Ambiente

La grande sete della montagna

Da est a ovest, da nord a sud, la montagna chiede acqua. La fontana di Estoul, frazione del comune di Brusson, a pochi passi dalla casa di Paolo Cognetti non ha più acqua. “È asciutta da giugno. Mai successo a memoria d’uomo”. Le montagne delle Alpi mostrano più roccia di quanta dovrebbero e le pareti franano sotto l’effetto delle alte temperature. Le praterie appenniniche sono aride e le foreste bruciano.

Pensate un giorno di aprire il rubinetto di casa e non sentire il classico suono dell’acqua che scorre. Panico? Paura? Finché è la fontana “di Cognetti” a chiudere non ci si fa quasi caso, quando capita di andare al bar sentendosi dire che la macchinetta del caffè è fuori uso per mancanza d’acqua il discorso cambia. È successo nel bellunese, a metà luglio, quando bar e ristoranti non erano in grado di offrire un servizio che oggi riteniamo praticamente scontato. Ma succede anche che in Svizzera, sul Lac des Brenets, al confine tra il canton Neuchâtel e la Francia, si sia deciso di sospendere la navigazione con i battelli. Livello dell’acqua troppo basso. “In certi punti abbiamo al massimo un metro e venti d’acqua. Avevamo vissuto lo stesso fenomeno nel 2018 e nel 2020, ma a settembre spiega Yvan Durig, direttore della compagnia di navigazione. E succede ancora che i rifugi di montagna si trovino costretti a chiudere nel pieno della stagione per… mancanza d’acqua. Succede sul Monte Bianco, al celebre Gonella. La struttura che serve e supporta gli appassionati che vogliono raggiungere il tetto delle Alpi lungo la via normale italiana. Dopo appena 40 giorni di attività il rifugio, posto a 3071 metri di quota, ha visto esaurirsi il nevaio che lo rifornisce. “Abbiamo impiegato l’acqua disponibile con la massima attenzione, usandola soltanto in cucina e aprendo un bagno su quattro” spiegano i gestori, scesi a valle lo scorso 18 luglio. Pochi giorni dopo le guide alpine avrebbero sospeso le salite ai 4810 metri del Monte Bianco. E lo stesso sarebbe successo ancora sul Cervino. Sia chiaro, nessuno ha chiuso le montagne. Ma se le guide alpine, che di alpinismo e accompagnamenti ci vivono, hanno scelto di rinunciare alla salita di cime iconiche come queste vuol dire che le condizioni sono davvero precarie.

Alpeggi a secco

Questa estate 2022 è da record in tutta Italia, è la stagione più calda di sempre con temperature più alte di 0,76 gradi rispetto alla media storica. Le precipitazioni invece, ci dice Coldiretti, sono inferiori del 45% rispetto alla norma. Le regioni messe peggio sono quelle settentrionali, dove il calo delle precipitazioni è stato addirittura del 70%. In cosa si traduce questo dato? Crisi idrica. Riserve azzerate prima ancora di metà stagione nei territori di Piemonte, Lombardia e Veneto. I fiumi sono quasi tutti sotto soglia e i temporali delle ultime settimane non sono stati sufficienti per risolvere la situazione.

Gli alpeggi in quota vivono ogni giorno una condizione di criticità. Un monitoraggio della Coldiretti evidenzia come manchi l’acqua per le vasche di abbeveraggio, oltre al ben più grave problema dei prati ormai completamente secchi. In pratica le mandrie non hanno cibo, ragione che ha spinto molti malgari ad anticipare il taglio del fieno. Alcuni hanno invece deciso di tornare a valle, con due mesi di anticipo. “Troppo proibitive le condizioni perché sia sostenibile tenere aperti i pascoli in quota” spiega Coldiretti, che aggiunge: “Col rientro forzato a valle gli allevatori rischiano di trovarsi senza fieno sufficiente da destinare agli animali nei prossimi mesi, avendo come unica alternativa quella di acquistare foraggi e mangimi sul mercato a prezzi molto elevati.

Scarsità che dalla montagna si traduce in ripercussioni su valli e pianure. Molti piccoli centri in quota si sono trovati, nelle scorse settimane, a dover prendere la dura decisione di dover razionare l’acqua. A esempio il comune di Valdaone, in provincia di Trento, ha informato i propri cittadini che “A causa della persistente siccità, si invitano i cittadini a limitare il consumo dell’acqua, in particolare per orti e giardini. Nell’abitato di Praso si è proceduto alla chiusura di alcune fontane. Anche le nostre malghe sono in grave sofferenza. L’acqua è un bene prezioso e di utilità comune, che diamo spesso per scontato, occorre invece evitare di sprecarla”.

