Ambiente

Gli strani vermi del ghiaccio, un mistero insoluto per la scienza

I ghiacci della Terra, come risulta evidente dai crescenti studi microbiologici effettuati sul permafrost in fase di scioglimento, nascondono e preservano nelle loro profondità una ampia biodiversità microbica e virale. Organismi che immaginiamo “addormentati” in un ambiente estremo, in attesa di tornare a condizioni ottimali di temperatura e umidità per riprendere i propri cicli vitali. Insomma, immobili lì nel ghiaccio, finché qualche ricercatore non decida di ripescarli e portarli in superficie. Potremmo aggiungere che nella neve che ricopre i ghiacci possano essere presenti alghe, anche dai colori interessanti. Ma ci credereste se vi dicessimo che alcuni ghiacciai, nello specifico del Nord America, ospitano forme di vita che, non solo appaiono sveglie tutto l’anno, ma in estate si muovono allegramente in superficie? Stiamo parlando dei cosiddetti “vermi del ghiaccio”. Un mistero della biologia che la scienza ancora non è riuscita a risolvere pienamente.

Un mistero dal 1887

I piccoli vermi neri, ribattezzati “ice worms” (nome scientifico: Mesenchytraeus solifugus), sono stati notati per la prima volta sul Muir Glacier, in Alaska, nel 1887. Nei decenni a venire si è scoperto che fossero più diffusi di quanto si pensasse, comparendo sulla maggior parte dei ghiacciai costieri di British Columbia, Washington e Oregon. In termini biologici, possiamo definirli dei cugini lontani dei lombrichi, ma come vedremo a breve, presentano caratteristiche che li rendono ben distanti dai parenti terricoli.

Di Mesenchytraeus solifugus non risulta traccia in ghiacciai al di fuori del Nord America. Un altro esempio di verme del ghiaccio è rappresentato dal Sinenchytraeus glacialis del Tibet, ancor meno studiato del primo. 

Uno dei siti di maggior interesse per lo studio dei vermi del ghiaccio americani è il Mount Rainier (4392 m), nello stato di Washington (USA). Lo spettacolo cui assistono gli scienziati annualmente in estate lascia a bocca aperta: la superficie del ghiacciaio perde a poco a poco il suo candore, mentre il numero di vermi che spuntano dalla neve si accresce. Le loro dimensioni sono davvero contenute, parliamo di un pollice circa. Particolarità è che spuntano al tramonto. Vedremo in seguito il possibile “perché”.

Di quanti vermi stiamo parlando?

Per rendere una idea della trasformazione cui vanno incontro i ghiacciai nordamericani nei mesi estivi, vi forniamo un dato numerico: secondo quanto dichiarato di recente al magazine NPR dal ricercatore della Washington State University Scott Hotaling, si stima che ciascun ghiacciaio ospiti 5 miliardi di vermi del ghiaccio. Un dato importante in un ambiente genericamente considerato oggi povero di biomassa, un tempo addirittura sterile.

“Se dovessimo scegliere una mascot biologica per i ghiacciai del Nord Ovest – dichiara ironicamente Hotaling – sicuramente sarebbero perfetti i vermi del ghiaccio”.

Eppure, nonostante siano così tanti, a lungo la scienza si è disinteressata di loro. A decidere di investire una somma cospicua in ricerche sulla specie misteriosa è stata in particolare la NASA, che nel 2005 ha finanziato con oltre 200.000 $ uno studio sulla tolleranza al freddo dei vermi del ghiaccio, coordinato da Dan Shain, biologo evolutivo della Rutgers University del New Jersey, impegnato nello studio di questi esseri misteriosi da oltre un quarto di secolo.

Vermi invincibili

La curiosità della NASA e del mondo scientifico, la domanda cui i ricercatori hanno cercato e stanno cercando di fornire risposta, è la stessa che per certo è balenata nella mente di ciascuno di noi fin dall’apertura di questo articolo: “come fanno dei vermi a sopravvivere su un ghiacciaio?”.

Hotaling, per svolgere qualche semplice esperimento di fisiologia, ha deciso di portare a casa un po’ di vermi e metterli nel freezer. Risultato: anche senza fornire loro alcun supporto alimentare, sono rimasti vivi e vegeti a zero gradi, per oltre un anno. Cosa importante è non scendere al di sotto dello zero, o muoiono per congelamento. Uno studio condotto dal team del dottor Michael J. Napolitano del dipartimento di Biologia della State University of New Jersey, pubblicato su Science, non solo conferma che possano sopravvivere a basse temperature, ma che non vadano mai in letargo o in stato di quiescenza.

