Parchi

Geoparco della Majella, i sentieri della pietra e dell’uomo

Tutte le montagne sono fatte di pietra. Pochi massicci, però, sono stati segnati dalla mano e dalla storia dell’uomo come la “Montagna Madre” d’Abruzzo. L’inserimento qualche giorno fa della Majella nell’elenco dei 169 Geoparchi dell’UNESCO è un riconoscimento per il sistema delle aree protette italiane, e per il lavoro dei dirigenti e dei funzionari del Parco Nazionale che tutela i quasi 75.000 ettari del massiccio. 

Insieme alla Majella, il riconoscimento è andato all’Aspromonte. Erano già Geoparchi dell’UNESCO altre nove aree protette italiane, dall’Adamello-Brenta al Monte Beigua e dalle Madonie al Pollino. La nascita del Geoparco della Majella, che comprende un centinaio di cavità carsiche e ben 95 “geositi” ufficiali, è un invito a visitare un territorio straordinario, a portata di mano da molte regioni del Centro-Sud. 

Il 26 aprile, dopo lunghi mesi di divieti, è ridiventato possibile spostarsi da una regione all’altra, e le meraviglie di storia e natura dell’Abruzzo sono ridiventate accessibili agli escursionisti. Le guide alpine, gli accompagnatori di media montagna, le guide ambientali e altre categorie possono tornare a lavorare, e con loro le strutture ricettive di fondovalle, i rifugi di montagna, le trattorie e i ristoranti, le aziende che propongono prodotti e sapori del territorio.

I camminatori allenati, e che visitano la Majella in estate, conoscono soprattutto le rocce e il carsismo d’alta quota. I sentieri che salgono verso i 2795 metri del Monte Amaro dalla Majelletta, da Fara San Martino e da Campo di Giove traversano forre rocciose, corrono ai piedi di alte pareti calcaree, percorrono nel tratto finale creste e altopiani lavorati in modo evidente dal carsismo. In primavera e in autunno, meritano una visita altri luoghi dove la pietra dà spettacolo. L’elenco include la forra di Fara San Martino, dov’è stata disseppellita da qualche anno l’abbazia di San Martino in Valle, e le Gole dell’Orta che si raggiungono da Bolognano e Musellaro.  Il castello di Palena, nei pressi di Capo di Fiume e delle sorgenti del fiume Aventino, ospita un bel Museo Geopaleontologico.  

La Majella, in passato, ha ospitato uomini in cerca di silenzio e preghiera. Su tutti i suoi versanti, dalla Valle di Palombaro al Morrone e da Lama dei Peligni all’Orfento, cappelle ed eremi sono stati costruiti scavando con picconi e scalpelli la roccia, o allargando delle cavità naturali. Simbolo di questo mondo di fede e di pietra è Fra’ Pietro Angeleri, che per pochi mesi del 1294 fu Celestino V, il Papa del “Gran rifiuto” vituperato da Dante nell’Inferno. Prima e dopo di lui, centinaia di altri religiosi hanno reso abitabili questi luoghi, e vi si sono ritirati per pregare. In altre grotte della Majella, nei pressi di Lettomanoppello e Palombaro, uomini e donne del mondo antico pregavano Ercole, la divinità dei pastori italici. Nel mondo cristiano, dall’alto Medioevo, è stato venerato l’Arcangelo Michele. 

Oltre alla fede, il lavoro dell’uomo ha segnato il paesaggio della Majella. Tra Roccamorice e l’Orfento, centinaia di tholos, di capanne di pietra a secco, raccontano l’abilità costruttiva dei contadini e dei pastori del passato, e il loro duro lavoro per togliere le pietre da campi e pascoli. Nel borgo di Pennapiedimonte, accanto alle case, dei locali ipogei costruiti con perizia e fatica hanno ospitato stalle e laboratori di artigiani. Tra Lettomanoppello e Abbateggio, hanno funzionato a lungo delle miniere di bitume. L’istituzione del Geoparco contribuirà ad accelerare il recupero del sito, affascinante anche per chi ama l’archeologia industriale.
Nella Valle Giumentina, archeologi italiani e francesi esplorano da anni gli strati di rocce sedimentarie, spessi più di venti metri, che continuano a restituire manufatti della Preistoria. Molto più in alto, sulla cresta tra il Blockhaus e il Monte Focalone, le scritte della Tavola dei Briganti ricordano gli antichi sentieri che scavalcavano la Majella oltre i duemila metri di quota, e la vita dei pastori che passavano molti mesi ogni anno in montagna. Nel 1821 nacque Vittorio Emanuele. Prima era il regno dei fiori, ora è il regno della miseria” recita una delle più fotografate, realizzata negli anni del brigantaggio. Intorno si vedono decine di firme e di date, spesso con vistosi errori di orografia. 