Quando l’acqua arriva in elicottero

Sulla superficie dei ghiacciai corrono veri e propri torrenti, trasportano verso valle l’acqua di fusione. Eppure, i rifugi chiudono per mancanza di acqua. Come abbiamo visto il Gonella si è trovato senza acqua per l’esaurirsi del nevaio di captazione. Fenomeni simili interessano il Trentino, dove già a metà luglio alcuni rifugi alpini hanno preso la decisione di razionare l’acqua a disposizione dei frequentatori. Il rifugio Roda de Vaèl ha ridotto i minuti per le docce da 4 a 3 concedendone l’utilizzo solo a chi soggiorna più di due giorni. “È come se fossimo avanti di un mese” ha dichiarato la gestrice, e presidentessa dei rifugisti trentini, Roberta Silva, ragionando su possibili soluzioni pratiche al problema, come gli elicotteri. Solo chi ha nelle vicinanze una sorgente è avvantaggiato, nonostante la necessità di dover continuamente allungare le tubazioni per captare l’acqua. Alcune strutture sono invece state equipaggiate con cisterne da 20mila litri. Infine sono arrivati gli elicotteri. Il rifugio Viel del Pan, sopra al lago di Fedaia, lo scorso 2 agosto è stato rifornito dai Vigili del Fuoco che hanno trasporto prima via terra e poi in elicottero 6mila litri di acqua.

Un caso o un trend?

Una singola stagione non fa statistica. “Arriviamo da una stagione invernale con poche precipitazioni e la stagione estiva è praticamente iniziata a maggio” ci spiega Serena Giacomin, presidente dell’Italian Climate Network. “Le temperature rimangono sopra la media stagionale, ma sappiamo anche che da un punto di vista climatico per stabilire una tendenza servono 30 anni di dati. Quello che si può dire, spiega la Giacomin, è che l’attuale situazione di caldo e siccità estrema rientra nel quadro generale di quanto prospettato per il prossimo futuro.

Se nel 2018 perfino la United Nations Climate Change Conference (Cop) non era disposta ad accettare l’analisi condotta dalla ricercatrice Sonia Isabelle Seneviratne del Politecnico di Zurigo, in cui veniva spiegato che l’innalzamento di 1,5 gradi della temperatura media era il massimo che potevamo permetterci, oggi la situazione è radicalmente cambiata. Come spesso accade bisogna sbattere il naso per comprendere i problemi. Il prossimo futuro potrebbe riservarci estati lunghissime, eventi climatici estremi e improvvisi. Cose che già accadono, ma che tendenzialmente potrebbero diventare sempre più frequenti. “Caldo e siccità sono fenomeni destinati ad aumentare di frequenza” rimarca Serena Giacomin. “Fenomeni che avranno un impatto sulle popolazioni, con conseguenze importanti dal punto di vista sanitario. Dobbiamo abituarci a vedere il cambiamento climatico come un fenomeno che impatta su tutte le sfere della nostra vita. E non parliamo di qualcosa che interessa il futuro, è già un nostro problema con conseguenze sanitarie, sociali ed economiche capaci anche di generare tensioni sociali. Spesso mi chiedono come sia possibile, nel quadro attuale con le problematiche relative alla pandemia e alla guerra in Ucraina, riuscire a inserire la questione del cambiamento climatico nell’agenza politica. Dobbiamo farlo! Dobbiamo perché non è un problema slegato dagli altri fenomeni e, soprattutto, quello che stiamo vivendo oggi non è a costo zero. Basti pensare a come la mancanza di acqua impatta sulle produzioni agricole. “Conseguenze che a loro volta portano ricadute economiche che è importante evidenziare, altrimenti rimane teoria”.

Ed è anche importante iniziare a immaginare come saranno il mondo, l’Europa, l’Italia e le nostre montagne tra dieci, venti o trent’anni. “Alcune aree finiranno per assomigliarsi” afferma Paola Mercogliano, climatologa del Cmcc (Euro-Mediterranean Centre for Climate Change). La pianura Padana avrà le stesse emergenze climatiche della Campania, con ondate di caldo estive che colpiranno vegetazione, animali e persone”. Le previsioni di Anonio Nicoletti, responsabile nazionale aree protette e biodiversità di Legambiente, ritiene che si assisterà a un aumento costante di cinghiali, cornacchie e altre specie invasive. Aggiunge inoltre che gli allevatori saranno portati alla ricerca di soluzioni per tenere gli animali riparati dal caldo dovendo al contempo gestire una riduzione della produzione di carne e latte. Senza parlare della possibilità che al nord diventi praticamente impossibile coltivare le mele, frutto presente in molte regioni alpine. In generale si assisterà a un progressivo spostamento delle coltivazioni, verso quote sempre più alte. “Tutti i ghiacciai sotto i 3500 metri sono ormai destinati a sparire entro il 2050. Un fenomeno a cui ormai non possiamo più porre rimedio aggiunge il glaciologo del progetto Ice Memory Jacopo Gabrieli. “Quello che possiamo fare oggi è lavorare per far si che i nostri figli e nipoti possano ancora vedere i ghiacciai alle quote alpine più alte”.

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