Alta quota

“We made it!” Cazzanelli, Ratti, Favre, Perruquet e Gheza aprono due nuove vie sul Kondge Ri

“We made it!” scrive Francesco Ratti sui suoi canali social. “Una bella avventura vissuta tra le pareti e le creste dell’Himalaya” aggiunge François Cazzanelli. “Due cordate, 5 soci uniti poi sulla lunga cresta che porta in cima al Tengkangpoche” scrive ancora Leonardo Gheza. Bastano queste poche parole per riassumere l’esperienza vissuta dai valdostani François Cazzanelli, Francesco Ratti, Emrik Favre e Jerome Perruquet insieme al lombardo Leonardo Gheza nell’Himalaya nepalese. Dietro c’è molto altro, c’è il racconto di una spedizione partita con una meteo avversa, ci sono storie di amicizia, di tentativi, sogni infranti e nuovi progetti sempre affascinanti. Ci sono anche due anni di pandemia, la voglia di partire e tornare in Himalaya a respirare quell’aria povera di ossigeno, a calcare quelle nevi che sanno di leggenda.

Il risultato della spedizione parla di due nuove linee che salgono parallele a circa 30 metri l’una dall’altra sulla parete nord del Kondge Ri. Due cordate, una composta da Fracesco Ratti, Emrik Favre e Jerome Perruquet (Via Settebello, 450 m, AI5 – M7/A2); la seconda formata da François Cazzanelli e Leonardo Gheza (Santarai, 450 m, AI5 R – M7/A2). Terminate le vie l’incontro in cresta per proseguire insieme fino a raggiungere la vetta del Tengkangpoche (6490 m).

La ricerca della via

“Appena arrivati al campo base siamo stati bloccati da una meteo pessima che non ci ha per nulla aiutati spiega François Cazzanelli. “Nevicava perfino al campo base, dove abbiamo contato almeno 40 centimetri. A 6000 metri ce n’erano 50”. Spiazzati dal maltempo i cinque hanno comunque iniziato ad acclimatarsi scalando alcune cime nei d’intorni del campo base. Nel frattempo hanno ragionato sul da farsi. “Avevamo i permessi per il Tengkangpoche e per una montagna vicina, ma all’inizio non ci siamo azzardati a toccarle perché le condizioni erano troppo pericolose.

Un pensiero li ha subito spinti al pilastro nord, poi salito da Tom Livingstone e compagni. “È talmente bello che difficilmente lo si ignora quando ce lo si ritrova davanti”, così il gruppo decide di provare a vederlo da vicino ma una volta arrivati sotto ci siamo resi conto che sarebbe servito molto tempo e avrebbe richiesto molto artificiale spiega Francesco Ratti. Ipotesi che oggi trovano conferma nella salita di Livingstone, che ha richiesto alla cordata circa una settimana con molti tratti saliti in artificiale. “Un tipo di scalata distante dal nostro stile, che ha subito fatto sentire il tutto troppo macchinoso”.

I cinque decidono allora di cercare una nuova linea e la trovano non molto distante dal pilastro. Una via già provata nel 2002, da una spedizione francese, che attacca a sinistra del pilastro e raggiunge la parete est del Tengkangpoche. “Se non avesse nevicato sarebbe stata una salita su roccia, ma le perturbazioni degli ultimi giorni l’hanno trasformata in una salita di misto” spiega Cazzanelli. Alla fine riescono a lavorare bene lungo la linea e in tre giorni toccano i 5400 metri, “dove ci accorgiamo che per posizionare un campo in una zona sicura avremmo dovuto attraversare due importanti colatoi all’interno cui scaricano direttamente i seracchi che si trovano nella parte terminale”. Poi ci sono le valanghe e i crolli, che scaricano sempre lì dentro. Il gruppo li vede e campisce che non è il caso. “Il rischio sarebbe stato troppo alto”, così si rientra al campo base con un nulla di fatto.

Kondge Ri

Respinti dal Tengkangpoche gli alpinisti hanno iniziato a pensare a un nuovo obiettivo. “Le premesse non erano a nostro favore e sinceramente stavo perdendo di vista la possibilità di portare a casa una bella salita” confessa Francesco, che poi è stato smentito dai risultati. “Sono felicissimo e soddisfatto da quel che abbiamo fatto, io come tutti i ragazzi”.

Il nuovo obiettivo si è rivelato osservando la parete nord del Kondge Ri su cui i cinque sono riusciti a trovare due nuove vie. “Abbiamo deciso di separarci per una questione di sicurezza” spiega Ratti. “Salire sulla stessa via significherebbe creare problemi alla cordata che segue”. Due belle linee evidenti che salgono a una trentina di metri l’una dall’altra e si sviluppano parallelamente con difficoltà simili. “Due vie molto impegnative, con tiri su ghiaccio difficili da proteggere, entrambe con due tiri in artificiale perché la scalata in libera sarebbe risultata molto dura” continua Cazzanelli. “Partiti la mattina presto da campo base siamo usciti in cresta alla luce della frontale”. Raggiunta la cresta l’avventura non è finita perché i cinque si sono riuniti con l’obiettivo di proseguire seguendo la frastagliata linea che li avrebbe condotti fin sulla cima del Tengkangpoche. “La prima parte di cresta la immaginavo più difficile perché dal campo base sembrava molto articolata con diversi denti, che alla fine si sono rivelati facilmente aggirabili” commenta Francesco. “L’ultimo giorno, quello che ci ha visti raggiungere la vetta, è stato certamente il più difficile”.

“Una volta raggiunta la cresta est penavamo fosse fatta” continua Cazzanelli. “Invece ci siamo ritrovati di fronte a una linea molto affilata, dov’era necessario prestare la massima attenzione. Ancora una volta l’Himalaya ci ha ricordato che nulla è regalato. Il raggiungimento della vetta, dopo tutte le difficoltà e i cambi di programma, è stato un momento esaltato per tutti e cinque i componenti. “Siamo tutti ugualmente contenti e soddisfatti per quanto siamo riusciti a fare su una montagna per nulla banale e ricca di incognite”. Ora è tempo di rientrare alla base, ma non per tutti. Forse avremo altre positive notizie.

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