, qualunque sia il nostro A.R.T.VA, anche se le aziende parlano di portate notevoli, dobbiamo considerare di avere dei corridoi di circa 20 metri. Tutto ciò che è oltre non è attendibile, anche perché non sappiamo che tipologia di A.R.T.VA c’è sotto alla valanga o in che condizioni è di batteria, quale sia la coassialità tra le antenne, eccetera. Si procede a una velocità non eccessiva, poco più di un metro al secondo, con una ricerca sì con lo strumento, ma soprattutto concentrandoci su vista e udito, in particolare quando, nella prima fase, l’A.R.T.VA non ha ancora rilevato un segnale. Se in quello stadio dovessimo rinvenire un reperto, verifichiamolo: se si tratta di un bastoncino, controlliamo che non sia ancora fissato al polso del proprietario.

Nel momento in cui agganciamo il segnale, cambia la procedura: si rallenta, indicativamente a meno di un metro al secondo, si seguono le indicazioni sia metriche che visive, si cerca di tenere il display più fermo possibile – se lo ruotiamo più volte continua a cambiare la ricezione tra un’antenna e l’altra e in alcuni casi potrebbe “impallarsi” -, pur proseguendo a fare anche una ricerca vista-udito. Scannerizziamo visivamente il lato sinistro, guardiamo il display e facciamo ciò che ci dice, quindi guardiamo verso destra. In questa fase se c’è un reperto ed è nelle vicinanze lo consideriamo come prima, altrimenti diamo la priorità al segnale A.R.T.VA.

Quando arriviamo a una distanza di 4-5 metri inizia la terza fase di ricerca: rallentiamo ulteriormente e teniamo l’A.R.T.VA fermo, non dobbiamo cambiare il suo orientamento, ci avviciniamo al terreno procedendo carponi per eliminare il più possibile la distanza dalla neve e per distribuire in modo più graduale il nostro peso. Bisogna raggiungere il massimo segnale acustico possibile e il minimo valore numerico di distanza per quella ricerca.

A questo punto bisogna avere una buona capacità tecnica nel montare e nell’utilizzare la sonda, segnare il punto di massima ricezione con l’A.R.T.VA – non lasciandolo lì, ma mettendo per esempio un berretto o facendo un segno visibile sulla neve – ed effettuare i sondaggi con lo strumento perpendicolare al terreno, non verticale. Questo per due motivi: il segnale esce dove la distanza è minore e più il terreno è ripido più esce perpendicolarmente al terreno, in più se sto sopra la verticale del travolto rischio di rompere l’eventuale sacca d’aria presente e che gli ha permesso di respirare fino a quel momento. Le sondate devono seguire uno schema a maglie di circa 25 centimetri: dopo aver controllato il punto di massima ricezione si va sopra, sotto, a sinistra, a destra, e poi si sondano gli angoli. Anche saper montare e usare correttamente la pala è importantissimo. In fase d’acquisto molti fanno un buon investimento sull’A.R.T.VA e poi risparmiano su sonda e pala, ma si tratta di un errore, soprattutto per quanto riguarda le pale in plastica o che non presentano il manico allungabile.

È possibile approfondire ulteriormente il tema sulla piattaforma Safety Academy Lab Snow (https://www.ortovox.com/it/safety-academy-lab-snow/). Bisogna sempre ricordare, infine, che ogni escursione è un’uscita a sé: se fino ad ora non ci è mai successo nulla, questo non deve condurci a un eccesso di confidenza. André Roch, grande alpinista ed esperto di valanghe, era solito affermare: “Sciatore esperto, stai attento, la valanga non sa che tu sei esperto”.

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