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Monviso. Parete Nord Est destinata a nuove frane

Arpa Piemonte: "Fase di quiescenza temporanea"

Il 26 dicembre 2019 la parete Nord Est del Monviso veniva interessata da una frana di ampie dimensioni, distaccatasi a circa 3300 metri di quota, nell’area del Torrione Sucai. Nel mese di gennaio 2020 i tecnici dell’Arpa Piemonte effettuarono un primo sopralluogo, stilando un resoconto di quanto accaduto. Nei mesi successivi sono stati svolti ulteriori sopralluoghi e studi specifici nella zona di interesse. Grazie al supporto di Arpa Valle d’Aosta è anche stato possibile effettuare un rilievo con drone. Analisi importanti che hanno consentito di descrivere con più precisione la frana sotto l’aspetto geomorfologico e di focalizzare le probabili cause che ne hanno determinato l’attivazione. Le conclusioni cui si è giunti sono state diffuse nei giorni scorsi dall’Arpa Piemonte sul sito istituzionale.

Le probabili cause della frana

Come si legge nel report dell’Arpa, la frana del 2019, facendo riferimento al limite inferiore dell’accumulo, è posizionata circa 200-250 metri a monte del sentiero che dai pressi del Lago Chiaretto permette di raggiungere il rifugio Quintino Sella. La zona di parete crollata, invece, è posta circa 200 metri a sudest del Canalone Coolidge il cui ghiacciaio sospeso crollò improvvisamente il 6 luglio 1989. Un evento rilevante in quanto, come evidenzia l’Ente, “nell’archivio FONTI e DOCUMENTAZIONE di Arpa Piemonte, relativamente all’area in esame, non sono contenuti documenti specifici inerenti alle frane; sono presenti invece documenti a tema strettamente geologico ed altri che riguardano il crollo del seracco”. 

In uno dei documenti inerenti il distacco del seracco (pubblicazione “La Via del Sale. Viaggio nella storia geologica della Valle Po”), si legge che “a propiziare il distacco ha verosimilmente contribuito, in modo significativo, l’andamento climatico del decennio precedente in cui si è registrata una importante diminuzione delle precipitazioni nevose, con nevicate abbondanti ma tardive. Tali apporti hanno avuto un effetto negativo sulla stabilità del ghiacciaio in quanto, arrivando in stagione avanzata, sono sciolti molto rapidamente, rendendo disponibile una grande quantità di acqua sul versante. Questa, penetrando all’interno dei crepacci, ha lubrificato la zona di interfaccia tra ghiaccio e substrato roccioso, facilitando lo scollamento del ghiacciaio stesso”. Vedremo a breve che nella dinamica di attivazione della frana del 2019 bisogna considerare anche il ruolo dei cambiamenti climatici.

Le due cause alla base del fenomeno franoso del dicembre 2019 evidenziate dall’Arpa sono infatti le seguenti:

  1. l’intensa fratturazione della roccia che caratterizza in generale il massiccio del Monviso e in modo più specifico alcune aree della parete nordest;
  2. la degradazione del permafrost, la cui presenza, laddove gli ammassi rocciosi sono particolarmente fratturati, esercita un’azione cementante attraverso la presenza di ghiaccio nelle fratture.

“Lo studio della fratturazione è stato condotto attraverso la fotointerpretazione della scena 3D della parete Nord Est del Monviso, elaborata a partire da immagini aeree ortorettificate con risoluzione massima a terra di 3cm e modelli altimetrici di estremo dettaglio. Questa analisi ha evidenziato una configurazione geometrica e strutturale tipica per tutto il versante nord-orientale del Monviso in grado di generare un’alta predisposizione ai processi di instabilità per crollo. Sulla base della classificazione gerarchico-strutturale e distributiva dei sistemi di discontinuità, sono in fase di realizzazione approfondimenti di carattere geologico-strutturale, elaborazioni geostatistiche e simulazioni traiettografiche. Questi studi avranno la finalità di individuare: le aree a maggior fratturazione, le dimensioni dei blocchi rocciosi instabili e le aree di invasione di caduta blocchi”, spiega l’Arpa.

