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I 90 anni di Chiaretta Ramorino, donna di montagna, di scienza e di sport

Quante vite possono entrare in una vita? Per capirlo, si può dare un’occhiata al diario di Chiaretta Ramorino, alpinista, sportiva e ricercatrice romana. “Sveglia alle 5, Messa alle 5.30, partenza per Gaeta, scendiamo per la via vecchia e saliamo per la nuova” scrive il 24 giugno 1964. Fa un gran caldo ma alle 14.30 posso ripartire per Ostia. Perdo mezz’ora a Terracina, arrivo giusto per l’inizio della partita di pallacanestro. La gioco tutta (vinciamo con l’Altius per 50-32), poi faccio un rapido bagno e torno a Roma”. Qualche settimana dopo, ad agosto, l’annotazione è più scarna, ma l’exploit è ancora più sorprendente. “Comici al Salame, poi torneo di tennis a Ortisei”. Per altri, dopo una ripetizione di una via di sesto grado, l’unico sforzo possibile sarebbe stata una birra. 

Chi cerca sul web notizie di Maria Chiara Ramorino, Chiaretta per gli amici, trova immediatamente l’Antartide. Un ghiacciaio vicino al Mount Vinson, dal 2006, figura nelle mappe come Ramorino Glacier. E’ il solo, su 184, dedicato a una ricercatrice italiana. A proporre il nome sono stati gli americani dello U.S. Board on Geographic Names. Il motivo? Le tre spedizioni in Antartide di Chiaretta, e il suo lavoro, insieme al collega Roberto Cervellati, per organizzare i toponimi del Continente di ghiaccio. 

Il 13 aprile, Maria Chiara Ramorino spegne novanta candeline. Per festeggiarla esce La libertà è tutto. Chiaretta Ramorino, tante vite in una, un libro delle Edizioni del Gran Sasso. L’autrice è Francesca Colesanti, giornalista e alpinista romana che prima di frugare con affetto nei suoi ricordi è stata sua compagna di cordata. La storia del libro, che è un bel dialogo tra donne, inizia nei primi giorni del 2020, prima della pandemia. “Chiaretta, avresti voglia di raccontarmi la tua vita e magari scriverne un libro?” chiede Francesca, Chicca per gli amici. “Non dimenticherò mai la sua espressione. Nel dirmi di sì, il suo sguardo racchiudeva gioia, meraviglia, timidezza, nostalgia, una grande fierezza”. La risposta è squillante. “Sì, certamente, io ho avuto proprio una bella vita!”. Nel febbraio 2020, Francesca visita Chiaretta a casa sua. Le due frugano nei cassetti, sfogliano ritagli di giornale e vecchie agende. Ma non ci sono le foto. “Gettandomi nello sconforto, mi dice di averle buttate via quasi tutte, assieme a coppe, medaglie, racchette” confessa la Colesanti. Ma il racconto viene fuori lo stesso. 

Maria Chiara Ramorino, nata a Torino nel 1931, si trasferisce a Roma da bambina. Sua madre, anche se convertita e sposata con un cattolico, è ebrea. Nel 1942 la famiglia si rifugia nelle Marche, ad Ancona e poi in un borgo dell’interno. Chiaretta e la sorella, Maria Letizia detta Titti, sanno il tedesco, e questo aiuta i Ramorino a salvarsi. “I soldati entravano in casa con modi bruschi, ma uscivano gentili, senza portare via nulla” racconta la protagonista a Francesca. 

Nella vita di Chiaretta è fondamentale lo sport. Da bambina il calcio, la pallacanestro (che non si chiama ancora basket) e il tennis, che è il suo primo amore. Tra il 1955 e il 1959 vince quattro medaglie d’oro alle Universiadi, gioca il doppio misto con Nicola Pietrangeli, qualche volta batte Lea Pericoli, la più grande giocatrice italiana del dopoguerra. Il Corriere dello Sport la definisce “una ragazza con il viso punteggiato di lentiggini, sbarazzino il nasetto in su, di anni 22, studentessa, laureanda in fisica, stracampionessa italiana di tennis”. Poi la Ramorino gioca a basket, e milita per dieci anni in serie A femminile.  