Non possiamo sapere cosa avrebbero pensato Damiano Scocchera, Pasqualo (sic!) Preta, Guerino Bianchi, e gli altri montanari che hanno inciso il nome su queste rocce, degli escursionisti di oggi, che arrivano sulla Majella per piacere. Ancora più sorprendente, per loro, sarebbe vedere gli arrampicatori sulle pareti di Pennapiedimonte e Roccamorice, o sugli speroni calcarei dei Monti Pizi, circondati dai boschi. Alcune meraviglie di pietra della Majella, come la Tavola dei Briganti o la forra della Sfischia, richiedono ore e ore di cammino. Altre, come gli eremi di San Bartolomeo di Legio e Sant’Onofrio al Morrone, si raggiungono con passeggiate accessibili a molti.  Altre ancora, dall’abbazia di Santo Spirito a Majella alle gole di Fara San Martino, sono a pochi passi dall’auto. La pietra della “Montagna madre” sa essere democratica o elitaria.

Descriviamo tre sentieri adatti alla primavera, e uno da percorrere in estate. 

Da Caramanico alla Valle dell’Orfento

(230 m di dislivello, 2.45 ore, E, da maggio a novembre)

Dal Centro Visite (625 m), nella parte alta di Caramanico Terme, si segue il sentiero (segnavia B2) che sale a mezza costa su terreno roccioso, tocca un belvedere e raggiunge l’Orfento al Ponte del Vallone (595 m, 1 ora). Si scende a destra del torrente (segnavia S) superando un tratto esposto e toccando la Grotta di Cantrella. I gradini delle Scalelle portano al Ponte di San Cataldo (492 m, 0.45 ore), al quale segue il tratto più spettacolare della forra. Una ripida salita porta al Ponte di Caramanico e poi al punto di partenza (1 ora). 

Dalla Valle Giumentina a San Bartolomeo di Legio

(180 m di dislivello, 2 ore a/r, E, da maggio a novembre)

L’eremo di San Bartolomeo di Legio, incastonato nella roccia, può essere raggiunto dall’area archeologica e dalle capanne pastorali della Val Giumentina. La Valle si raggiunge da Caramanico, San Valentino, Roccamorice o Abbateggio. Dal posteggio (738 m) poco oltre la fine dell’asfalto si sale alle tholos dell’Ecomuseo della Preistoria, si scavalca un crinale e ci si affaccia sull’eremo. Il sentiero (segnavia S e CP) scende a traversare il Vallone di Santo Spirito e risale all’Eremo (730 m, 1 ora). Si torna per la stessa via (1 ora).  

Fara San Martino e le sue Gole

(750 m di dislivello, 3.15 ore a/r, da maggio a ottobre)

Da Fara si raggiunge il posteggio (470 m) all’ingresso delle Gole. A piedi si raggiunge la forra che dà accesso al vallone, oltre la quale sono i resti dell’abbazia di San Martino in Valle. Si prosegue sul sentiero (segnavia H1) che traversa una conca chiusa da alte pareti riprende a salire, traversa una seconda forra e ne raggiunge una terza, molto spettacolare. Poi si sale con un tratto ripido, ci si inoltra nella faggeta e si raggiunge il bivio di Bocca dei Valloni (1055 m, 1.45 ore). In discesa occorrono 1.30 ore. 

Dalla Majelletta alla Tavola dei Briganti e al Monte Focalone

(900 m di dislivello, 5.45 ore a/r, da fine giugno a ottobre)

Il sentiero più frequentato del massiccio, sul crinale principale della Majella. Da Pretoro, Lettomanoppello o Roccamorice si sale in auto al rifugio Pomilio (1892 m). La vecchia strada, chiusa alle auto, porta al piazzale (2075 m, 0.45 ore) ai piedi del Blockhaus. Si continua a mezza costa, si torna a sinistra al crinale, e si continua a saliscendi sfiorando il Monte Cavallo (2172 m). Una discesa tra i mughi porta alla Tavola dei Briganti e alla Selletta Acquaviva (2080 m, 0.45 ore), da cui si sale al bivacco Fusco (2450 m, 1 ora), affacciato sull’Anfiteatro delle Murelle, e verso destra al Monte Focalone (2676 m, 0.45 ore). Al ritorno occorrono 2.30 ore. 

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close