Cronaca

Rifugi alpini senz’acqua, si teme per l’estate

Dopo oltre cento giorni senza precipitazioni la primavera ha concesso una prima boccata d’aria (meglio d’acqua) alle zone montane dell’arco alpino occidentale, dove la crisi idrica si sta presentando in modo severo e marcato. Da settimane in diversi punti il Po si presenta più asciutto che ad agosto. Lo stesso vale per le montagne, che anziché accogliere sci alpinisti e ciaspolatori hanno lasciato spazio a trekker e arrampicatori, spronati a vivere l’aria aperta dalle calde temperature che hanno caratterizzato quasi tutta la stagione. Meno felici sono i rifugi, quelli non hanno mai chiuso, quelli che hanno da poco riaperto e quelli che si stanno preparando all’apertura estiva. A preoccupare tutti è la mancanza di acqua, soprattutto come fonte energetica.

Già lo scorso settembre il rifugio Quintino Sella al Monviso, tra le più note strutture ai piedi del Re di Pietra, si è trovato costretto a chiudere in anticipo a causa di un insufficiente livello idrico nel vicino Lago Grande, con la conseguente impossibilità di azionare la centralina idroelettrica. “Abbiamo davanti ancora due mesi, tutto dipenderà dalla meteo” ci spiega Alessandro Tranchero del rifugio Quintino Sella. “Se ci dovessero essere abbondanti precipitazioni questo tempo ci permetterebbe di tornare a una situazione di normalità, in caso contrario la situazione sarà critica. L’unico modo per non avere sorprese è organizzarsi, cercando possibili soluzioni. Abbiamo cambiato il gruppo elettrogeno, prendendone uno che ci permetta una migliore prestazione e minori consumi. Mi sono poi fatto avanti con la proprietà suggerendo idee su come ottimizzare le risorse, ma per trovare una soluzione efficace bisogna mettere giù un progetto e questo richiede tempo. Non sono cose che si improvvisano in pochi mesi”.

Resistere o chiudere?

Maggiori difficoltà le hanno avute i rifugi che sono rimasti aperti anche durante la stagione inverna, come il rifugio Jervis in alta Val Pellice. “A inizio marzo siamo stati costretti a chiudere per un paio di settimane” ci spiegano i gestori. “Siamo riusciti a garantire solo il servizio bar con la carenza di energia avuta in quel periodo”. Non c’era più acqua per far funzionare a pieno regime la centralina. “Siamo riusciti a tenere solo i frigoriferi, anche la macchina del caffè era spenta”. Ora si cercano soluzioni perché “temiamo che la cosa possa peggiorare con gli anni. Abbiamo parlato con il CAI per valutare l’installazione dei pannelli solari. Soluzione sicuramente più ecologica all’utilizzo dei generatori a gasolio. “Ce l’abbiamo ma cerchiamo di usarlo il meno possibile”.

“La nostra centralina ha 6 ugelli che buttano acqua nella girante, producendo energia. Di questi 6 al momento ne possiamo usare solo 2, già aprendone uno in più non avremmo sufficiente pressione spiegano dal rifugio Selleries, in Val Chisone. “Al momento siamo veramente malmessi, nonostante l’inverno mite ci abbia permesso di lavorare bene con escursionisti e turisti”. Ora un po’ di neve è arrivata, circa mezzo metro, “ma questo non risolve il problema. Sono anni che nevica sempre meno. Negli ultimi due anni anche ci sono stati problemi”. Al momento anche al Selleries non possono più utilizzare la macchinetta del caffè, “consuma troppa energia. Al posto abbiamo ripiegato su una macchinetta casalinga a capsule, ma anche quella è un problema. A fine settimana ti ritrovi con dei sacconi pieni di capsule, per nulla ecologiche e da smaltire”. Come successo al Jervis anche il Selleries sta meditando di chiudere per una decina di giorni. Aspettiamo una temperatura più calda, che faccia fondere la neve arrivata in questi giorni e anche quella rimasta in alto dall’inverno. Così dovremmo avere energia per qualche tempo, anche se si tratta solo di un prolungamento dell’agonia”.

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Un commento

  1. Una breve apertura, o meglio una chiusura degli alberghi-rifugio per un po’ di anni, penso sarebbe un bel contributo positivo per tutto l’ambiente montano che li circonda.

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