Questo in virtù di particolari meccanismi biochimici, che rappresentano attualmente il principale tema di ricerca del team di Shain, che in una recente intervista rilasciata a National Geographic, ha affermato che gli ice worms siano in grado di produrre elevate quantità di ATP, la molecola energetica degli esseri viventi, anche a temperature molto basse, come se avessero un termostato alterato.

L’esperimento domestico di Hotaling e le ricerche di Napolitano si collegano all’ipotesi scientifica che in inverno i vermi permangano sotto metri di copertura nevosa, dove la temperatura è più elevata di quella dell’aria, condizione per loro letale. E poi emergano in superficie in estate, tra l’altro per niente deperiti, anzi belli grassocci. Com’è possibile? Perché si ritiene che la loro alimentazione sia basata su alghe della neve e batteri.

L’inverno è dunque una stagione di accumulo energetico, e non si esclude che sia anche una stagione riproduttiva. Quella della riproduzione dei vermi del ghiaccio rappresenta una black box per la scienza. In estate, accanto ai vermi grassocci più grandi, se ne notano molti piccoli, il che farebbe pensare a una schiusa recente delle uova, immagazzinate nella neve. Ma è tutto in forse.

Un altro piccolo passo avanti svolto dalla scienza riguarda lo studio della resistenza dei vermi del ghiaccio ai raggi ultravioletti. Resistenza che risulta elevata e spiega anche come facciano a sopravvivere esposti ai raggi del sole estivo, in un ambiente totalmente scoperto. La ragione potrebbe risiedere nell’alta presenza di melatonina, in tutto il corpo. Dato su cui sta investigando la biologa Shirley Lang, collega del dottor Shain. La melatonina sarebbe presente anche nel cervello, nell’intestino e nei muscoli.

Ad ogni modo, sole sì, ma non troppo. Come anticipavamo tendono infatti a uscire allo scoperto nel tardo pomeriggio, godendosi gli ultimi raggi, immagazzinando energie per attivare reazioni biochimiche, senza rischio di eccessivi stress luminosi.

Se i vermi mangiano i batteri, chi mangia i vermi?

Hotaling e altri colleghi si sono posti una ulteriore domanda: i vermi dei ghiacci servono a qualcosa o qualcuno? Per comprendere se essi rappresentino una fonte di alimentazione per animali selvatici circolanti nelle zone dei ghiacciai in estate, hanno posizionato una serie di fototrappole sul Paradise Glacier del Mount Rainier. E si è già notato che ci siano uccelli che planano sulla superficie ghiacciata per pescare vermi.

Una delle ipotesi è che, non solo li utilizzino come proprio cibo, ma li trasportino ai nidi per alimentare i piccoli. Non è da escludere che il trasporto “via becco” abbia favorito l’espansione nel tempo dei vermi del ghiaccio tra i vari ghiacciai del Nord Ovest d’America, dall’Alaska all’isola di Vancouver.

Vermi neri e scioglimento dei ghiacci

Ci siamo trovati più volte a parlare di effetto albedo (il potere riflettente delle superfici candide) e del rischio di indebolimento di quest’ultimo ad esempio a seguito della fioritura algale della neve, o a causa della deposizione di polveri sulle superfici innevate.

Se i vermi del ghiaccio sono neri, è lecito chiedersi che impatto abbiano sugli equilibri dei ghiacciai, ovvero se il loro colore, che notoriamente assorbe la luce, possa favorire l’aumento di calore e il conseguente scioglimento dei ghiacci. Anche in questo caso la risposta è: “la scienza ancora non sa cosa rispondere”. 

La problematica maggiore è che le domande sono ancora tante. Le difficoltà di fornire risposta anche. Ma il tempo a disposizione degli scienziati diminuisce. Lo scioglimento progressivo dei ghiacci, sia esso favorito o meno dai vermi, comporterà la loro inevitabile scomparsa. Come dichiarato dal dottor Hotaling, “sento che dobbiamo sbrigarci a studiare questi animali”. 

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