“L’analisi della zona di interesse in relazione al permafrost è stata effettuata facendo riferimento ai modelli esistenti al riguardo, vale a dire il modello APIM (Alpine Permafrost Index Map) e il modello PERMAROCK sviluppati nell’ambito del progetto europeo Spazio Alpino “Permanet”; le valutazioni effettuate evidenziano che il settore interessato dal crollo ricade nelle condizioni di permafrost “probabile”prosegue l’Ente – . Questo risultato, valutato alla luce dei dati del monitoraggio del permafrost in Piemonte in corso dal 2009 da parte di Arpa Piemonte, conferma come probabile concausa del crollo la degradazione del permafrost stesso”.

Segnali di attività nel passato

Come evidenziato nel report, “il settore di parete dove si è sviluppata la frana aveva già dato segnali di attività nel passato come testimoniano i numerosi blocchi di grandi dimensioni presenti alla sua base. Facendo riferimento alle tre coperture di ortofoto disponibili per l’ultimo decennio (2010, 2015, 2018), focalizzando l’attenzione sui massi ciclopici visualizzabili sul cono detritico, risulta evidente un marcato incremento dello stato di attività nel corso della prima metà del secondo decennio del XXI secolo; in particolare sulle ortofoto del 2010 si riconoscono due grossi blocchi, peraltro già presenti alcuni decenni prima, come testimoniano le riprese dei voli aerei precedenti. Invece osservando le ortofoto del 2015 si può constatare un netto aumento dei massi nella fascia altimetrica compresa tra 2.500 e 2.550 m (cfr. Immagini 10 e 11 dell’Atlante Fotografico), probabilmente conseguenti ad un crollo di proporzioni molto importanti eppure, nonostante ciò, non conosciuto. Questa situazione rimane pressoché invariata negli anni successivi fino all’ulteriore pulsazione che si è verificata il 26 dicembre del 2019″.

Qual è la situazione attuale e quali gli scenari futuri? “Nel corso del 2020, come si è potuto accertare direttamente durante i sopralluoghi condotti per studiare il fenomeno, il settore di parete destabilizzato dal crollo ha manifestato una residua attività che si è protratta fino agli inizi dell’estate con distacchi di porzioni lapidee per lo più di dimensioni modeste; successivamente questa zona della parete Nord Est del Monviso sembra essere entrata in una fase di maggior quiescenza. Situazione tuttavia che non può che essere considerata temporanea data la notevole fratturazione dell’ammasso roccioso. Da segnalare che nel corso dell’estate ha subito un incremento di attività per frane di crollo una porzione della stessa parete ma ubicata più a sud quindi più prossima al Colle di Viso”. La parete è dunque in una fase di quiete temporanea, il che non esclude nuovi crolli futuri.

C’è da temere per il sentiero del Quintino Sella?

Circa a 100 metri di quota più in basso rispetto al punto più distale dell’accumulo derivante dalla frana del 2019 si sviluppa il sentiero che da Pian del Re porta al Colle di Viso e quindi al Rifugio Quintino Sella (sentiero CNAV13). Gli esperti tranquillizzano a tal proposito, affermando che “le valutazioni morfologiche effettuate portano a ritenere improbabile il coinvolgimento del sentiero da parte di eventi di crollo della stessa magnitudo di quello del dicembre 2019; tuttavia non si può escludere completamente la possibilità che un blocco di dimensioni straordinarie, indicativamente superiori ai 1.000-1.500 m3, possa superare la zona a debole pendenza su cui normalmente si arrestano i materiali crollati e quindi riesca ad impegnare il ripido versante sottostante fino ad investire il sentiero”.

Proprio sulla base di tali considerazioni già nell’estate 2020 ricorderete che il Comune di Crissolo avesse emesso un’ordinanza di chiusura del tratto di sentiero soggetto a rischio potenziale, dirottando gli escursionisti sul limitrofo e sicuro sentiero CNAV13B che dal lato est del Lago Chiaretto si congiunge con il sentiero CNAV13 a monte della zona esposta alla frana.

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