Alta quota

Andrea Lanfri e l’Everest, “una sfida con me stesso”

Il suo motto recita “Il limite è solo nella tua testa”… e se guardiamo a cosa ha realizzato negli ultimi anni sembra pura realtà. Andrea Lanfri, atleta paralimpico sopravvissuto nel 2015 a una meningite fulminante con sepsi meningococcica, che gli ha causato la perdita di entrambe le gambe e sette dita delle mani. Dopo la malattia Andrea è prima tornato a camminare, quindi a correre e infine a scalare. La sua vetta più grande l’ha già salita, quella che l’ha visto lottare per la vita nei lunghi mesi d’ospedale tra coma e amputazioni. Poi sono venute le altre, quelle terrene. I primi passi nel bosco dietro casa, la prima arrampicata sulle Tre Cime di Lavaredo. Ancora il Monte Rosa e il Monte Bianco. L’alto Chimborazo e l’Himalaya, su cui ha già superato i 7000 metri. Lì ha capito che lo sguardo poteva andare ancora più in alto, sfidando la zona della morte e il tetto del mondo.

“Nessun italiano con pluri-amputazioni ha mai tentato una scalata sopra gli 8000 metri, sarò il primo a raggiungere questo obiettivo”. È determinato Andrea, che da anni ormai pensa all’Everest. L’ha annunciato più volte, poi di mezzo si ci è messa la pandemia da Coronavirus, ma alla fine è riuscito a partire. Negli scorsi giorni ha lasciato l’Italia alla volta di Kathmandu, per poi volare verso Lukla e da li proseguire con il lungo trekking di avvicinamento attraverso la valle del Khumbu fino a raggiungere le pendici della più alta montagna della Terra.

Una sfida personale

“Prima della malattia non ho mai pensato all’Everest” ricorda l’atleta toscano, classe 1986. “Dopo, quando ho ripreso ad andare in montagna, questo tarlo ha iniziato a farsi largo nella mia mente”. Per arrivare a concretizzarlo sono stati necessari anni di lavoro, a piccoli passi. Prima il ritorno alla scalata sulle Tre Cime, poi il Monte Rosa e la prima volta sopra quota seimila metri, dopo il limite dei settemila. Ancora i progetti “From 0 to 0”, unendo bici, corsa e montagna, a cui Andrea si è dedicato negli ultimi anni. Dopo tutto questo percorso “l’Everest mi sembra fattibile”. Non parla mai di possibile o impossibile Andrea. “Non penso esista l’impossibile, al massimo penso di non essere pronto a qualcosa. Questo vale per tutti gli atleti” afferma. “Non ho mai detto ‘non posso farlo perché ho le protesi’. Al massimo penso che mi devo preparare meglio di un normodotato.

Con le protesi fino in cima

Due tipologie di protesi supporteranno Lanfri durante la sua scalata all’Everest. “Sono state studiate e realizzate ad hoc proprio per questa avventura” spiega. “Un paio le impiegherò sul sentiero di avvicinamento, mentre le altre saranno fondamentali per affrontare neve e ghiaccio”. A differenza di un normodotato Andrea non porterà ai piedi i pesanti scarponi d’alta quota, ma delle scarpe leggere, ramponabili. Il suo problema principale non sarà legato al rischio congelamenti quanto “alla formazione di bolle, calli, infiammazioni e lividi ai monconi. Soprattutto in alta quota, dove la sudorazione è minore, devo prestare molta attenzione. Negli anni ho sviluppato alcuni trucchi con cui gestire la cosa, ma sicuramente a fine avventura qualche problema ci sarà”.

Un record al campo base

“Non voglio ancora svelarlo, ma una volta raggiunto il campo base tenterò di battere un record” spiega Andrea, accennando a un ulteriore paio di protesi. Avrò delle protesi molto speciali, con cui voglio tentare un Guinness World Record. Lo farò non appena arrivato al campo base e sarà una sorpresa per tutti”.

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Un commento

  1. Una dose di incoraggiamento a me che sono amareggiato per una frattura scomposta bifocale tibia e perone …

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