Intanto è arrivata la montagna. Nel 1952 Chiaretta partecipa a un corso di roccia della SUCAI Roma, ed è brava. Compie centinaia di arrampicate sulle Dolomiti e sul Gran Sasso, partecipa a una decina di spedizioni tra Ande, Himalaya e Sahara. E’ la prima romana a diventare istruttore del CAI, ama la scogliera di Gaeta, con le sue vie a picco sul Tirreno. Poi scopre lo scialpinismo, che diventa un’altra grande passione. “In una delle prime gite sulle Dolomiti, in un canalone dove la neve era una lastra di ghiaccio, un amico più esperto si è girato, e ha detto a tutti che lì era vietato cadere, perché si rischiava di morire. Ho capito che bisogna seguire le regole” spiega Chiaretta.  

Nel 1960, quattro anni dopo la laurea in Fisica, la Ramorino inizia a lavorare al CNEN, oggi ENEA, alla Casaccia, nei pressi del Lago di Bracciano. E’ l’inizio di un percorso che la porta per tre volte in Antartide (la prima nel 1987) e che la avvicina a un altro amore sportivo, l’orienteering, che nasce in Italia tra i boschi e sui prati intorno alla Casaccia. Chiaretta gareggia in pausa-pranzo, o dopo l’orario di lavoro in estate, poi passa a impegni più seri, e a trasferte per gare in Italia e fuori. “Ero brava a orientarmi, i colleghi più veloci nella corsa perdevano tempo con la bussola, per questo ho vinto medaglie e titoli un po’ ovunque”. Negli anni, in onore di Chiaretta, la Federazione Italiana Orienteering deve creare delle nuove categorie in suo onore: over 50, over 60, over 70…. La sua ultima gara è in Puglia, il 18 settembre del 2018, a 87 anni e mezzo. Mentre scavalca un muro a secco, una scarpa si incastra, Chiaretta cade e si frattura una vertebra. Il medico dell’ospedale di Taranto non le crede, poi si congratula. E’ il terzo e ultimo addio allo sport.   

Parlando con Chiaretta Ramorino della sua vita, l’Antartide compare più volte. Il 13 febbraio 1990, nella base di Baia Terranova, incontra Arved Fuchs e Reinhold Messner, reduci dalla traversata del continente sugli sci, ed è un bel ricordo. Certo la base era affollata, e nessuno poteva aspirare alla privacy” prosegue la Ramorino. “Però dopo cena, mentre gli altri chiacchieravano o giocavano a carte, io uscivo da sola sul ghiaccio, a godere il panorama e a respirare. Era il momento più bello”.     

Nel libro, oltre alle voci di Chiaretta e di Francesca, compaiono quelle di 25 amici e conoscenti. Tra loro ci sono molti alpinisti, colleghi dell’ENEA e nipoti, ma anche la tennista Lea Pericoli e Luciana Castellina, tra i fondatori de Il Manifesto, che racconta un’infanzia vissuta insieme.

Chiaretta non si è mai sposata, e non ha avuto figli. “Non è capitato” si schermisce. “E’ una donna di una riservatezza estrema, e i suoi ricordi sono soltanto suoi” sorride l’autrice della biografia. Ma poi aggiunge qualcosa. Chiaretta di un ragazzo si ricorda bene, perché «con lui c’è stato qualcosa»”. E’ Gianni Della Chiesa, socio della SUCAI, sottotenente degli alpini. Ma nel 1951, a 27 anni, Gianni viene ucciso da un fulmine sulla Cima Grande di Lavaredo. Chiaretta in quel momento ha vent’anni. Da quel momento, per Francesca Colesanti, l’amore è un capitolo chiuso. 

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